Si può vedere cosa c’è nel terreno, ma senza scavare? Con il georadar sì! Tramite la riflessione di onde elettromagnetiche sugli oggetti nascosti nel terreno, è possibile ottenere informazioni sulla loro presenza, profondità e sulle loro dimensioni.
IN BREVE
Indice
“VEDERE” ATTRAVERSO IL TERRENO CON IL GEORADAR
Il georadar, abbreviato GPR (Ground Penetrating Radar) è una tecnica che è stata inventata per scovare oggetti presenti nel primo sottosuolo, cioè dei primi metri sottoterra. Per farlo, si emettono delle onde elettromagnetiche e le si fanno propagare nel terreno: quando queste onde interagiscono con gli oggetti nascosti, vengono riflesse indietro e captate dallo stesso georadar. In base al tempo impiegato dall’onda per andare dal georadar verso l’oggetto e tornare, gli esperti riescono a stimare la profondità degli elementi nel sottosuolo. Questa tecnica torna molto utile quando si vuole cercare qualcosa sottoterra ma non si vuole scavare… un po’ come scoprire cosa c’è nella scatola senza aprirla! È per questo che viene detta non invasiva. Cosa si può trovare sotto la terra di tanto interessante? Una rete fognaria che si vuole mappare, un tubo metallico, vuoti naturali, perdite di gasolio oppure dei resti di civiltà estinte (in questo caso la curiosità di aprire la scatola crescerebbe troppo e si procederebbe con uno scavo archeologico). Altre intriganti caratteristiche del georadar sono la sua rapidità d’analisi, la possibilità di scegliere a che profondità si vuole analizzare il sottosuolo, l’applicabilità a qualunque tipo di suolo (tranne quelli più assorbenti), sia orizzontale sia verticale, come possono essere delle colonne o delle murature per studiare eventuali fratture interne o dedurre gli spessori di rivestimento e molto altro ancora.
Fate attenzione: quando si dice “georadar” si può pensare al radar meteo. Effettivamente, il principio di funzionamento è lo stesso, cioè l’analisi di onde riflesse, ma il radar meteo le spedisce verso l’atmosfera e le onde vengono riflesse dalle minuscole goccioline disperse: dai segnali ricevuti, i meteorologi possono osservare la formazione delle precipitazioni. Il georadar, al contrario, punta le onde verso il basso, come vedremo.
GEORADAR: RACCOGLIERE I DATI DAL SOTTOSUOLO
Supponiamo che ci sia un’équipe di studiosi e tecnici che abbia intenzione di scoprire cosa ci sia sotto un’area di terreno. Lo strumento che permette di effettuare tali misure si chiama georadar (lo strumento ha lo stesso nome della tecnica, fantasiosamente). Esso rassomiglia a un tagliaerba: è un carrello a quattro ruote con uno schermo per leggere i grafici (detto anche plotter grafico) e una o più antenne per inviare e/o ricevere i segnali. Nello specifico, si parla di configurazione monostatica quando ce n’è solo una che funge insieme da trasmittente (indicata con Tx) e ricevente (indicata con Rx), e configurazione bistatica quando ce ne sono due che svolgono questi due ruoli separatamente. Nel caso di un georadar professionale, si possono avere anche più di due antenne per trasmettere e ricevere su più frequenze. Sul plotter grafico, invece, compaiono delle figure (come delle iperboli) che servono a identificare la posizione degli oggetti e le loro morfologie. Il georadar è inoltre dotato di una batteria di alimentazione, un’unità di controllo che sincronizza l’emissione e la ricezione dei segnali, dei cavi di collegamento che la mettono in comunicazione con le antenne e un odometro: questo è un contagiri attaccato alle ruote che permette di determinare la distanza percorsa (quindi le coordinate nella griglia) moltiplicando il numero di giri effettuati dalla ruota per la sua circonferenza. Come ogni esperimento scientifico che si rispetti, per effettuare una misura georadar c’è bisogno anzitutto di pianificare cosa va analizzato: in questo caso, si decide l’area da sondare e si crea una mappa in 2D, una griglia, con degli assi verticali e orizzontali, detti rispettivamente assi L (longitudinali) e assi T (trasversali) utili per indicare le posizioni con delle coordinate (esattamente come succede nella battaglia navale).
