L’olio di palma è il composto organico più demonizzato dall’opinione pubblica negli ultimi mesi. Il nuovo tormentone alimentare è che questa molecola sia responsabile di un ampio spettro di malattie, che vanno dalle patologie cardiovascolari al tumore. La sua presunta pericolosità viene collegata alla sua composizione molecolare, ricca di grassi saturi che aumentano i livelli di colesterolo nel sangue. Ma quanto di ciò che leggiamo sull’olio di palma è scientificamente provato e che percentuale è invece dovuta agli isterismi del momento?
Le molecole chimiche che costituiscono i grassi, sono formate da lunghe catene di carbonio e idrogeno. Queste catene prendono il nome di acidi grassi e si suddividono in due grandi categorie: i grassi saturi, in cui il contenuto di idrogeno è massimo, e quelli insaturi, che presentano legami doppi tra gli atomi di carbonio, e contengono perciò meno idrogeno. Questa differenza atomica si riflette sulla struttura tridimensionale, che assume una conformazione lineare per i grassi saturi e piegata per quelli insaturi. Nell’insieme, ad un livello macroscopico e visibile all’occhio umano, le miscele di grassi saturi appaiono solide (come il burro), a differenza di quelle insature che si trovano allo stato liquido (ad esempio l’olio).
I grassi che noi assumiamo con l’alimentazione sono miscele di acidi grassi: questo significa che contengono percentuali diverse di molecole sature e insature.Estratto dalle piante del genere Elaeis, nell’olio di palma il rapporto tra le due classi di molecole è praticamente uguale. La componente satura è formata da 44% di acido palmitico, 5% di acido stearico, 1% di acido miristico. Quella insatura comprende 39% di acido oleico e 11% di acido linoleico. Ma non è tutto: l’estratto grezzo dell’olio di palma contiene anche vitamina E, carotenoidi e antiossidanti, che proteggono dal rischio di malattie cardiovascolari. Studi condotti in Cina hanno valutato l’effetto sui livelli di colesterolo di una dieta basata sul consumo di olio di palma. Il risultato è stato che questo tipo di alimentazione mostrava una riduzione dei livelli di colesterolo nel siero sanguigno. Un’analoga correlazione positiva per la salute umana è stata individuata in ricerche su popolazioni in cui il consumo di olio di palma è estremamente elevato, ovvero in paesi dell’Africa come il Ghana e la Nigeria.
Le abitudini alimentari di questi paesi sono molto diverse da quelle occidentali. In Europa, così come negli Stati Uniti, si ha un elevato consumo di carne e di grassi di derivazione animale, nonché un ampio utilizzo della tecnica di cottura della frittura. Ciascun grasso è infatti caratterizzato da una specifica temperatura di soglia, detta punto di fumo, oltre la quale vengono rilasciate sostanze nocive. L’olio di palma ha un punto di fumo tra i più elevati (circa 232 °C) e questo lo rende particolarmente adatto a friggere il cibo in profondità, senza renderlo tossico. Il problema è che questo discorso vale finché l’olio viene utilizzato per una singola frittura e poi sostituito, un’accortezza che per risparmiare tempo e denaro non viene sempre rispettata.
In ultimo bisogna considerare che l’olio di palma che arriva nei nostri alimenti può essere raffinato industrialmente. Sono queste modificazioni chimiche a trasformare l’olio di palma grezzo (anche detto rosso) in olio di palmisto, che non contiene più le componenti vitaminiche e antiossidanti. Ovviamente l’abuso di prodotti contenenti olio di palmisto in una dieta che è già ricca di alimenti grassi costituisce un mix letale per il colesterolo e aumenta il rischio di malattie cardiovascolari.
Fonte : Pubmed