Anche Google Earth fa errori: ce lo dimostra un progetto che ha raccolto le cartoline delle più assurde incongruenze che il software ha prodotto nella ricostruzione 3D della Terra.
Google Earth è in costante aggiornamento e nel suo database milioni di dati vengono incrociati per poter indicizzare la superficie terrestre e riprodurla virtualmente in modo fedele. Per questa sua continua evoluzione e revisione degli errori, è difficile incorrere in un’anomalia: l’artista Clement Valla ne ha trovata una per caso e da quel momento si è dedicato alla ricerca di questi piccoli effetti collaterali, costruendo una vera e propria galleria di cartoline impossibili.
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Viene spontaneo definirli errori, ma indagando più a fondo nella natura del software ci si rende conto che sono conseguenze inevitabili. La ricostruzione tridimensionale della Terra è affidata ad un algoritmo, che riceve in input un’enorme quantità di dati di diversa natura. Il processo che permette di generare l’immagine 3D si chiama texture mapping ed è stato ideato nel 1970 dall’informatico Edwin Catmull, oggi presidente dei Walt Disney Animation Studios. Consiste nell’applicare un’immagine piatta e bidimensionale, la texture, sulla superficie di un oggetto tridimensionale. La texture viene virtualmente tirata e fatta aderire al modello 3D, diventando una sorta di pelle. Affinché la sovrapposizione sia corretta, ad ogni pixel deve corrispondere un taxel, ovvero un elemento di base della texture.
Questa tecnica diventa però problematica se applicata a grandi texture. Si è perciò evoluta un’altra procedura chiamata mipmap, che invece di utilizzare un’unica texture ne sfrutta molteplici, organizzate su più livelli. Ciascuno di essi ha una risoluzione crescente: partendo dal primo è quello più abbozzato mentre l’ultimo è quello con il maggiore numero di texel, quindi il più dettagliato. Il vantaggi che fornisce sono quelli di aumentare la velocità di rendering, ridurre i disturbi nell’immagine (artefatti) e migliorare la risoluzione, richiedendo però un maggiore spazio di memoria.
La tecnologia di mapping utilizzata da Google deriva da questo principio ma è stata implementata e brevettata per offrire un’esperienza fluida e dinamica di una continua navigazione del nostro pianeta. The Universal Texture -così è stata chiamata- è un gigantesco collage di immagini ibride che l’algoritmo produce incrociando fotografie aeree e dati topografici provenienti da innumerevoli fonti. Può accadere che queste due entità non siano propriamente sovrapponibili, perciò le ombre che si vedono nella fotografia non vanno ad incastrarsi correttamente nelle profondità del modello 3D. Così nascono quelli che al nostro occhio e alla nostra esperienza sensoriale appaiono come errori, ma che per Google Earth non sono altro che la logica correlazione tra i dati ricevuti. Ciò che noi vediamo è in definitiva il volto di un database.
Fonte: The Universal Texture