Conoscere il terreno
Sempre in questa prima fase, gli esperti cercano di capire la composizione del suolo per stimare a che velocità si propagheranno le onde elettromagnetiche. Per chi se lo stesse chiedendo, un’onda elettromagnetica è un’onda, per l’appunto, composta da un campo elettrico e uno magnetico che si propagano nello spazio (un mezzo o anche il vuoto). Per intenderci, la luce, le microonde del forno e i raggi infrarossi che i nostri corpi emettono sono tutte onde elettromagnetiche. La velocità della luce si può stimare in diversi modi. Il modo più semplice per farlo è cercare direttamente nella letteratura scientifica, tramite apposite tabelle, il valore della costante dielettrica (che dà un’indicazione di come un mezzo reagisce se sottoposto a un campo elettrico, in questo caso fornito dalla luce) e calcolare la velocità con la seguente formula:
\(\)\[v \simeq \frac{c}{\sqrt{\epsilon \mu_0}}, \]\(\)
dove \(c\) è la velocità della luce nel vuoto (circa 300’000 km/s), \(\epsilon\) la costante dielettrica del terreno e \(\mu_0\) la permeabilità magnetica del vuoto, rispettivamente. È possibile semplificare questa formula scrivendola in questi termini:
\(\)\[v = \frac{c}{n}, \]\(\)
con n l’indice di rifrazione del terreno. Tuttavia, ogni terreno ha caratteristiche specifiche e una composizione molto spesso unica, e certo non potrà mai essere esattamente uguale al tipo riportato in una tabella. Allora si procede con altri metodi che vanno a calibrare la velocità proprio sul suolo in esame. Uno tra questi è il metodo delle iperboli: come verrà meglio spiegato più avanti, dalle misurazioni si ottengono dei grafici particolari, di varia natura, e tra questi vi sono alcuni a forma d’iperbole dalle cui concavità (stretta/larga) è possibile risalire alla velocità dell’onda.
Tosare l’erba per studiare il sottosuolo
Dopo aver analizzato per bene il terreno ed aver preparato la griglia lungo la quale il georadar verrà fatto passare, si può procedere con la fase 2, ossia la raccolta dei dati sul campo. Dovete immaginarvi questa operazione esattamente come un giardiniere che passa il suo tagliaerba per tutto il giardino. Analogamente, il tecnico avanza lungo la griglia con il georadar, avendo cura di spostarsi prima lungo gli assi L e poi T per misurare ogni coordinata due volte, prima in un senso e poi nell’altro, e stare sicuri di aver analizzato tutti i punti correttamente. Durante la “tosata”, il georadar emette le onde elettromagnetiche dirette verso il suolo. Queste penetrano in profondità finché non urtano un oggetto di materiale diverso dal terreno. Da un punto di vista prettamente fisico, questo significa che all’interfaccia dell’oggetto cambia l’indice di rifrazione del mezzo. E che cosa comporta questa variazione? Come suggerisce il nome stesso, si ha il fenomeno della rifrazione, per cui la direzione della luce viene deviata quando entra nel mezzo. Ma non è il solo fenomeno che si verifica. Infatti, ad accompagnare la rifrazione molto spesso c’è anche la riflessione dell’onda. In altre parole, è come se l’onda si sdoppiasse quando incrocia un altro oggetto sul suo cammino, e una parte prosegue avanti (il raggio rifratto, che non interessa ai nostri fini) mentre l’altra torna indietro (il raggio riflesso). È proprio questa porzione dell’onda che riemerge dal sottosuolo e viene captata dal georadar! L’onda riemersa, infatti, viene captata dall’antenna ricevente del georadar e questo, passando per l’unità di controllo, produce un’immagine sul plotter grafico, detta radargramma. Nel radargramma si possono osservare diverse forme, dalle “ondine” alle iperboli e altre immagini ancora.
SCOVARE GLI OGGETTI NASCOSTI CON IL GEORADAR
A questo punto della storia, sorgono due domande:
- Come sono fatti questi radargrammi?
- Come si fa a calcolare la profondità degli oggetti?
