Il fenomeno della lente gravitazionale racchiude nel suo concetto i segreti della geometria dell’universo e delle sue caratteristiche. A seguire cercheremo di spiegare il suo funzionamento e come può essere sfruttato per raggiungere nuove conoscenze scientifiche.
IN BREVE
Le osservazioni astronomiche sono sempre state alla base della vita dell’uomo, fin dalla preistoria ha imparato a leggere le stelle, a usare il firmamento come guida di navigazione e comprendere il ciclo dei pianeti per individuare le stagioni. Oggi la tecnologia ci ha condotti ad un punto in cui alzare lo sguardo al cielo non è più soltanto una fonte di informazione da sfruttare nell’immediato, è anche un modo per comprendere le leggi del cosmo. L’osservazione dell’universo non porta solo a creare un elenco delle caratteristiche di tutti i corpi osservabili con un normale telescopio, ma permette di fare scoperte che validano o confutano molte teorie fisiche.
Per accrescere la conoscenza scientifica è necessario, nell’epoca moderna, usare i mezzi tecnologi a disposizione utili a osservare cose che non sono mai state osservate prima. Anche le teorie di Einstein o Stephen Hawking possono essere verificate grazie all’osservazione astronomica che con il passare del tempo assume un ruolo sempre più importante. Osservare l’universo anche con i potenti telescopi spaziali, però, non è semplice. A creare scompiglio e confusione può essere proprio uno di quei fenomeni delle teorie fisiche di cui si cerca conferma. A causa della presenza di una lente gravitazionale le immagini che arrivano ai telescopi potrebbero non essere la fotografia della realtà.
Questo effetto è dovuto alla deflessione luminosa causata dall’attrazione gravitazionale di enormi corpi sparsi nell’universo. Gli impulsi luminosi e le immagini possono apparire ingrandite, spostate dalla loro posizione reale, sdoppiate e molto altro. Sono tutte deviazioni della luce provocate dalle lenti gravitazionali che rappresentano una dei fenomeni chiave a descrizione dell’universo, della sua geometria e della materia di cui è composto.
Qual è la storia delle lenti gravitazionali?
Nel 1801, per la prima volta, lo scienziato Johann von Soldner calcolò, mediante la meccanica di Newton, l’angolo di deviazione di un fascio luminoso soggetto alla forza di gravità del Sole. Nell’articolo “On the Deflection of a Light Ray from its Rectilinear Motion”, pubblicato nel 1804, Soldner rese noto un angolo di 0.875″ (secondi d’arco). L’unità di misura del secondo di arco fa riferimento ad un angolo della volta celeste. Ad esempio: se si guarda verso Est e si percorre con la testa tutta la volta celeste fin sopra la nostra testa, quindi allo zenit, si individua un angolo di 90°, 0 primi e 0 secondi (d’arco). Da questo si comprende che la misura dell’angolo di deviazione della luce trovato dallo scienziato era molto piccolo.
A partire dal 1900 la teoria della Relatività di Einstein pose nuove basi della fisica, dapprima con la Relatività Ristretta e poi anche con la Relatività Generale. Quest’ultima fu pubblicata ufficialmente nel 1916 e sviluppava proprio le nozioni di spazio e tempo e le loro curvature. La teoria prevede proprio che i fasci di luce fossero deviati dall’attrazione gravitazionale di oggetti massivi sparsi nell’universo. Data l’evidenza di un tale fenomeno, le lenti gravitazionali non sono state soltanto una previsione, ma utilizzate per validare la teoria della Relatività stessa. Per quanto riguarda l’angolo in questione, Einstein giunse inizialmente agli stessi risultati di Soldner per poi correggere il calcolo e pubblicare un valore pari 0,84″, circa il doppio. La formula generale proposta da Einstein per il calcolo dell’angolo di deflessione è la seguente:
\( \alpha = \frac{4M}{b} \).
Dove M è la massa del Sole e b è il parametro di impatto, l’angolo massimo di deflessione si ottiene quando b è pari alla misura del raggio del Sole.
