Come sono nate le catene montuose e gli oceani? La teoria della tettonica a placche risponde a questa ed altre domande descrivendo il comportamento della litosfera e ricostruendo la disposizione delle placche tettoniche nelle ere geologiche. Questa teoria getta le basi per la comprensione di fenomeni complessi come terremoti ed eruzioni vulcaniche.
IN BREVE
Indice
TETTONICA A PLACCHE
Osservando i fenomeni naturali che avvengono sul nostro pianeta è possibile notare che alcuni di questi, come eruzioni vulcaniche, movimenti franosi e terremoti, siano in grado di cambiare l’ambiente circostante molto velocemente. La formazione di una catena montuosa come le Alpi o gli Appennini, di un oceano o di isole vulcaniche, sono invece processi molto più lenti e che agiscono nell’arco di milioni di anni. La teoria della tettonica a placche (o a zolle) si basa proprio su questo concetto di lentezza e gradualità ed è alla base della gran parte delle conoscenze geologiche che permettono di studiare e gestire fenomeni complessi come i terremoti.
Secondo questa Teoria la litosfera, ovvero la porzione più rigida della Terra che comprende la crosta terrestre e parte del mantello superiore, non è un unico blocco uniforme ma è suddiviso in tanti pezzi (le placche) di diverse dimensioni posti al di sopra dell’astenosfera. Quest’ultima è molto meno rigida della litosfera in quanto le rocce che la compongono sono parzialmente fuse, ciò le consente di scorrere e di far muovere le sovrastanti placche tettoniche in lunghi periodi di tempo. Queste placche si muovono molto lentamente avvicinandosi, allontanandosi o scorrendo lateralmente l’una rispetto all’altra, così facendo producono terremoti ed eruzioni vulcaniche localizzati al bordo delle placche.
Molto spesso quando si parla di tettonica delle placche si fa riferimento al fenomeno della deriva dei continenti, ma è importante sottolineare che le placche tettoniche non coincidono esattamente con i continenti che si osservano sulle carte geografiche: essi rappresentano soltanto la parte emersa delle placche litosferiche.

Tettonica a placche e deriva dei continenti
Fino al XIX secolo si aveva l’idea che tutte le forze agenti all’interno della Terra fossero orientate verticalmente (come la forza di gravità) e che tutti i processi geologici come l’orogenesi (formazione delle catene montuose) fossero determinate da tali forze. Tuttavia, questa antica scuola di pensiero fu messa in discussione da diversi scienziati: Francis Bacon nel 1620 e Antonio Snider nel 1858 misero in evidenza che le coste dei continenti attorno all’oceano Atlantico sembravano combaciare come le tessere di un puzzle e Snider riuscì a ricostruire il movimento relativo dei continenti.
Alla fine del 1900 lo scienziato Eduard Suess propose l’esistenza di due supercontinenti durante il Paleozoico, ovvero Gondwanaland e Laurasia. Secondo la sua ricostruzione Gondwanaland era un supercontinente meridionale che avrebbe successivamente formato, a causa della sua disgregazione in epoca mesozoica, il continente africano, antartico, indiano, sudamericano, arabo e australiano. Laurasia, posta più a nord rispetto a Gonwanaland, sarebbe stata costituita dagli attuali continenti settentrionali del Nord America, Europa e gran parte dell’Asia.
Le teorie proposte da questi scienziati invocano implicitamente la presenza di forze orizzontali capaci di produrre movimenti di interi continenti. Durante il ventesimo secolo furono molti gli scienziati che lavorarono alla così detta “ipotesi dello spostamento” ma colui che unificò tutte le ricerche fu Alfred Wagner che nel 1912 coniò il termine Pangea, ovvero un unico grande continente, esistito durante il Paleozoico, circondato da un unico grande oceano chiamato Panthalassa. Wagner denominò tale fenomeno di spostamento “deriva dei continenti”.
Wagner, in realtà, oltre ad essere un geologo era anche un climatologo, perciò le prime prove che egli portò a favore della sua teoria derivavano dallo studio del clima delle epoche passate in cui Pangea andò pian piano a dividersi. Nel 1937 Alexander du Toit fornì ulteriori prove di natura paleontologica, tettonica e sedimentologica che andavano a sostegno della deriva dei continenti. La teoria di Wagner non fu vista di buon occhio da molti suoi colleghi geologi e fisici in quanto non forniva alcuna spiegazione dettagliata del meccanismo fisico alla base della teoria stessa.
