Cosa c’è dentro un ologramma? E qual è la differenza tra ologramma 2D e 3D? In questo articolo si sveleranno molte curiosità relative a questa tecnologia, tanto futuristica quanto attuale, ma anche molto vecchia, e si esporrà la nuova frontiera su cui i ricercatori stanno battendo.
IN BREVE
Indice
OLOGRAMMA: TRA PRESENTE E FUTURO
Si pensa che l’ologramma sia una tecnologia di un lontano futuro, in cui si potrà dialogare con persone presenti in altri continenti oppure basterà toccare un pulsante nella macchina per proiettare su uno schermo ologramma il tachimetro o la modalità col pilota automatico, e ancora dove si guarderà l’ora su un orologio ologramma, si potranno inviare mail da una tastiera ologramma e così via. In realtà, questo è vero solo in parte, perché l’idea di ologramma si sviluppò per la prima volta già nella seconda metà del 1800. Da allora sono stati fatti dei passi in avanti, fino ad arrivare ai nostri giorni in cui quotidianamente, senza accorgercene, abbiamo a che fare con degli ologrammi ogni volta che paghiamo in cassa con la banconota o mostriamo la carta d’identità elettronica. Alcuni gruppi di ricerca, poi, sono riusciti a creare anche degli ologrammi che si possono non solo vedere, ma anche sentire e persino toccare e che rappresentano la nuova frontiera dell’ologramma.

DAI FANTASMI ALL’OLOGRAMMA ODIERNO
Il primo in assoluto ad aver avuto l’idea di creare persone e oggetti là dove fisicamente non erano presenti fu l’ingegnere e inventore britannico Henry Dircks a cavallo del 1860. La sua ideazione era originariamente progettata per i nuovi teatri perché troppo complessa da implementare in quelli già eretti, e per questo motivo non ebbe tanto successo. Fortunatamente, qualche anno più tardi John Henry Pepper, professore dell’Università di Westminster, ne venne a conoscenza e riuscì, con qualche modifica, ad attuare l’invenzione anche nei teatri già esistenti. Grazie a questo ritocco, l’idea esplose e venne nominata Pepper’s ghost, attribuendola dunque a colui che era riuscito a realizzarla. Il fantasma di Pepper sfruttava la capacità di un vetro trasparente di mostrare immagini riflesse e trasmesse contemporaneamente (facendole apparire sovrapposte), mediante un opportuno gioco di luci e specchi. In particolare, considerate il palcoscenico in cui gli attori recitavano e immaginate di inserire, tra gli attori e gli spettatori, un vetro trasparente. In corrispondenza del gobbo, poi, quindi non visibile agli spettatori, venivano messi un proiettore di luce, la persona “fantasma” e uno specchio. Finché il proiettore rimaneva spento, attraverso il vetro trasparente passava solo l’immagine proveniente dal palcoscenico e il pubblico vedeva dunque solo gli attori. Ma quando il proiettore veniva acceso, la persona nascosta veniva illuminata e, tramite lo specchio, la sua immagine era riflessa sul vetro trasparente: ecco che la si vedeva in sovraimpressione sulla scena e l’effetto fantasma si realizzava!

L’inventore degli ologrammi e la svolta dei laser
A dirla tutta, il Pepper’s ghost non è da considerarsi un vero e proprio ologramma, bensì una mera proiezione su un vetro. Il vero ologramma nacque nel 1947, quando al fisico e ingegnere ungherese Dennis Gabor venne in mente un’idea rivoluzionaria. Appassionato di esperimenti fisici e di fotografia a colori sin dall’età di 15 anni, nella sua carriera Gabor aveva già inventato la lampadina ai vapori di mercurio, che da allora ad oggi viene utilizzata in milioni di lampioni in Europa, e che gli servì per l’esperimento più importante della sua vita. L’idea che ebbe questa volta consisteva nell’intrappolare un’immagine 3D su una comune lastra fotografica bidimensionale. Tuttavia, per ricreare un oggetto 3D su un piano 2D erano necessari strumenti che a quel tempo non erano ancora disponibili: per ottenere l’effetto ologramma servivano sorgenti ben più sofisticate della lampada al mercurio che Gabor utilizzava! L’idea venne messa dunque da parte quando, negli anni ’60, venne sviluppata la tecnologia laser, che produce fasci luminosi coerenti. Per spiegare cosa sia la coerenza, pensate ai raggi di luce uscenti dal laser come onde che si propagano nello spazio. All’interno della singola onda, si susseguono picchi, nodi e ventri (che corrispondono rispettivamente ai punti più alti, al centro e più bassi): la “quota” che l’onda mostra in una data posizione spaziale è detta fase. Due raggi sono coerenti nello spazio se, a parità di distanza percorsa da dove sono stati prodotti dal laser, hanno la stessa fase. Questo è determinante per la produzione di un ologramma. In ogni caso, grazie ai laser, l’ologramma ritornò in auge e valse il premio Nobel per la Fisica a Gabor nel 1971. Oggi si sta lavorando agli ologrammi 3D che non necessitano del supporto della lastra fotografica, bensì possono essere osservati (e si può addirittura interagire con loro) direttamente nello spazio fisico, proprio come nell’immaginario collettivo.

