Da tempo ormai si parla del vaccino contro tumori, definendolo universale ma, è davvero così? Potrebbe essere realmente un’arma potentissima contro la malattia silenziosa che affligge il nostro secolo ma non è così semplice.
IN BREVE
Le ultime scoperte sul cancro hanno come protagonista il vaccino contro tumori, l’arma fondamentale e più importante dell’immunoterapia che, a differenza dei farmaci chemioterapici convenzionali, non mira a prevenire i tumori ma a potenziare il sistema immunitario per sconfiggerli. Quali sono le prospettive che apre questa nuova tecnologia e quali sono le differenze tra questo tipo di vaccino e quello preventivo?
Tanti tipi un solo scopo
Il termine vaccino venne coniato nel 1796 dal medico Edward Jenner per descrivere inizialmente il materiale purulento prodotto dalle pustole tipiche del vaiolo bovino. Jenner osservò che le mungitrici che contraevano il vaiolo bovino e guarivano non si ammalavano più di questa malattia e dimostrò questa sua convinzione inoculando piccole quantità di “vaccino” in un bambino di 8 anni che non sviluppò la malattia.
Lo stesso tipo di osservazione fu condotta circa 100 anni dopo da Louis Pasteur che, grazie anche alle maggiori conoscenze acquisite in termini di immunità, si rese conto che per creare immunizzazione era necessario inoculare preparazioni microbiche attenuate, in modo tale da presentare il microbo infettivo al sistema immunitario umano ma non in concentrazione tanto elevata da sviluppare la malattia. Il 1980 è l’anno di svolta per la vaccinazione poiché è quando l’OMS dichiara la sconfitta del vaiolo grazie alla vaccinazione, una malattia che aveva falciato migliaia di vite umane tra i secoli. Oggi esistono vari tipi di vaccino, classificati sulla base della loro composizione biologica:
- composti da batteri o virus vivi o trattati in modo tale da attenuare la loro capacità di scatenare la malattia pur preservando la loro immunogenicità (la capacità di attivare il sistema immunitario). In questa categoria rientra il vaccino Sabin per la poliomielite;
- con batteri o virus uccisi o inattivati che vengono ottenuti bloccando la sintesi proteica dei microrganismi e, dunque, la loro capacità di riprodursi. A differenza dei primi, donano una protezione più duratura nel tempo. Tra questi rientrano il vaccino Salk per la poliomielite (preferito in paesi come l’Italia rispetto al primo), per la rabbia e per il colera;
- a subunità, ovvero quei vaccini composti da una porzione del microrganismo che, come nel caso del tetano e della difterite, inducono la loro infettività tramite l’utilizzo di tossine. Di questi fanno parte anche i vaccini a polisaccaridi che, da soli non vengono eliminati dai macrofagi ma, favorendo il legame con gli anticorpi aumentano l’attività dei macrofagi stessi: gli “spazzini” dell’organismo;
- peptidi sintetici o ricombinanti, che mirano più alla tolleranza che all’immunità, dal momento che non stimolano la risposta CD8+, come il vaccino contro l’epatite B;
- vaccini a DNA che, inoculando nelle cellule un virus non patogeno o un plasmide (frazione che contiene la sequenza di DNA che produce gli antigeni), stimola le cellule stesse a produrre l’antigene in modo tale che si inneschi poi la risposta anticorpo-mediata. Sono gli unici vaccini capaci di stimolare l’attività dei linfociti T citotossici (CD8+ e Natural Killer).
Questi sono le varie tipologie di vaccino “classico”, un farmaco che previene le patologie infettive prima che queste possano infettare il paziente. Il vaccino contro tumori, prodotto dall’équipe di ricercatori tedeschi dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz, si basa invece su un concetto del tutto diverso: non prevenire ma potenziare la risposta immunitaria in un organismo già affetto da una malattia come i tumori. Si apre dunque una nuova frontiera di ricerca volta a perfezionare i cosiddetti vaccini terapeutici che saranno sempre più utilizzati nell’immunoterapia. Quest’ultima, a differenza della chemioterapia convenzionale, ha come bersaglio principale le cellule tumorali non attaccando le cellule sane. Per quanto questa strada sia allettante e sia già stata percorsa da alcuni ricercatori italiani di Milano che, applicando l’immunoterapia a pazienti affetti da linfoma non-Hodgkin recidivo, hanno valutato come in un terzo di essi la risposta clinica sia stata positiva e nel 50% dei casi si sia raggiunta la stabilizzazione della malattia, attualmente rimane ancora una cura sperimentale sulla quale sarà necessario condurre molti studi.
Può essere davvero universale?
Ma come nasce il vaccino contro tumori? Il concetto base è quello di disattivare la cellula tumorale da impiantare nel paziente in modo tale che perda la sua capacità di replicarsi ma mantenerla contemporaneamente abbastanza “anomala” da attivare sia i linfociti T che quelli B del sistema immunitario. L’idea rivoluzionaria sta proprio nell’utilizzo dell’immunoterapia e, dunque, del vaccino contro tumori, per combattere il cancro. Da tempo si sa ormai che le varie tipologie di tumore sono molto diverse (geneticamente e non) le une dalle altre e ciò implica che sia praticamente impossibile produrre un farmaco universalmente valido per tutti i tumori. Il vaccino contro tumori e l’immunoterapia non sono altro che un cambio di prospettiva: non potendo combattere universalmente i tumori si mira a potenziare la risposta animale universale per preservare la salute dell’organismo, il sistema immunitario.
