Ne sentiamo parlare spesso, ma sappiamo davvero cos’è l’ego? Proviamo ad elaborare una definizione, il corretto significato di questo termine che identifica una parte della nostra mente, identificandolo fra neuroscienze e psicoanalisi.
IN BREVE
L’ego è un qualcosa di cui sentiamo parlare spesso, soprattutto in una società come la nostra dove non mancano figure il cui senso d’identità individuale finisce spesso per essere troppo prorompente, e talvolta sfociare nell’egocentrismo. Ma che cos’è davvero l’ego?
Proviamo ad analizzarlo partendo dalla psicoanalisi: nel XIX secolo il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, fu il primo a dare una definizione di ego completa in questo campo. Freud considerava l’ego (in tedesco Ich=Io) come una struttura organizzatrice, la parte razionale che ha il compito di controllare le pulsioni ed esigenze sociali di una persona, quelle animante da un istinto primitivo, a loro volta rappresentate dall’Es e dal Super Io.
Tuttavia, nonostante il termine “ego” costituisca ancora una discreta parte di molte terapie psicoanalitiche, non è più utilizzato come una volta all’interno della moderna psicologia e psichiatria.
“Nella teoria freudiana possiede un significato, anche se non molto preciso. Ma all’esterno di essa, è un completo nonsenso. Non si può prendere il concetto di ego ed estrapolarlo, non servirebbe a nulla”The Dana Foundation
– Jerome Kagan
Ecco quanto affermato in merito a questo argomento dal professore emerito Jerome Kagan, uno dei più illustri docenti di psicologia all’Università di Harvard e membro della DANA Foundation. Stando a quanto affermato dallo psichiatra John M. Oldham, capo del personale della Clinica Menninger di Baylor College e presidente dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA), termini come “sé” o “identità” oggi sono, infatti, più comuni rispetto al termine “ego”. Ma se nella psicoanalisi, seppur vagamente, esiste una definizione esplicativa di questa parte della nostra mente, tutt’altro accade nelle neuroscienze.
Dal punto di vista neuroscientifico, infatti, potremmo considerare l’ego come un qualcosa di inesistente, mancherebbe una definizione di ego mirata a spiegarne il significato in questo ambito. “L’ego non esiste nel cervello”, dice ancora il professor Jerome Kagan secondo cui, all’interno del nostro cervello, esisterebbe invece un circuito in grado di controllare l’intrusione di sentimenti come il dubbio e l’ansia, e di modulare la fiducia in se stessi. Le neuroscienze sarebbero quindi lontane dall’identificare la parte cerebrale responsabile dell’ego e delle sue conseguenze: “Non siamo vicini a nominare il circuito del cervello che potrebbe mediare la sensazione di Dio, mi sento grande, Posso conquistare il mondo.”
I ricercatori, applicando gli strumenti forniti dalle neuroscienze moderne, hanno provato a capire quale parte del cervello rappresenta il “sé” e gli altri aspetti dell’ego. In particolare, degli studi sul cervello hanno utilizzato esperimenti di autoreferenza per comprendere meglio il “sé” dal punto di vista neurobiologico: ad esempio, hanno chiesto ad un soggetto di fornire un giudizio su una dichiarazione come “Sono un buon amico” contro una dichiarazione auto-neutrale, come “l’acqua è necessaria per la vita”. Altri ricercatori, invece, hanno esaminato le patologie del cervello nelle persone con disturbi del “sé”. In seguito a questi studi si è potuti giungere ad un legame fra l’attività mentale autoreferenziale e la corteccia prefrontale mediale, ovvero la parte anteriore del lobo frontale che diventa attiva quando il resto del cervello è a riposo, e la cui attività diminuisce quando l’organismo è impegnato in una mansione.
La teoria evidenzierebbe, dunque, indizi dell’ego all’interno di questa parte del cervello. Segnalato per la prima volta dal professore dell’ Università di Washington Marcus E. Raichle, lo studio è stato poi appoggiato da Robin Carhart-Harris e Karl Friston dell’Imperial College London. I due, partendo da questo dato, hanno potuto fornire una loro ipotesi in merito, identificando alla base dell’ego inteso da Freud la corteccia cerebrale e le strutture cerebrali più interne (come il sistema limbico), invece, alla base di ciò che Freud chiamava Es, l’inconscio.
La psicologia e le neuroscienze hanno permesso, nel corso del tempo, di individuare alcune patologie identificabili come disordini del “sé”, dell’ego: ad esempio, il delirio schizofrenico identificato una volta come “una perdita dei confini dell’io”, mentre oggi si pensa che la schizofrenia possa essere causata dalle dimensioni minori dei neuroni di certe aree corticali e dal ridotto numero di connessioni fra di essi.
Nella demenza fronto-temporale, invece, un sintomo chiave è la perdita del senso d’identità, che può talvolta culminare in un cambiamento radicale di personalità; Il disturbo narcisistico di personalità, invece, si riconosce per la grande importanza attribuita a se stessi, che può culminare nel perdere la capacità di vedere le cose dal punto di vista degli altri. Gli individui con disturbo border-line di personalità, al contrario, hanno un senso d’identità debole e di conseguenza hanno bisogno di stare vicine ad altri soggetti in modo intrusivo per prenderne un po’ della loro, come se cercassero di appropriarsi delle personalità altrui.
L’autismo, è un’altra patologia che può essere presa in considerazione in questo ambito: la rappresentazione del sé, in questo caso, può risultare del tutto assente o esagerata, e mancare la capacità di riconoscere gli altri. Il bipolarismo è un altro disturbo della personalità frequente, e quando si manifesta in modo maniacale grave è grandioso, megalomane ed egocentrico come in un narcisismo moltiplicato all’estremo. La depressione, al contrario, è caratterizzata da scarsissima autostima. In ogni caso, tutti i tratti di personalità esistono su un continuum, possono presentare degli estremi in entrambe le direzioni e che a volte possono attraversare la linea del confine della patologia. I fattori utili a determinare se l’attraversamento di questo confine è avvenuto sono il grado di perturbazione delle relazioni interpersonali e delle attività quotidiane.
Fonte
- The Unhealthy Ego: What Can Neuroscience Tell Us About Our ‘Self’?
The Dana Foundation