COME SI CREA UN OLOGRAMMA?
La filosofia dietro la produzione di un ologramma si basa sull’impressione su una lastra fotografica di un oggetto illuminato da un opportuno fascio di luce, intrappolando la tridimensionalità dell’oggetto nel foglio bidimensionale. Infatti, non è un caso se la parola “ologramma” sia composta da due parole derivanti dal greco, ossia “hòlos-” che vuol dire “tutto” e “-gràmma” che significa “scrittura”, quindi “scrittura del tutto”, proprio perché tutte le informazioni relative all’oggetto (come la forma e la profondità) vengono memorizzate. Come si procede dunque nella realizzazione di un ologramma? Si sfrutta la configurazione Denysiuk, dal nome dello studioso che la progettò, distinguendosi da quella elaborata originariamente da Gabor. Una sorgente luminosa, solitamente un laser in virtù della sua coerenza, produce un fascio di luce che viene separato in due raggi grazie ad una sottile pellicola che ha la capacità di riflettere e trasmettere contemporaneamente i raggi incidenti (i fisici lo chiamano “beam splitter”, ovvero “separatore di fasci” luminosi). Uno dei due raggi così prodotti va ad incidere direttamente sulla lastra fotografica e viene denominato fascio di riferimento, mentre l’altro viene diretto verso l’oggetto per poi esserne riflesso e finire anch’esso sulla lastra. Questo secondo raggio viene detto fascio oggetto. I due fasci vanno così incontro a interferenza che va a impressionare la lastra fotografica. L’interferenza è quel fenomeno in cui due onde si “scontrano” tra loro in diversi punti sulla lastra: nei punti in cui la fase delle due onde è la stessa, le intensità delle due onde si sommano (l’interferenza si dice costruttiva) e la lastra viene maggiormente impressionata; nei punti in cui le due fasi si discostano un poco, si ha comunque interferenza ma l’intensità risultante è minore rispetto al primo caso e quindi la lastra viene impressionata di meno; infine, quando le due fasi sono proprio opposte, le due intensità si cancellano a vicenda e la lastra in quel punto appare nera. La coerenza nel fascio laser serve a mantenere le fasi pressocché simili tra loro, in modo da poter creare queste diverse sovrapposizioni.

A questo punto, la figura d’interferenza è stata impressionata sulla pellicola fotografica. Per poterla visualizzare, poi, la si illumina con lo stesso fascio di riferimento per ottenere, finalmente, il desiderato effetto ologramma. In altre parole, per impressionare la lastra avviene la “reazione” seguente:
\(\)\[Riferimento + Oggetto \rightarrow Interferenza \space su \space lastra,\]\(\)
mentre per riprodurre l’ologramma:
\(\)\[Riferimento + Interferenza \rightarrow Oggetto.\]\(\)
Per spiegarlo in parole semplici, nella prima reazione si va ad impressionare per interferenza la lastra come descritto prima, producendo dunque zone a luminosità diversa, come se fossero una sorta di griglia. Questo, però, non è sufficiente a vedere l’immagine (si vede solo la griglia). Serve far incidere nuovamente il fascio di riferimento sulla pellicola, che va ad interagisce in maniera complementare alla griglia e rende finalmente visibile l’oggetto impresso sulla lastra fotografica.
Gli ologrammi sanno sdoppiarsi… e altre curiosità
L’immagine di un ologramma è detta stereoscopica: spostandovi rispetto all’ologramma, riuscireste a scorgere diverse prospettive e dettagli che in altre posizioni non si vedono! Un’altra fantastica peculiarità degli ologrammi è che se tagliaste in due la pellicola fotografica impressionata, riuscireste ancora a osservare l’intero ologramma su entrambe le metà, inclinandole opportunamente. Ancora, è possibile memorizzare sulla stessa lastra più ologrammi: è semplice, basta orientare differentemente la lastra rispetto ai fasci di riferimento e oggetto e si possono affiancare due oggetti diversi (o anche uguali che appariranno in due posizioni diverse). Qualche curiosità bonus:
- Se si prova a realizzare l’ologramma di una fiamma mentre brucia, sulla pellicola vengono impressionate le onde di calore emesse dalla fiamma stessa.
- Ponendo una lente di ingrandimento davanti a un oggetto, sulla pellicola olografica verrà registrata l’immagine ingrandita dalla lente!
- L’effetto ologramma viene sfruttato nelle carte elettroniche (come le nuove carte d’identità e le carte di credito) e nelle banconote come sistema di anticontraffazione. Per esempio, in queste ultime lo potete trovare sulle fasce laterali: sono dei bollini argentati che cambiano colore a diverse inclinazioni.

