Probabilmente nessuno di voi avrebbe potuto immaginarlo, eppure, il plasma attivato, potrebbe essere un valido alleato per la lotta contro la leucemia. Ad affermarlo è uno studio dell’Università di Bologna che ha utilizzato questa particolare tecnologia esponendo un mezzo di coltura ad una scarica a barriera dielettrica pulsata al microsecondo, valutandone, poi, gli effetti su due linee cellulari leucemiche.
IN BREVE
Le caratteristiche della leucemia: un male con una sfida terapeutica ancora aperta
Il focus dei ricercatori dell’università di Bologna è stato questo: cercare una cura sperimentale della leucemia attraverso l’utilizzo del plasma attivato. Ma cos’è la leucemia? Perché è così importante trovare un trattamento innovativo per combatterla? Con i termini tumore/neoplasia si fa riferimento ad una patologia caratterizzata da crescita cellulare incontrollata, non più regolata dai normali processi di check-up dell’organismo. Il nostro corpo, infatti, è in grado, attraverso fini meccanismi di riparazione che coinvolgono il sistema immunitario, di contrastare questa trasformazione. Quando tale controllo viene meno, le cellule “normali” si trasformano in cellule cancerose. La leucemia, come patologia tumorale, non fa eccezione. Essa, infatti, si innesca in seguito ad una crescita incontrollata da parte delle cellule staminali (o blasti), cellule immature prodotte dal midollo osseo e progenitrici delle cellule costituenti la parte corpuscolata del sangue (globuli rossi, bianchi, piastrine). La principale classificazione delle leucemie è basata sulla natura della cellula staminale interessata dalla trasformazione neoplastica. Pertanto, si parlerà di leucemia linfoide se scaturita dalle cellule linfoidi del midollo osseo (dalle quali si sviluppano i globuli bianchi chiamati linfociti) e leucemia mieloide se interessa le cellule mieloidi (dalla quale si sviluppano globuli rossi, piastrine e globuli bianchi diversi dai linfociti). Sulla base di questi criteri, le forme più comuni di leucemia risultano essere:
- la leucemia linfoblastica acuta (LLA);
- la leucemia linfocitica cronica (LLC);
- la leucemia mieloide acuta (LMA);
- la leucemia mieloide cronica (LMC).
I report sui dati statistici purtroppo non sono confortanti: in Italia vengono diagnosticati circa 15 nuovi casi di leucemia ogni 100.000 persone all’anno (16,9 casi ogni 100.000 uomini e 12,8 ogni 100.000 donne) e tale patologia risulta molto più frequente nell’età infantile. Dal punto di vista dei fattori di rischio, i principali riconosciuti sono:
- l’esposizione a radiazioni ionizzanti
- l’esposizione a benzene
- l’esposizione a formaldeide
- la chemioterapia citotossica.
Il fumo di sigaretta, in particolare, è la più comune fonte di esposizione a benzene e corrisponde a un rischio di 1,2-2,3% di incidenza di LMA. Tuttavia, il numero di soggetti esposti ai noti fattori leucemogenici è sicuramente in eccesso rispetto a quello di soggetti che sviluppano la leucemia. Ad esempio, lo sviluppo appena citato di LMA dopo esposizione a benzene può riflettere polimorfismi genetici (variazione genetica con prevalenza maggiore dell’1% nella popolazione) negli enzimi che detossificano il benzene e altri tossici carcinogeni, quali la NAD(P)H quinone ossido reduttasi-I o enzimi membri della famiglia della citocromo p450. Dunque, è lecito asserire che gran parte delle leucemie è dovuta ad anomalie del DNA nei cromosomi o nei singoli geni (come quella a carico del gene BCR-ABL del cromosoma Philadelphia formato dalla fusione di due porzioni di DNA o RAS, recettori di tirosin-chinasi FLT3 e c-KIT, della superficie cellulare) che vengono acquisite in modo casuale durante la vita. L’ampia eterogeneità clinica delle forme leucemiche si riflette in una complessità di approccio terapeutico, in cui l’intensità del trattamento è modulato in rapporto alla gravità ed al tipo di condizione ed alla relativa prognosi. La chemioterapia convenzionale è un’opzione terapeutica molto sfruttata, anche se alcuni pazienti vengono trattati contemporaneamente con la radioterapia e/o la terapia biologica (o a bersaglio molecolare, che impiega anticorpi monoclonali). Nei casi gravi, invece, il trapianto di cellule staminali può rappresentare una valida alternativa. Tra i principali farmaci impiegati si ricordano: daunorubicina (antibiotico in grado di impedire la sintesi di DNA ed RNA delle cellule tumorali, spesso usato in combinazione con la citarabina), cladribina (farmaco citotossico ed immunosoppressore), nilotinib (usato per la leucemia mieloide cronica positiva per il cromosoma Philadelphia), rituximab (anticorpo monoclonale), clorambucile (altera la sintesi e la produzione del DNA), imatinib (appartenente agli inibitori delle tirosin chinasi, proteine espresse sulla membrana delle cellule tumorali coinvolte nella loro crescita e proliferazione) ecc. Purtroppo, queste terapie non sempre garantiscono la totale guarigione del paziente, non sono atossiche, inoltre, interagiscono in maniera negativa con diversi altri farmaci. Pertanto, lo studio e la ricerca di una nuova cura sperimentale per la leucemia, come quella potenzialmente offerta dal plasma attivato, diventano un’esigenza indispensabile per arginare tale emergenza sanitaria.
