Dagli studi sui movimenti del macaco alle teorie sulla comprensione della mente di chi è intorno a noi. Quando nel 1992 Giacomo Rizzolatti e il suo team scoprirono i neuroni specchio non immaginavano l’importanza del loro lavoro. In questo articolo ripercorremo le tappe dell’esperimento, per arrivare alle implicazioni psicologiche più importanti dell’esistenza dei neuroni specchio: empatia ed assenza di empatia.
IN BREVE
Indice
SO QUEL CHE FAI: GIACOMO RIZZOLATTI E I NEURONI SPECCHIO
Nato a Kiev nel 1937, Giacomo Rizzolatti ha studiato Medicina a Padova, specializzandosi in neurologia. Successivamente è diventato docente di Fisiologia nella città di Parma ed è stato nominato Presidente della Società italiana di Neuroscienze e della European Brain Behavior Society. La ragione è che si tratta di uno dei ricercatori più stimati del panorama internazionale, grazie alla scoperta dei neuroni specchio. Una scoperta che ha fatto luce sui meccanismi psicologici delle relazioni interpersonali e, per certi versi, accidentale. Negli anni ’90 il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e il suo team dell’Istituto di Fisiologia di Parma stavano studiando i correlati neuronali dei movimenti della mano nel macaco. Grazie a dei microelettrodi posizionati in corrispondenza della corteccia premotoria hanno potuto identificare i neuroni che controllavano le varie conformazioni della mano, come il pugno o l’afferramento di cibo. Dopo la sessione gli sperimentatori presero con le mani degli oggetti di fronte alla scimmia, ma i microelettrodi stavano ancora registrando l’attività cerebrale. Sorprendentemente notarono che quel gesto produceva nell’animale la risposta degli stessi neuroni responsabili del suo movimento di afferramento. Quell’evento inaspettato, mai osservato prima, richiedeva una spiegazione.
Il sistema mirror
Perché le cellule che controllavano il movimento della mano erano attive anche quando la scimmia vedeva qualcuno muovere la mano? Secondo l’ipotesi dello studio ciò serviva a comprendere il significato delle azioni degli altri. Giacomo Rizzolatti e la sua squadra chiamarono queste cellule neuroni specchio per la prima volta in una nuova pubblicazione del 1996. Grazie a questo meccanismo l’azione verrebbe rappresentata nel cervello – senza essere messa in atto – , permettendo di capirne il senso. L’ipotesi di Rizzolatti ha acquisito sempre più validità negli anni successivi: gli studi sono notevolmente aumentati, e hanno dimostrato l’esistenza dei neuroni specchio anche nell’uomo. Come nel macaco, sono stati trovati a livello della corteccia premotoria, ma oggi sappiamo che il “sistema mirror” è molto più vasto di quanto si era creduto in principio: comprende anche il lobulo parietale inferiore (LPI) – una regione più posteriore del cervello – e il giro frontale inferiore (GFI) – nei lobi frontali.
La comprensione delle intenzioni
Oltre che comprendere il significato delle azioni, alcuni dei neuroni specchio di queste aree ci rendono in grado di predire le intenzioni dei comportamenti che osserviamo. In che modo? Quando abbiamo un’intenzione eseguiamo delle sequenze di azioni che ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo, e per questo vengono reclutati specifici set di neuroni. Le indagini sul macaco hanno mostrato che quando osserva i comportamenti di qualcuno, l’attivazione selettiva di set di neuroni – gli stessi che scaricherebbero se quell’azione fosse eseguita dall’animale – genera un meccanismo di rispecchiamento che è alla base della comprensione delle intenzioni degli altri. Un rispecchiamento riguardante il movimento prima, e il suo proposito poi. Esiste una relazione tra i neuroni specchio e il rispecchiamento empatico? Effettivamente sì: il sistema mirror è parte di un più ampio circuito dell’empatia. Ma ha più senso pensare che i neuroni specchio siano solo il presupposto dell’empatia.
