Dal 1982 ad oggi, molti considerano l’Africa la terra del calcio del futuro, nonostante la prima delusione del mondiale 2010. D’altra parte il calciatore considerato il più grande di tutti i tempi al fianco di Maradona è di sicuro il nero brasiliano Pelè. Ma il primo fu Arthur Wharton. Ovviamente non il primo nero o africano in assoluto a giocare a calcio, infatti prima di lui c’era stato Andrew Watson, un difensore nato nell’allora Guyana Britannica, ma Wharton divenne il primo calciatore nero “professionista”.
Fu portiere nella Football League inglese tra il 1885 e 1902, in squadre come il Darlington, il Preston North End, il Rotherham Town, lo Sheffield United, lo Stalybridge Rivers, l’Ashton North End, lo Stockport Country.
Nacque il 28 ottobre 1865 a Jamestown nella colonia inglese della Costa d’Oro, attuale Ghana e morì il 13 dicembre del 1930. Famoso nelle foto per il suo paio di baffi a manubrio vittoriani, figlio di una principessa della casa reale dei Fante Akan e di un missionario in Africa di origine grenadiana e scozzese.
Accadde tutto per caso, Arthur Wharton emigrò in Inghilterra perché aveva la passione del padre, ossia di diventare un missionario metodista, ma al college scoprirono le sue doti atletiche e finì quindi per dedicarsi agli sport a tempo pieno e non solo per il calcio: nel 1886 fu anche il primo detentore del record mondiale sulle 100 yard, che corse in 10 secondi. L’anno successivo si appropriò anche del record di corsa ciclistica tra Preston e Blackburn, giocò inoltre come professionista a cricket, e fu anche rugbysta.
Nonostante la schiavitù fosse stata abolita in tutto il Regno Unito nel 1833, tuttavia era ancora forte la discriminazione razziale all’epoca e purtroppo da grande atleta che era, Warthon finì per concludere il corso della sua vita lavorando nelle miniere di Edlington.
Soltanto nel 1997, l’associazione “Football Unites, Racism Divides”, ricostruirà la storia di Wharton e ne ritroverà la tomba dimenticata a Edlington, ponendo sopra di essa la targhetta con il suo nome e riconsegnando all’opinione pubblica inglese un vero e proprio pioniere della propria storia sportiva e umana.
Nel 2003 inoltre il suo nome verrà inserito nella Hall of Fame del calcio inglese, ed è oggi celebrato da una statua al quartiere generale della Fifa come simbolo della lotta al razzismo.
Un uomo semplice dopotutto, che inconsapevolmente ha contribuito a cambiare per sempre la storia del calcio e dello sport.