- Spesso si confondono gli ologrammi con delle semplici proiezioni tridimensionali. In rete, per esempio, si parla di alcuni personaggi del calibro del rapper Tupac e di Michael Jackson che sono stati riportati in vita attraverso degli ologrammi 3D. Nulla di più sbagliato! Queste non sono che delle semplici proiezioni su un vetro, esattamente come lo era il Pepper’s ghost. Tra parentesi, comunque, in questo filone si innesta l’innovativa idea del Circo Roncalli (nelle sedi in Germania) di sostituire gli animali con delle loro proiezioni, dando l’addio al loro sfruttamento.
Gli ologrammi 3D, nonostante siano già presenti nell’immaginario collettivo grazie al cinema (ogni riferimento alla saga di Star Wars è puramente causale), in realtà non esistono ancora, cioè non sono state sviluppate tecnologie in grado di riprodurli… o forse sì?
OLOGRAMMA 3D: LA NUOVA FRONTIERA
L’ologramma 3D si differenzia da quello 2D nel fatto che, mentre quest’ultimo è stampato su un foglio e per osservarlo bisogna essere in linea con esso, il 3D si svilupperebbe nello spazio e sarebbe possibile osservarlo da qualunque angolo. Ma esiste o no una tecnologia del genere? La risposta è: industrialmente, no; a livello di ricerca, sì. Infatti, un team di ricerca dell’Università del Sussex ha creato un sistema per creare delle cosiddette immagini volumetriche sensibili alla vista, al tatto e persino all’udito! Il sistema consiste in una camera di lato di 10 cm in cui sono presenti degli speaker che emettono onde acustiche nell’intervallo degli ultrasuoni, con l’effetto di mettere in vibrazione l’aria. Inserendo delle sferette di plastica delle dimensioni di 2 mm all’interno di questa camera e attivando gli speaker a ultrasuoni, queste fluttuano nell’aria ed è possibile controllare il loro movimento. A questo punto, si illuminano le sferette con dei LED RGB (red green blue, i tre colori necessari per riprodurre tutti gli altri, attualmente utilizzati negli schermi delle moderne televisioni) e si ottengono gli ologrammi 3D in movimento! Per ottenere un tale risultato, si sfrutta il fenomeno della persistenza della visione, per cui rimangono impresse le immagini sulla retina per un tempo sufficientemente lungo da creare una continuità nella visione dell’immagine stessa. Inoltre, se si avvicina il dito a questi ologrammi, è possibile sentire col tatto le palline che si spostano a velocità ultrasoniche e avvertire una leggera repulsione. Infine, a completare il tutto nella camera sono installate della casse audio capaci di riprodurre anche dei suoni.

Quindi, ricapitolando, non esiste ancora nessun orologio ologramma o tastiera ologramma, ma la tecnologia attuale si ferma agli ologrammi 2D, la cui immagine può essere osservata da diverse angolazioni, purché sia sempre visibile il supporto. L’ologramma 3D esiste ma solo nei laboratori, e il gruppo dell’Università del Sussex ne sta sviluppando uno in cui sarà possibile, in futuro, guardare le immagini da qualunque direzione (scorgendone tutti i dettagli) e, inoltre, si potranno anche toccare e udire. Vi immaginate uno schermo ologramma basato su questa tecnologia?
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