Il polmone d’acciaio è un macchinario progettato per provvedere alla respirazione di pazienti affetti da malattie neuromuscolari o da patologie virali che colpiscono i muscoli, come la poliomielite.
IN BREVE
Era il 1956 quando Giovanna Romanato venne ricoverata per la prima volta presso l’Ospedale pediatrico Giannina Gaslini di Genova. La diagnosi era di poliomielite bulbo-spinale, una forma talmente grave che, a soli dieci anni, entrò per la prima volta in un polmone d’acciaio. Lei è la seconda italiana che vive da anni in un polmone d’acciaio. La prima è stata Rosanna Benzi (autrice del libro “Gli Altri”), che è riuscita a sopravvivere per 29 anni in un involucro di stagno e che ha tramutato la malattia in energia così da scrivere libri autobiografici. Le loro storie sono le testimonianze di due donne del nostro tempo, due donne forti che hanno deciso di vivere ogni loro giorno, ogni loro respiro nonostante la poliomielite le abbia costrette a trascorrere la loro vita in un polmone artificiale donando loro un comune destino: muscoli respiratori paralizzati, incapaci di compiere una delle funzioni vitali più importanti, respirare.
Il principio alla base del funzionamento del polmone artificiale è abbastanza semplice e si basa sul mimare quella che fisiologicamente è la funzione del diaframma durante la respirazione. Anatomicamente il diaframma è un muscolo cupoliforme, con concavità rivolta verso basso, che divide il torace dall’addome e che è ancorato ai polmoni mediante la pleura (membrana composta da due foglietti: uno viscerale che avvolge i polmoni stessi e l’altro, definito parietale, che è più spesso del primo e li connette sia al diaframma che alla parete toracica). La respirazione può essere divisa in due momenti: l’inspirazione, durante la quale il diaframma contraendosi allunga ed espande i polmoni creando una pressione negativa al loro interno rispetto a quella atmosferica cosicché l’aria sia portata ad entrare nei polmoni stessi; l’espirazione durante cui invece, se non è forzata, i muscoli non si contraggono ma la pressione intrapolmonare si positivizza perché essi rilasciano l’energia elastica accumulata durante l’inspirazione, permettendo così all’aria di uscire.
Il primo prototipo di polmone d’acciaio è datato 1876 ma soltanto nel 1928 grazie alle ricerche del dottor Philip Danker e del suo collega Louis Agassiz Shaw divenne un macchinario di largo utilizzo in ambito medico. Da un punto di vista strutturale, il polmone d’acciaio è costituito da un cilindro di stagno o di ferro collegato ad una pompa. Il suo funzionamento è legato all’energia elettrica e, una volta acceso consta di due fasi:
- a pressione negativa: in cui l’aria viene aspirata lentamente fuori creando all’interno del polmone artificiale un vuoto parziale (che non è totale perché il sistema non è completamente isolato dal momento che il collo e la testa del paziente sono fuori dal respiratore bloccati da un collare di gomma che impedisce il passaggio d’aria). In questo modo l’aria entra nel polmone del paziente attraverso le uniche due fessure che trova, la bocca e il naso, e si ha così una espansione indotta della gabbia toracica che permette l’inspirazione.
- a pressione positiva: in cui l’aria rientra grazie alla pompa che aumenta la pressione intrapolmonare a tal punto da mimare quella che fisiologicamente prende il nome di espirazione forzata, caratterizzata dalla contrazione dei muscoli respiratori.
Affinché i pazienti siano costantemente controllati e adeguatamente assistiti dal personale infermieristico per le cure quotidiane, sui lati del polmone d’acciaio vi sono delle aperture plastificate per vedere il corpo del paziente e delle fenditure di gomma in cui le infermiere inseriscono le braccia e che si chiudono ermeticamente quando non usate. A qualche centimetro dal viso del paziente è posto uno specchio con una particolare inclinazione che gli permette di osservare il mondo, ovvero di vedere le persone che stanno dietro di lui o che gli si siedono accanto.
Per quanto il polmone d’acciaio sia un oggetto che aiuta a respirare i soggetti affetti da malattie neuromuscolari o da malattie infettive come il tetano o la poliomielite, esso è comunque un macchinario molto ingombrante e che, oltre ad abbassare notevolmente la qualità della vita, espone a molti rischi il paziente. Può infatti causare irritazione delle vie aeree e, soprattutto, espone e predispone i soggetti allo sviluppo di infezioni. Nel 1952 Jonas Edward Salk sviluppò il vaccino anti-polio e da allora l’impiego del polmone d’acciaio fu destinato a diminuire.
Per questi motivi oggi il polmone d’acciaio è poco utilizzato (se non in alcuni centri d’eccellenza come John Radcliffe Hospital di Oxford) e, grazie al progresso tecnologico, esso è stato sostituito dai moderni device di ventilazione che, oltre essere più piccoli e adattabili alla vita del paziente, hanno meno rischi. Le ricerche per migliorare queste attrezzature però continuano e mirano alla miniaturizzazione dei componenti elettronici e all’utilizzo di materiali biodegradabili associati a grandi prestazioni sperando che un giorno possano essere tanto piccoli da essere impiantati nel corpo stesso.
La poliomielite è una malattia acuta virale che colpisce i motoneuroni spinali: cellule che si trovano nella corteccia motoria, nel bulbo e nelle corna anteriori del midollo spianale e che si scambiano informazioni, attraverso una fitta rete di comunicazione, per coordinare l’azione di muscoli agonisti e antagonisti così da garantirne il corretto funzionamento e quindi, tra le altre funzioni, compiere la respirazione. Il Polio Virus, nella sua forma paralitica, va ad intaccare proprio questo sistema. La trasmissione avviene per via oro-fecale e il virus, una volta nell’organismo, si insedia nelle cellule della faringe e dell’apparato intestinale, dove inizia la sua replicazione. Soltanto nell’1% dei casi riesce a superare la barriera ematoencefalica (BEE) e a raggiungere la corteccia motoria, il bulbo e il midollo spinale infettando quindi il sistema nervoso centrale (SNC). Una volta in sede, nella forma paralitica, il virus distrugge le fibre nervose e causa paralisi flaccida entro dieci giorni dall’insorgenza di sintomi aspecifici (febbre alta, debolezza muscolare, difficoltà a deglutire e a urinare).
Dunque, tralasciando che la qualità della vita di questi pazienti possa essere per i più inconcepibile (ma è comunque qualcosa rispetto alla morte certa per insufficienza respiratoria indotta dalla poliomielite), il polmone d’acciaio è stata una grande invenzione perché oltre a far respirare il paziente è anche un trattamento semi-riabilitativo. Infatti, interrompendo manualmente il flusso d’aria per un minuto al giorno, poi per due, poi per dieci e così via, esso fa sì che per circa due ore al giorno le pazienti affette da poliomielite possano stare fuori dal polmone d’acciaio e tornare ad osservare il mondo da una “normale” prospettiva.
La storia di Giovanna Benzi e Rosanna Romanato dovrebbe insegnarci quanto sia importante credere nella scienza e nel progresso nonostante tutto e dovremmo apprezzare la forza con cui queste due donne hanno continuato a sorridere e ad amare la vita nonostante la malattia e nonostante l’unico mezzo attraverso cui potevano in qualche modo resisterle, giorno dopo giorno, fosse il polmone artificiale: una gabbia che però le teneva al sicuro.