Cos’è esattamente il plasma e come viene generato?
Il plasma, o “quarto stato della materia” in quanto distinto dai classici solido, liquido ed aeriforme, è un gas ionizzato, ovvero un gas in cui una frazione di elettroni è stata strappata dai rispettivi atomi, formato da un insieme di particelle cariche la cui carica elettrica totale però è nulla; dunque è globalmente neutro. Il plasma atmosferico freddo (CAP, cold atmospheric plasma) è un particolare tipo di plasma creato a pressione atmosferica e contraddistinto da una temperatura macroscopica inferiore ai 40°C. Tra i principali sistemi per la generazione del plasma vi sono la sorgente con scarica a barriera dielettrica (DBD), sorgente di plasma a pressione atmosferica, ed il plasma jet. Nella DBD la scarica è generata fra due elettrodi di materiale conduttore tra cui è posto del materiale dielettrico in modo da limitare la scarica in corrente che può fluire a causa della differenza di potenziale applicata fra gli elettrodi. La distanza fra gli elettrodi è fissa e può variare da qualche micrometro a qualche centimetro a seconda del dispositivo. Il plasma jet, invece, ha la particolarità di generare un plasma non confinato all’interno di una struttura ma che esce dal sistema. Questa caratteristica lo rende ottimale per i trattamenti medici poiché ha meno limitazioni applicative. Il plasma, infatti, si propaga lontano dalla regione ad alto voltaggio, è sicuro dal punto di vista elettrico e non può causare danni al campione da trattare o alla persona. Infine il diametro del plasma può essere anche molto piccolo, permettendo un trattamento localizzato. I trattamenti indiretti con DBD, tuttavia, hanno simili vantaggi, in quanto l’oggetto non viene posto all’interno degli elettrodi ma in una zona vicina
Come viene usato il plasma in medicina?
Il plasma atmosferico freddo, nel corso degli anni, ha trovato diverse applicazioni nel campo biomedicale, grazie ai suoi effetti: sulla guarigione delle ferite, sulla coagulazione del sangue, antimicrobici, promozione della morte cellulare e sulla proliferazione delle cellule endoteliali. A conferire le molteplici e variegate attività è l’interazione delle proprietà chimiche (presenza di specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto) e fisiche (radiazioni ultraviolette, calore e campo elettromagnetico) con i componenti cellulari. Per quanto riguarda la sua azione antitumorale, essa è stata comprovata su una vasta gamma di tipologie di cancro inclusi melanoma, cancro ai polmoni, ovaie, prostata e tumori ematologici maligni. Ricerche più approfondite hanno indagato anche il meccanismo molecolare con cui il plasma atmosferico freddo agisce, suggerendo una sua azione modulativa di diversi “pathways” o “vie” che servono a veicolare determinati segnali a livello cellulare. Oltre a tutto questo il plasma è in grado di attivare la risposta immunitaria adattiva, indispensabile negli studi in vivo, in quanto permette all’organismo di riconoscere le cellule tumorali, bloccarne l’espansione ed eliminarle. Inoltre, stimola i macrofagi (specifiche cellule immunitarie chiamate anche “spazzini dell’organismo”) ad indurre morte cellulare immunogenica, in grado di convertire le cellule morte in una specie di “vaccino” naturale in grado di stimolare l’immunità antitumorale.
