Che cos’è l’ameba mangia cervello: sintomi, rischi e come poter evitare il contatto con questo pericolosissimo organismo unicellulare.
IN BREVE
Ameba mangia cervello: cos’è e dove si trova
Naegleria Fowleri è un’ameba, detta anche “ameba mangia cervello” a causa della sua capacità di infettare il sistema nervoso centrale (SNC) causando un’infezione fulminante. Essa è stata identificata in tutti i continenti ad eccezione dell’antartide, vive in autonomia (cioè, senza la necessità di un organismo ospite) e si trova in ambienti d’acqua dolce come laghi, fiumi, acque stagnanti e addirittura piscine senza cloro. L’ameba mangia cervello può presentarsi in tre diverse forme: in condizioni ostili, si trasforma in una cisti metabolicamente inattiva, incredibilmente resistente e capace di sopravvivere a una varietà di condizioni fisiche e chimiche. Quando l’ameba mangia cervello affronta condizioni non nutritive (in presenza di acqua) si trasforma in un flagellato transitorio, che prospera a 27-37 °C, quindi in acque calde o durante i mesi estivi. In condizioni favorevoli, invece, l’ameba può essere trovata come un trofozoite attivo. I trofozoiti sono l’unica forma dell’ameba mangia cervello in grado di riprodursi, nutrirsi e causare infezioni in altri organismi. La loro principale fonte di cibo proviene da batteri, ma possono anche consumare alghe e lieviti.
Come già citato, l’ameba mangia cervello è capace di causare una condizione patologica chiamata meningoencefalite amebica primaria (PAM), che presenta un tasso di letalità pari al 98%.
L’infezione avviene tramite le cavità nasali, dove Naegleria può attaccarsi alla mucosa nasale, per poi risalire il nervo olfattivo e, infine, giungere al bulbo olfattivo all’interno del sistema nervoso centrale, dove si scatena una forte risposta immunitaria. I trofozoiti sono capaci di ingerire anche i tessuti umani tramite delle strutture apposite per l’alimentazione che presentano sulla membrana esterna.
Inoltre, a completare il processo patogenetico, è stato osservato come l’ameba mangia cervello rilasci sostanze capaci di distruggere cellule del SNC. I trofozoiti di Naegleria Fowleri, dopo l’infezione, non sono stati trovati solamente al livello del bulbo olfattivo, ma anche di altre fondamentali strutture cerebrali come l’ipotalamo, le meningi e nel mesencefalo.
I sintomi
I sintomi dell’infezione da ameba mangia cervello si manifestano generalmente a 5/7 giorni dall’esposizione. Inizialmente, la patologia presenta le stesse caratteristiche di una tipica meningite batterica o virale. Il quadro clinico è destinato poi a peggiorare nei giorni successivi, presentando nuovi sintomi più o meno gravi come rigidità nucale, letargia, anoressia, fotofobia, confusione, crisi epilettiche e coma. L’ameba mangia cervello conta pochissimi sopravvissuti, infatti, avendo un tasso di mortalità pari al 98%, questa infezione porta a morte entro 1-2 settimane. La PAM non ha tipici sintomi che permettono di riconoscerla precocemente, per questo viene spesso identificata come causa del decesso soltanto post-mortem. Le autopsie effettuate sui pazienti deceduti hanno reso evidente come l’ameba mangia cervello distrugga l’encefalo durante l’infezione. Questo, infatti, si presenta tipicamente molliccio e ricco di edemi, congestionato e con evidenti essudati ed emorragie a livello del bulbo olfattivo.
Diagnosi, cura e prevenzione
Autopsia a parte, l’infezione da Naegleria si può diagnosticare con tecniche di imaging come la risonanza magnetica osservando gli edemi presenti a causa dell’infezione. La tecnica più usata per la diagnosi però rimane la puntura lombare, che permette l’analisi del liquido cerebrospinale.
Il fatto che la PAM sia una condizione molto rara, insieme alla rapidissima evoluzione della malattia e all’altissimo tasso di mortalità, costituiscono i grandi ostacoli allo sviluppo di una cura funzionante. Infatti, non esistono trials clinici che permettano di osservare l’efficacia di eventuali trattamenti. Ad oggi, l’unica opzione farmacologica è rappresentata dall’amfotericina B, eventualmente in associazione con azitromicina e rifampicina.
Complessivamente, dopo infezioni da ameba mangiacervello sopravvissuti se ne contano sulle dita di una mano, e questo rende incredibilmente importante la prevenzione. Ad oggi, è stato sperimentato un vaccino in grado di ridurre notevolmente la mortalità nel gruppo sperimentale di controllo, ma per il quale ancora non risultano chiare eventuali applicabilità sull’uomo. La migliore strategia resta dunque la prevenzione, che comprende un costante monitoraggio delle acque, nelle zone a rischio, da parte delle autorità, e l’evitare di fare bagni o tuffarsi in specchi d’acqua stagnante o non clorate. Come ultima accortezza, per essere sicuri di evitare l’ameba mangia cervello i lavaggi nasali andrebbero effettuati con acque sicure o con appositi prodotti.