Il sistema immunitario: come funziona
Il sistema immunitario umano si divide in due grandi categorie: l’immunità innata, composta dalle barriere naturali del nostro corpo come la cute e le vie respiratoria, urinaria e digestiva e da alcune cellule come quelle del complemento o i fagociti che hanno la duplice funzione di distruggere gli organismi esterni e di attivare l’immunità specifica (o adattativa). Quest’ultima ha due attori fondamentali: i linfociti B che, una volta attivati, producono le plasmacellule e, dunque gli anticorpi, e i linfociti T che entrando a contatto con le cellule che presentano l’antigene (APC) dell’immunità innata riconoscono la sequenza “anomala” delle cellule infette da organismi esterni o di quelle tumorali che sono cioè sfuggite ai normali meccanismi di controllo cellulare, e attivano i linfociti B. I linfociti, infine, hanno l’importante compito di conservare la “memoria” di quel patogeno in modo tale che una seconda infezione sia rapidamente riconosciuta e attivi immediatamente le cellule specifiche per quell’antigene.
La chiave di volta nell’utilizzo del vaccino contro tumori per sconfiggere il cancro è da ricercare nella scoperta degli antigeni tumorali. Come detto, un antigene è una porzione di cellula riconosciuta come estranea dal sistema immunitario. Non a caso, infatti, tra le caratteristiche delle cellule tumorali vi è quella di accumulare alterazioni genetiche tali per cui esse “impazziscono” crescendo a dismisura, dividendosi esponenzialmente senza sosta dando origine a cellule con le stesse mutazioni genetiche e sfuggendo ai meccanismi di morte programmata (apoptosi) che, in un organismo sano, favorisce la rigenerazione tissutale. Il fatto che gli antigeni tumorali attivino il sistema immunitario e favoriscano l’immunosorveglianza, ovvero il controllo che i linfociti T esercitano sulla crescita tumorale, è confermato dal fatto che il paziente affetto da tumore subisce una progressiva diminuzione delle difese immunitarie. Il problema è che le cellule tumorali non sono passive ma sviluppano una sorta di adattamento, definito cancer immunoediting, che permette loro di diventare resistenti all’azione dei linfociti T e diffondersi in modo incontrollato.
Come funziona il vaccino contro tumori
Attualmente l’immunoterapia è utilizzata in pazienti affetti da melanoma, carcinoma renale e polmonare, tumori della testa e del collo mentre il vaccino contro tumori è stato sperimentato in pazienti affetti da con linfoma non Hodgkin. Il funzionamento del vaccino contro tumori è abbastanza ingegnoso. In esso sono contenute delle nanoparticelle che contengono frammenti di RNA tumorale, in modo tale da simulare l’ingresso di un patogeno. Una volta in circolo, le nanoparticelle del vaccino contro tumori raggiungono gli organi “officina” dei linfociti (soprattutto milza, timo e linfonodi) e attivano la tipica risposta immunitaria antivirale. In particolare, un tipo specifico di cellule che presentano l’antigene (le cellule dendritiche) traducono l’RNA del vaccino contro tumori nelle sequenze molecolari da esporre in superficie (antigeni), essere riconosciute dai linfociti T e attivare la risposta immunitaria di tipo adattativo.
Le cellule dendritiche utilizzate nel vaccino contro tumori sono ottenute in vitro partendo da alcuni globuli bianchi definiti monociti. Le nuove frontiere di ricerca sono rivolte verso quei vaccini che attivino direttamente in vivo le cellule dendritiche, evitando le costose manipolazioni in laboratorio. I tre componenti fondamentali del vaccino contro tumori sono:
- un’etichetta, ovvero una molecola o un anticorpo specifico per le cellule dendritiche;
- un antigene tumorale
- un ligando che ancorato alla cellula dendritica possa essere riconosciuto dal linfocita T così da attivarlo.
Ma la vera rivoluzione arriva dai laboratori di ricerca tedeschi in cui sono stati creati vaccini contro i tumori che non utilizzano ligandi o anticorpi ma complessi di RNA-lipidi manipolati in modo tale da rendere le nanoparticelle cariche negativamente in modo tale da favorirne la diffusione specifica negli organi linfoidi e indirizzare le cellule immunitarie al riconoscimento dei tumori. Ed è proprio questo lo studio che ha avuto successo non solo in animali di laboratorio ma anche in tre pazienti affetti da melanoma. Da qui nasce la confusione sul termine “universale” riferito al vaccino contro tumori che potrà essere tale soltanto se si troverà il modo di perfezionare l’educazione del sistema immunitario da parte di nanoparticelle simili a queste dei ricercatori tedeschi.
Principali limiti del vaccino contro tumori
I limiti principali del vaccino contro tumori sono che:
- le cellule tumorali sono molto simili alle cellule sane e soltanto alcune di esse esprimono antigeni che non sono solitamente espressi sulle cellule normali;
- la crescita tumorale non si accompagna alla forte infiammazione tipica dell’invasione microbica che scatena la forte risposta immunitaria.
Per questo motivo la ricerca continua per “educare” il sistema immunitario in maniera impeccabile è di fondamentale importanza proprio perché poteremmo essere di fronte all’arma che infliggerà un duro colpo alla patologia più temuta del XXI secolo: il cancro.