IN TE MI SPECCHIO: DAL SISTEMA MIRROR ALL’EMPATIA
In te mi specchio è tra i libri più famosi di Giacomo Rizzolatti, in cui il neuroscienziato parla dell’empatia. Empatia, ovvero capacità di identificare cosa sta provando l’altro e di rispondere con un’emozione congruente. Alcuni studiosi, affrettatamente, la confondono con i neuroni specchio, ma il processo empatico implica più di un semplice rispecchiamento automatico. Consideriamo alcuni fatti quotidiani per chiarire la differenza. Vi è mai capitato di sbadigliare subito dopo che l’avesse fatto un’altra persona? Sicuramente sì! È una dimostrazione di “contagio” causato dall’attività dei neuroni specchio. Adesso ripeschiamo dalla memoria una situazione in cui abbiamo confortato una persona cara, per esempio un’amica in difficoltà per problemi a lavoro. Di certo non eravamo allegri mentre le eravamo vicini, sicuramente le nostre emozioni erano congruenti col suo disagio. Cosa c’è in più rispetto allo sbadiglio indotto? Ci sono le emozioni! La comprensione esplicita dello stato della nostra amica ci fa provare dei sentimenti appropriati, come in un “contagio emotivo“.
Il circuito dell’empatia
Anche se non sono la stessa cosa, il circuito dell’empatia si sviluppa a partire dal circuito dei neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, e comprende molte aree con funzioni diverse. Per esempio la corteccia prefrontale mediale (CPFm) è il substrato neurale del confronto tra i pensieri nostri e degli altri. L’amigdala è il centro del riconoscimento delle emozioni. Per sapere qualcosa sui sentimenti delle persone, inoltre, abbiamo bisogno di interpretare il loro sguardo. La regione cerebrale direttamente implicata in questa funzione è il solco temporale superiore (STS). Un aspetto interessante è che il contagio emotivo dell’empatia non è sempre un bene: a volte ci è richiesto di essere meno coinvolti, semplicemente di riconoscere le intenzioni e le emozioni dell’altro. In queste situazioni la giunzione temporo-parietale (GTP) ha un ruolo chiave. Alcuni studiosi si sono chiesti se queste aree possano essere “spente” nelle persone che commettono crimini. Secondo questa interessante prospettiva la crudeltà è sinonimo di mancanza di empatia.
TENTATIVO DI SPIEGAZIONE DELLA MALVAGITÀ
Se venissimo interrogati su quale sia l’origine dei mali commessi da alcune persone potremmo rispondere che dietro le loro azioni c’è la malvagità. Una spiegazione così banale richiede però un approfondimento. Se siamo programmati per essere empatici, come è possibile che esistano i comportamenti criminali? Quando si infligge dolore ad un’altra persona necessariamente la sua soggettività, i sentimenti e le emozioni scompaiono. In altre parole, viene svalutata e trasformata in oggetto. Un individuo con simili caratteristiche che abbia commesso uno stupro non prova nessun rimorso: non ha la minima idea di cosa abbia provocato all’altro. È quello che si considera grado 0 dell’empatia. Avere un grado 0 di empatia significa sentirsi sempre nel giusto e non sapere che esistono altri punti di vista e pensieri. Significa, quindi, essere avvolti da una bolla di egoismo e disinteressarsi delle altre persone. In questo stato le emozioni negative, i desideri di vendetta o l’odio non possono che provocare azioni orribili.
Arresto dello sviluppo dell’empatia
A partire dalla quattordicesima settimana di gestazione i gemelli iniziano ad avvicinarsi tra loro. Questo comportamento è stato interpretato come naturale predisposizione dell’essere umano alla socializzazione. In quale momento si può arrestare lo sviluppo dell’empatia? I primi anni di vita sono un momento critico, durante il quale i bambini hanno bisogno di ricevere in dono attenzioni ed emozioni positive. Un dono fondamentale per il benessere che porteranno con loro per sempre. In questa fase riescono anche ad immaginare cosa pensano i loro genitori: ne comprendono emozioni, pensieri ed intenzioni. In presenza di genitori non amorevoli immagineranno di essere rifiutati, svilupperanno sentimenti di odio ed intense emozioni negative, e per questa ragione sarà favorito il deragliamento verso il grado 0 dell’empatia. La storia di molti psicopatici racconta proprio questo. La sfida futura consisterà nel capire se possano essere introdotte strategie di sviluppo dell’empatia – psicoterapie, tecniche di gioco di ruolo – , in sostituzione della reclusione dei criminali.
Fonte
- Understanding motor events: A neurophysiological study
Experimental Brain Research - Premotor cortex and the recognition of motor actions
Cognitive Brain Research - Parietal Lobe: From Action Organization to Intention Understanding
Science - Wired to be social: the ontogeny of human interaction
Plos One - La scienza del male
S. Baron-Cohen (2011)