Intanto, ricapitoliamo i passaggi fondamentali per la creazione di un radargramma: l’antenna trasmittente invia il segnale elettromagnetico verso il sottosuolo; questo penetra in profondità finché non viene riflesso da un oggetto e torna indietro, ripercorrendo la stessa distanza dell’andata; infine, il segnale viene captato dall’antenna ricevente (che sia la stessa che lo ha trasmesso o un’altra ora non importa). Il georadar misura il tempo trascorso tra la trasmissione e la ricezione, e crea il radargramma, che altro non è che un grafico che mette in relazione il segnale ricevuto con la differenza di tempo. Questo tipo di grafico è detto A-scan ed è il radargramma più semplice tra quelli esistenti. Infatti, mostra tutti gli eventuali manufatti rivelati sotto una singola coordinata della griglia, ma non permette di avere una visione d’insieme. Per esempio, se si vuole una mappatura di una rete fognaria, sapere la posizione di un solo tubo non permette di capire come la rete si districa. Per capire la planimetria di un’intera sezione del sottosuolo, si raccolgono tanti A-scan a coordinate diverse e si affiancano tra loro: si ottiene così un B-scan. Potete pensarlo come una sezione verticale del terreno, in cui vedete tutto quello che c’è sotto un determinato tratto orizzontale sulla griglia. Infine, se volete apprezzare in toto il mondo sotterraneo, potete affiancare tanti B-scan (tante sezioni verticali per tanti tratti diversi) riproducendo così l’intero volume. Quest’ultimo radargramma si chiama C-scan.
Estrarre i valori delle profondità
Adesso che abbiamo dato una forma al radargramma, possiamo capire come estrapolare informazioni circa la profondità degli oggetti rivelati. Supponiamo di voler calcolare la profondità di un oggetto puntiforme con il georadar che si trova sopra di esso, in corrispondenza. Ricordando la teoria della fisica di base, la velocità è il rapporto tra la distanza (che in questo caso sarebbe la profondità) e la differenza di tempo impiegata a percorrerla. Nel nostro caso:
\(\)\[v = \frac{P}{\Delta t/2}, \]\(\)
dove v è la velocità della luce nel terreno (come calcolata prima), P la profondità e \(\Delta t\) il tempo impiegato dalla luce andata-ritorno. Per questo motivo, va diviso per 2 per considerare solo il tragitto di andata. Riscrivendo la precedente equazione, dunque, si può ottenere finalmente la profondità dell’oggetto ricercato:
\(\)\[P = v \cdot \frac{\Delta t}{2}. \]\(\)
Se invece il georadar non si trova esattamente in corrispondenza dell’oggetto, bensì spostato, allora la formula per la profondità si complica leggermente e diventa:
\(\)\[(v \cdot \frac{\Delta t}{2})^2 – d^2_x = P^2,\]\(\)
con \(dx\) la distanza orizzontale tra il georadar e l’oggetto sottoterra. La formula viene ottenuta sfruttando il teorema di Pitagora. Inoltre, essa è stata volutamente lasciata in questa forma per evidenziare l’equazione di una iperbole, che è proprio la figura che si osserva in un radargramma per un oggetto puntiforme. Grazie a questa figura è inoltre possibile stimare la velocità della luce nel terreno con il metodo delle iperboli, prima accennato.
Georadar profondità massima
Ora vi potrete stare chiedendo, lecitamente, fino a che punto queste onde possano spingersi nel suolo. Certamente non arrivano fino al centro della Terra! Per rispondere in maniera secca alla domanda “georadar profondità massima?”, si può dire che un georadar può trasmettere onde fino a 20-30 m sottoterra. Tuttavia, ad essere più accurati, questo aspetto dipende dalla consistenza del terreno (alcuni terreni assorbono la radiazione elettromagnetica più di altri), ma soprattutto dalla frequenza dell’onda trasmessa dall’antenna. Quest’ultimo punto è molto importante ed è quello che si varia se si vuole effettuare una tomografia del terreno, cioè se si vuole analizzare uno strato orizzontale per volta. Per esempio, se si vuole studiare il terreno partendo dai primi strati spingendosi verso profondità sempre maggiori, inizialmente la frequenza scelta deve essere alta (fino a 2 GHz, cioè 2000 MHz per sondare fino al mezzo metro), perché le frequenze più alte vengono assorbite maggiormente dai materiali. Inoltre, alte frequenze riflettono un’alta risoluzione sul radargramma poiché, semplificando, man mano che avanzano “campionano” il terreno in maniera più “frequente” ottenendo quindi informazioni sui punti del terreno a distanze più ravvicinate. Viceversa, volendo sondare profondità maggiori, si deve man mano abbassare la frequenza (fino a 15-50 MHz) per ridurre gli effetti di assorbimento; tuttavia, la risoluzione calerà “sondando” il terreno più di rado, in punti più distanti tra loro. Un georadar professionale riesce ad inviare nel terreno diverse frequenze, garantendo un’analisi completa del terreno in esame.
Fonte
- Il Georadar: dalle indagini su vaste aree al riconoscimento dei materiali archeologici
CORE - Maxwell tra archeologia ed investigazioni forensi
ResearchGate - Sistemi Georadar
boviar