Tra le tante fobie oggi conosciute ne esiste una, chiamata urofobia o sindrome della vescica timida, che descrive la paura di urinare in pubblico o far sapere agli altri che si sta urinando. Per quanto bizzarro ciò possa risultare, le ripercussioni sulla vita sociale di chi ne soffre possono essere intense.
IN BREVE
Se vi è mai capitato di trovarvi in un bagno pubblico e non essere stati in grado di iniziare, o sostenere la minzione, per paura che qualcuno potesse sentirvi o giudicarvi, allora avete sperimentato un episodio di urofobia o di sindrome della vescica timida. L’urofobia, spesso definita anche paruresis, descrive la paura di andare in bagno in presenza di altre persone, causando in chi ne soffre ansia da prestazione e timore del giudizio degli altri, tali da impedire di urinare liberamente.
Questo disturbo è classificato dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM V) tra i disturbi d’ansia sociale e può avere delle ricadute notevoli sulla vita delle persone. Per alcuni, l’esperienza di paruresis può essere lieve e i suoi episodi possono verificarsi sporadicamente; tuttavia, nei casi gravi, le persone affette da urofobia tendono ad astenersi dal viaggiare e dallo svolgere attività sociali, o addirittura rinunciano ad uscire di casa o anche a recarsi in luoghi di lavoro per evitare di usare bagni condivisi per svolgere le proprie funzioni fisiologiche.
In casi estremi, il disturbo può sfociare in una vera e propria agorafobia portando alla rinuncia della propria vita sociale.
Soltanto recentemente la psicologia ha dedicato un certo interesse a questo disturbo molto diffuso nella società moderna, ma finora poco considerato. Sembra, infatti, che circa 22 milioni di persone in America e 220 milioni nel mondo soffrano di questa fobia, con una prevalenza di uomini rispetto alle donne. Si tratta quindi di un problema molto sentito da una grande quantità di persone, che viene però trascurato sia a livello sociale sia a livello scientifico.
Infatti, mentre molto è stato scritto su argomenti urologici, come l’incontinenza e la vescica neurogena, la letteratura non contiene articoli che si riferiscono specificamente alla paruresis. Inoltre, sebbene, sia la paruresis sia la ritenzione urinaria psicogena sono classificate come forme di ritenzione urinaria, non bisogna confondere i due disturbi in quanto, a differenza dell’urofobia, nella ritenzione urinaria psicogena l’individuo sperimenta l’incapacità di urinare in qualsiasi ambiente o circostanza con la conseguente necessità per il paziente di essere cateterizzato. La mancanza di consapevolezza tra le comunità mediche, infermieristiche e terapeutiche contribuisce alla scarsa soddisfazione dei pazienti, che richiedono un trattamento efficace per questo disturbo.
Oltre allo stress, all’ansia e al disagio di non essere in grado di fare pipì quando è necessario, ci sono anche problemi di salute associati all’urofobia. Infatti, trattenere l’urina per periodi di tempo prolungati mette a dura prova i reni e la vescica, e impedisce alle tossine di essere espulse dal nostro corpo al termine della filtrazione del sangue. Inoltre, con il passare del tempo, questa condizione può anche influenzare il controllo della vescica e portare all’incontinenza. In alcuni casi, per evitare di dover andare in bagno, le persone che soffrono di urofobia decidono di limitare la quantità di liquidi ingeriti, con considerevole rischio di disidratazione.
Ma come nasce questa fobia?
In passato la maggior parte delle teorie sull’origine della sindrome della vescica timida sono state sviluppate in ambito psicoanalitico. In tale contesto non poteva mancare l’idea del più noto tra i psicoanalisti, Freud, il quale ha spiegato la sintomatologia della paruresis facendo riferimento all’influenza psicosessuale. Secondo Freud l’inibizione ad urinare sarebbe un auto-punizione per gli inaccettabili desideri sessuali o nascerebbe dalla paura di esprimere impulsi aggressivi, in quanto per taluni soggetti la minzione è inconsciamente percepita come un’aggressione.