Soltanto nel 1944 Holmes fornì un modello fisico che potesse spiegare la teoria di Wagner, in cui ipotizzava che all’interno del mantello si sviluppassero dei così detti moti convettivi, i quali rappresenterebbero il motore della tettonica delle placche. Tali moti sono il prodotto di un meccanismo particolare del trasporto di calore noto come convezione, che possiamo osservare quotidianamente ogni volta che cuciniamo della pasta o accendiamo il climatizzatore per raffreddare una stanza. Le rocce nelle profondità del mantello sono molto calde e meno dense rispetto alle più fredde rocce poste a minor profondità. Questa differenza di densità produce una lenta risalita del materiale profondo che si raffredda, diventa più denso e affonda di nuovo riscaldandosi per ricominciare il ciclo.

TIPI DI MARGINI DI PLACCA
Notevoli sviluppi della teoria si ebbero in seguito alla Seconda guerra mondiale quando furono condotte delle campagne oceanografiche volte a ricostruire la morfologia dei fondali oceanici. In questo modo vennero scoperte le dorsali oceaniche, ovvero lunghi rilievi sottomarini, le fosse oceaniche ai bordi dei continenti (un esempio è dato dalla famosa Fossa Delle Marianne) e delle particolari strutture, simili a strappi su un foglio di carta, che dislocano orizzontalmente le dorsali oceaniche.
Inoltre, si capì che in realtà la deriva dei continenti è soltanto una conseguenza del movimento delle più grandi placche tettoniche che trasportano passivamente i continenti sovrastanti (i continenti rappresentano soltanto la parte emersa delle placche tettoniche).
Importanti passi avanti furono compiuti da Hess e Dietz nel 1962 che capirono che a ridosso delle dorsali oceaniche viene generata nuova crosta oceanica: i moti convettivi provocano la risalita di materiale mantellico caldo a ridosso delle dorsali dove poi si espande lateralmente in seguito alle continue eruzioni dando vita al fenomeno dell’espansione oceanica. La produzione di nuova crosta oceanica deve però essere accompagnata da una sua contemporanea distruzione, ciò avviene a ridosso delle fosse oceaniche grazie ad un fenomeno chiamato subduzione.
Lo sviluppo di reti sismiche a scala mondiale ha permesso di localizzare con accuratezza moltissimi terremoti, ciò ha permesso di osservare che gli ipocentri si localizzano per la maggior parte in specifiche zone che corrispondono ai margini delle placche tettoniche dove esse si scontrano, si separano o scorrono lateralmente. Alla luce delle nuove conoscenze, fornite da un’incredibile avanzamento tecnologico, è stato possibile classificare i margini di placca in differenti categorie: margini costruttivi, distruttivi e conservativi.
Margini costruttivi
I margini costruttivi sono anche chiamati margini divergenti in quanto sono formati da due placche che si allontanano tra loro. Questo allontanamento produce una diminuzione di spessore della litosfera e una contemporanea risalita di magma che darà vita a nuova crosta oceanica. Man mano che l’allontanamento delle due placche procede la litosfera diventa sempre più sottile e viene alla luce sempre più crosta oceanica. Se l’allontanamento (rifting) procede con successo viene a formarsi un nuovo oceano che pian piano diventa sempre più grande.
La testimonianza di questo processo è data dalle anomalie magnetiche delle rocce del fondale oceanico, che sono simmetriche alla dorsale stessa. La formazione di queste anomalie è dovuta a due fenomeni diversi: la formazione di nuova crosta oceanica e la periodica inversione dei poli magnetici della Terra. Quando una dorsale oceanica produce nuovo magma i minerali ferromagnetici contenuti in esso verranno magnetizzati parallelamente al campo magnetico presente in quel momento che potrà essere normale (come quello attuale) o inverso (opposto a quello attuale). Man mano che le due placche si allontanano anche le rocce prodotte dal raffreddamento del magma si allontanano dalla dorsale che continuerà a produrre nuovo materiale. Se il campo magnetico cambia, a causa di un’inversione dei poli, le nuove rocce che si formeranno vicino la dorsale registreranno tale cambiamento magnetizzandosi in direzione opposta rispetto al campo magnetico precedente.
Tale fenomeno produce delle anomalie magnetiche parallele al margine stesso, ovvero una serie di strisce di rocce magnetizzate parallelamente al campo magnetico attuale che si affiancano a strisce di rocce magnetizzate in senso opposto. Inoltre, si osserva che man mano che ci si allontana dalla dorsale oceanica le rocce che costituiscono il fondale oceanico diventano sempre più antiche, dando prova del fenomeno dell’espansione del fondale oceanico.

Margini distruttivi
I margini distruttivi sono anche chiamati margini convergenti in quanto sono localizzati là dove due placche tettoniche si avvicinano tra loro. Quando avviene lo scontro possono verificarsi diversi fenomeni: se le due placche sono costituite una da crosta continentale (con composizione granitica) e l’altra da crosta oceanica (con composizione peridotitica) avviene il fenomeno della subduzione.
In questo processo, la placca costituita dalla più densa crosta oceanica scivola al di sotto della crosta continentale dando vita al così detto piano di Benioff cui è associata un’elevata attività sismica. La placca in subduzione, man mano che scende all’interno del mantello, è sottoposta a notevoli pressioni e innalzamenti di temperatura che la portano a espellere fluidi incorporati nelle rocce. La presenza di fluidi causa un abbassamento del punto di fusione delle rocce producendo la loro fusione e quindi la formazione di magma. Questo processo porta alla formazione di un arco vulcanico proprio al di sopra della placca costituita da crosta continentale. Un esempio di questo fenomeno è dato dalla catena delle Ande, che dà il nome alla roccia tipica di questo tipo di ambiente: le andesiti.
Un processo analogo avviene se a scontrarsi sono due placche oceaniche, dove una delle due scivola sotto all’altra e provoca la formazione di un arco di isole vulcaniche. Quando lo scontro avviene tra due placche continentali, il processo di subduzione non si instaura con facilità, perciò le due placche si scontrano producendo una catena montuosa. Un esempio di quest’ultimo processo è dato dalla convergenza della placca indiana con quella euroasiatica che ha dato vita alla catena montuosa dell’Himalaya.
Margini conservativi
I margini conservativi, anche chiamati trasformi, hanno luogo là dove due placche tettoniche scorrono lateralmente l’una rispetto all’altra senza comportare produzione o distruzione di crosta. I margini trasformi possono collegare due diverse zone di subduzione o, più frequentemente, collegano segmenti diversi di una dorsale oceanica.
A ridosso di tali margini possono avvenire fortissimi terremoti: man mano che le due placche si muovono, a ridosso del margine viene accumulata energia elastica che viene rilasciata improvvisamente una volta raggiunto il punto di rottura. Un esempio di questo tipo di margine è la faglia di San Andreas, responsabile di terremoti di elevata magnitudo come quello del 1906 di magnitudo 7.9.
TETTONICA A PLACCHE MAPPA CONCETTUALE: IL CICLO DI WILSON
I punti chiave della tettonica a placche sono contenuti nella descrizione schematizzata del ciclo di Wilson. Esso descrive come evolve nel tempo il processo della tettonica a zolle, partendo dalla genesi graduale di un nuovo bacino oceanico e di come esso verrà distrutto completamente.
Questo ciclo prende il nome dall’omonimo scienziato Tuzo Wilson, ed è schematizzato in sei step successivi: nei primi tre si spiega come una placca litosferica stabile può andare incontro ad un processo di rifting continentale dando vita prima ad un oceano in stato embrionale (step 1), poi ad un oceano giovane (step 2) e poi ad un oceano maturo (step 3). Il protagonista di questi tre step è quindi il margine costruttivo.
Quando la dorsale non produce più crosta oceanica, il bacino va incontro ad un processo di distruzione a ridosso dei margini distruttivi attraverso il processo della subduzione (step 4). Pian piano, il bacino oceanico si ciude completamente (Step 5) e avviene una collisione tra continenti, portando in questo modo alla formazione di una catena montuosa (step 6). Il ciclo riprende partendo da un continente stabile che subisce una nuova fase di rifting.

QUAL È IL MOTORE DELLA TETTONICA DELLE PLACCHE?
Nonostante i notevoli progressi fatti in questo campo, non è ancora chiaro quali siano i processi che portano le placche a muoversi e a dare vita ad oceani e catene montuose. Esistono diverse forze che agiscono nella tettonica a placche, alcune favoriscono il movimento, altre lo rallentano.
In primo luogo, si ha la forza di trascinamento dovuta ai moti convettivi che trasportano le placche litosferiche come delle zattere su un fiume. Tuttavia, in base alla direzione del moto convettivo, esso può anche sfavorire il movimento di una placca se agisce in direzione opposta del movimento della placca stessa.
Altre forze che contribuiscono al movimento delle placche sono il “rige push”, ovvero la spinta che produce una dorsale oceanica generando nuova crosta, e la “slab pull” dovuta alla placca in subduzione che trascina verso il margine distruttivo il resto della placca a cui è attaccata. Le forze che si oppongono al movimento delle placche sono la “slab resistance force”, che impedisce alla placca in subduzione di scivolare ancora più in profondità, e la “transform force” vista come una forza di attrito esistente in corrispondenza dei margini trasformi che resiste al movimento delle placche.
Il dibattito su quale tra queste forze predomina sulle altre e sulla presenza eventuale di ulteriori forze è ancora aperto e nuovi studi sono necessari per capire meglio questo fenomeno complesso.
Fonte
- Fundamentals of Geophysics. William Lowrie, 2012
Cambridge University Press - Fifty years of the Wilson Cycle concept in plate tectonics: an overview. WILSON, Robert W., et al. 2019.
Geological Society, London, Special Publications