I risultati della ricerca
Dunque, cosa è emerso dagli studi dei ricercatori di Bologna? Il loro lavoro ha riguardato, in primo luogo, la creazione del plasma freddo. Per fare ciò sono partiti da un normale mezzo di coltura cellulare, il Roswell Park Memorial Institute Medium (RPMI) 1640, esponendolo ad una sorgente plasma jet con scarica a barriera dielettrica pulsata al microsecondo in modo da creare un mezzo plasma attivato (PAM). Come secondo step è stato valutato l’effetto del PAM, in vitro, su cellule di leucemia linfoblastica (tumore sanguigno che prende origine da un accumulo di linfociti nel sangue). Dopo solo 24h ore di trattamento è stata riscontrata una diminuzione della vitalità cellulare e l’innesco della morte cellulare sia per apoptosi (o morte cellulare programmata) che per necrosi (morte cellulare dovuta ad alterazioni strutturali irreversibili). Inoltre, il PAM ha prodotto l’arresto del ciclo cellulare (serie di eventi che avviene nelle cellule eucariote funzionali alla crescita ed alla duplicazione cellulare) nella fase G0/G1. Come per il già citato plasma atmosferico freddo, anche l’azione del PAM sembra essere collegato alla presenza di specie reattive di azoto ed ossigeno, responsabili dello stress ossidativo cellulare. L’uso di agenti antiossidanti o “scavengers” quali N-acetilcisteina e O-fenantrolina, infatti, ha ridotto in maniera significativa l’attività proapoptotica dimostrata dal plasma. Inoltre, partendo dal presupposto che la condizione di ipossia (carenza di ossigeno) è associata all’instaurarsi della chemioresistenza, la citotossicità del PAM è stata verificata inducendo questa situazione. Come risultato, si è avuto un aumento dell’apoptosi dopo 48 h di trattamento. I potenziali responsabili dell’effetto potrebbero essere i nitriti, nettamente maggiori durante l’ipossia rispetto alla condizione normale (normossia). In più, per verificarne l’esclusività nei confronti delle cellule tumorali, gli effetti del trattamento al plasma sono stati provati anche sui normali linfociti stabilendo, dunque, una parziale selettività per le cellule di leucemia. Ovviamente, questa è solo la prima fase di un processo che potrebbe portare allo sviluppo di un trattamento vero e proprio che però, se dovesse essere validato, potrebbe andare, con il tempo, a sostituire il trapianto di midollo osseo, una delle alternative terapeutiche più aggressive. Tuttavia, ancora tanto è il lavoro da fare per approfondire lo studio sul PAM, validarne l’efficacia ed escluderne la tossicità.
I diversi utilizzi della tecnologia al plasma
La tecnologia al plasma, tuttavia, non è usata solo nel campo biomedicale, anzi. Dagli anni ’70 in poi essa ha trovato sempre maggiore applicazione industriale grazie alla sua versatilità. Le applicazioni delle tecnologie “plasma-enhanced” vengono classificate in:
- Applicazioni che contemplano la deposizione di films organici e/o inorganici sulle superfici (fenomeno definito plasma coating)
- Applicazioni che utilizzano il plasma per attivare/modificare le superfici con o senza la sua funzionalizzazione.
Inoltre, è importante ricordare che i trattamenti via plasma freddo possono essere effettuati su ogni tipo di materiale grazie alla particolarità del gas di mantenere la temperatura media a contatto con la superficie praticamente pari a quella ambiente. Naturalmente questa tecnologia è da ritenersi vantaggiosa per la maggior parte dei settori industriali ogni qual volta vi sia la necessità di modificare la superficie di un prodotto senza intaccarne il corpo interno. Le principali caratteristiche che vengono modificate o aggiunte tramite l’utilizzo del plasma (e le industrie che ne traggono vantaggio) sono:
- Adesione: la variazione di tale parametro potrebbe essere fondamentale per industrie quali quelle tessili, della carta, automobilistiche, dei trasporti, della moda ecc in quanto potrebbe permettere/migliorare l’adesione di metalli, polimeri, colori, fibre, resine…
- Effetto barriera: formazione di films sia trasparenti che colorati per imballaggi alimentari e non;
- Biocompatibilità, effetto antibatterico ed antifouling (antivegetativo): caratteristiche indispensabili nell’industria biomedica (protesi, valvole cardiache ecc) ed alimentare;
- Conducibilità elettrica e durezza superficiale: utili, principalmente, per i settori di elettronica, di imballaggi, ottica, componentistica trasporti;
- Rivestimento di superfici con films idrofili, idrofobi, protettivi: la maggior parte delle industrie (ottica, biomedicale, tessile, edilizia, alimentare, carta, restauro dei beni culturali) se ne serve per ottenere un rivestimento (del prodotto o del packaging) protettivo nei confronti di agenti aggressivi, anticorrosione ed autopulenti;
Fonte
- Plasma‐activated medium as an innovative anticancer strategy: Insight into its cellular and molecular impact on in vitro leukemia cells
Plasma Processes and Polymers - Low tempaerature plasma technology. Methods and applications.
CRC press