Di recente la comprensione della paruresis si è allontanata dalla psicoanalisi, muovendosi verso una struttura cognitivo-comportamentale, in cui i sintomi dell’urofobia sono considerati un’associazione tra l’eccitazione ansiosa e la minzione nei bagni pubblici. Tentativi falliti di fare pipì in pubblico possono generare sentimenti di ansia e imbarazzo, esacerbati da ulteriori tentativi infruttuosi, che sfociano in un atteggiamento arrendevole nell’applicare nuove strategie. Inoltre, essere inclini a percepire altri come critici, può comportare una esasperazione delle preoccupazioni personali sulla propria immagine corporea, sovrastimando una valutazione negativa e predisponendo il soggetto ad interpretare gli indizi ambigui come una ovvia valutazione negativa.
In realtà, quando due persone si trovano a dividere lo stesso bagno, si innescano delle dinamiche, definite come “disattenzione civile”. Quando qualcuno entra in bagno dove già è presente un suo simile, quest’ultimo lo guarda ma immediatamente si attiva un processo di rimozione, che devia l’attenzione da questa nuova presenza ed i due decidono implicitamente di ignorarsi a vicenda. Quanto più le due persone sono vicine, tanto più l’una tende a trattare l’altra come se non esistesse.
Diverse strategie sono state riportate nella letteratura scientifica per aiutare il cervello umano a vincere l’urofobia. Un esempio è l’ipnosi. In tal caso, il terapeuta induce l’ipnosi, utilizzando frasi chiave per suscitare rilassamento. Il paziente viene invitato ad andare in bagno ogni 45 minuti in presenza di altri, a praticare le tecniche di rilassamento senza dover urinare e a lasciare il bagno una volta che uno stato di rilassamento è stato raggiunto. Una volta innescato questo meccanismo, il paziente diventa in grado di urinare anche in presenza di altri, in quanto il rilassamento è incompatibile con la ritenzione urinaria, e il soggetto risponde positivamente allo stimolo incondizionato della pressione della vescica, necessario per cominciare la minzione.
Un altro approccio è quello della desensibilizzazione sistematica, che si basa sul creare una gerarchia della paura usando le situazioni descritte dal paziente, che sono categorizzate dalle più temute alle meno intimidenti. Al partecipante vengono insegnate tecniche di rilassamento da applicare quando si trova in situazioni di disagio, di intollerabilità crescente, finché è in grado di gestire l’ansia e svolgere una normale minzione.
In maniera molto simile, anche l’allenamento autogeno è stato spesso usato per ridurre gli stati fisiologici di stress o ansia. L’allenamento autogeno è una tecnica che prevede l’utilizzo ripetuto di immagini o parole abbinate ad uno stato fisiologico di rilassamento. L’uso della parola o dell’immagine scelta dovrebbe indurre uno stato di rilassamento e una riduzione di attivazione del sistema nervoso autonomo con una riduzione della contrazione muscolare. Inizialmente l’abbinamento della parola, o dell’immagine, con lo stato di relax viene praticato durante l’utilizzo del proprio bagno di casa, per poter essere poi in grado di suscitare la minzione, pronunciando la parola scelta, anche nei bagni pubblici.
I risultati degli studi pubblicati su tali tecniche hanno dimostrato che l’implementazione di procedure di condizionamento emotivo in risposta ad uno stimolo considerato ansiogeno, è associata nella maggior parte dei casi ad una diminuzione del numero di secondi necessari per iniziare la minzione, consentendo ai partecipanti di urinare in presenza di altri.
Dopotutto la timidezza della vescica non sembra essere molto diversa dalla timidezza nei rapporti sociali, in cui l’ansia può essere tanto intensa da sentirsi paralizzati. Sapere come poter affrontare l’una potrebbe essere un’arma vincente per superare l’altra.
Fonte
- A systematic review of paruresis: Clinical implications and future directions
Journal of Psychosomatic Research - Treating paruresis using respondent conditioning
Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry