I ricercatori del Centro Medico dell’Università di Georgetown hanno scoperto che la luce del sole, mediante un meccanismo separato da quello che permette alla vitamina D di essere assimilate dalle ossa, fornisce l’energia necessaria ai linfociti T, che giocano un ruolo centrale nell’immunità umana.
Le loro scoperte, pubblicate a Dicembre in Scientific Reports, suggeriscono come la pelle, il più grande organo del corpo umano, sia sempre in allerta contro i molti microbi che potrebbero riuscire ad attraversarla.
Come afferma l’autore principale dello studio, Gerard Ahern – dottore di ricerca e professore associato del dipartimenti di Farmacologia e Fisiologia del Dipartimento di Georgetown – “tutti sappiamo che la luce del sole è responsabile della produzione di vitamina D, che ha anche un impatto sull’immunità. Alcuni dei ruoli attribuiti alla vitamina D sull’immunità, potrebbero essere dovuti a questo nuovo meccanismo.
Il gruppo di ricerca ha scoperto che già i bassi livelli di luce blu, presente comunemente nei raggi del sole, rende i movimenti dei linfociti T più veloci. Così queste cellule sono le prime che si scoprono ad essere in grado di rispondere alla luce accelerandone il movimento nel sangue.
“I linfociti T, indipendentemente che siano helper o killer, hanno bisogno di muoversi per compiere il proprio lavoro, i quali sono in grado di dirigersi verso il sito di un’infezione ed orchestrare una risposta” afferma Ahern. “Questo studio mostra come la luce del sole possa direttamente attivare le chiavi della risposta immune cellulare incrementando il movimenti dei linfociti T”.
Ahern ha anche aggiunto che, mentre la produzione di vitamina D richiede luce UV diretta, che può peraltro promuovere il cancro della pelle ed il melanoma, la luce blu del sole, come quelle emesse da lampade speciali, sono decisamente più sicure.
Le cellule usate per l’esperimento sono state isolate da culture cellulari animali e da sangue umano. Infatti, nella pelle umana avviene la maggior condivisione di linfociti T rispetto alle restanti parti corporee. Infatti, in questo organo sono contenuti un numero di linfociti che è circa due volte rispetto a quello dei linfociti circolanti.
“Sappiamo che la luce blu può raggiungere il derma, il secondo strato della pelle e che i linfociti T possono circolare attraverso il corpo” afferma.

Successivamente, i ricercatori hanno decodificato il modo in cui la luce blu rende i linfociti T più veloci e lo hanno fatto tracciando le pathway molecolari attivate dalla luce stessa.
I ricercatori hanno stimolato e guidato la risposta alla motilità cellulare dei linfociti T mediante il perossido d’idrogeno (acqua ossigenata), una molecola in grado di attivare le pathway di segnalazione responsabili proprio dell’aumento della motilità dei linfociti T. Il perossido di idrogeno, infatti, è una molecola che le cellule bianche del sangue rilasciano quando “rilevano” una infezione al fine di uccidere i batteri e “richiamare” i linfociti T e altre cellule immunitarie per scatenare una risposta infiammatoria.
Come affermato da Ahern, il team di ricerca ha scoperto che la luce stimola la produzione di perossido di idrogeno, il quale rende le cellule T più veloci. In letteratura si sa ormai molto bene che l’acqua ossigenata (o perossido di idrogeno) è un tool usato dalla risposta immunitaria per muovere le cellule T verso il luogo dell’infezione o del danno.
Ovviamente c’è ancora molto lavoro da fare per comprendere l’impatto di queste scoperte, ma Ahern suggerisce che se la luce blu è in grado di attivare i linfociti T in questo senso, con risposte benefiche per l’organismo, avrebbe senso offrire ai pazienti un trattamento a luce blu per potenziare la loro immunità.