Arthur Eddington condusse, negli anni a seguire, altri esperimenti a prova delle previsioni relativistiche, notando che la deflessione della luce comportava immagini opposte rispetto alla lente gravitazionale. A seguire Chwolson studiò casi in cui l’allineamento tra lente e sorgente fosse perfetto, concludendo che l’immagine visibile è quella di un anello. Nel 1936 Einstein pubblicò l’equazione corretta della lente gravitazionale, considerando anche che il particolare caso del fenomeno a due corpi è di poca utilità pratica, dati i limiti strumentali nelle misurazioni astronomiche.
Da queste prime osservazioni, dei fenomeni di deflessione dei fasci luminosi, si è arrivati alle moderne conoscenze sulle lenti gravitazionali che ci permettono di trarre informazioni sull’universo.
Cosa prevede la teoria della Relatività Generale?
Tra i principi cardine di questa rivoluzionante teoria troviamo sicuramente la fusione dello spazio e del tempo che non sono visti più in maniera indipendente l’uno dall’altro. Il tempo non è un qualcosa che scorre immutabile, ma può essere alterato dalla presenza dei corpi, ad esempio: scorre più lentamente in basso piuttosto che in alto. Ciò non vuol dire che se andrete ad abitare in pianura, allora vivrete più a lungo rispetto a chi vive in montagna. Questa differenza di tempo non è significativa per la vita umana, tuttavia è misurabile attraverso speciali orologi atomici. In realtà nell’universo non c’è “il basso” o “l’alto”, ma a determinare lo scorrere del tempo è la vicinanza al centro di massa di un corpo. In prossimità di grandi centri gravitazionali il tempo smette di scorrere, poiché una grande massa ne muta le caratteristiche. Nei buchi neri, ad esempio, il tempo cessa completamente di scorrere. La nozione di tempo quindi è relativa e addirittura esso non compare in alcune equazioni delle teorie fisiche che si occupano del mondo microscopico.
Dato lo stretto legame tra tempo e spazio, anche quest’ultimo viene modificato dalla presenza dei corpi. La massa è una proprietà che curva lo spazio nelle sue vicinanze, più è grande il suo valore e più lo spazio viene deformato. La massima curvatura dello spazio si verifica con la presenza di una quantità spropositata di materia, è ancora una volta il caso dei buchi neri. Quindi la gravità non è altro che la manifestazione della deformazione dello spazio-tempo causata dalla presenza di materia. La teoria della gravità precedente, proposta da Newton, prevedeva l’esistenza di un’interazione gravitazionale solo tra oggetti dotati di massa. Otre a questo limite, Newton non aveva scoperto le causa della forza di gravità, addossando la sua esistenza a Dio. Mentre per Einstein non solo gli oggetti massivi ma anche quelli privi di massa, come la luce, subiscono un effetto gravitazionale quando si trovano ad attraversare le deformazioni dello spazio.
Cos’è una lente gravitazionale e come funziona?
La traiettoria della luce viene deviata dal suo originario percorso rettilineo, ad esempio, nelle vicinanze di una stella. Si può immaginare la luce come un treno che viaggia sempre su traiettorie rettilinee e l’unico modo che ha per curvare è inclinarsi, allo stesso modo accade alla luce sullo spazio che si piega. Qualsiasi corpo che causa una deviazione significativa del raggio luminoso prende il nome di lente gravitazionale. Maggiore è la massa del corpo maggiore è la curvatura dello spazio, quindi la luce sarà deviata in modo significativo in prossimità di grandi centri massivi. Ovviamente nel caso di un buco nero lo spazio è curvato in maniera infinita, tanto che la luce, e nessun altra cosa, riesce a sfuggire alla sua attrazione gravitazionale.
La deflessione della luce durante l’attrazione gravitazionale di un corpo genera un effetto simile a quello di una lente. L’immagine della sorgente luminosa può essere distorta, moltiplicata, spostata, ingrandita e altri effetti ottici. Queste analogie con le lenti ottiche spiegano il perché del nome del fenomeno, lente gravitazionale, a cui si riferisce anche in il termine: lensing gravitazionale, dall’inglese lens (lente).
Come una lente di ingrandimento, anche una lente gravitazionale può ingrandire l’immagine della sorgente. Per capire come questo sia possibile bisogna prima di tutto considerare la nozione di brillanza superficiale: è il flusso di energia, a una determinata frequenza, che attraversa una superficie unitaria perpendicolarmente alla direzione di propagazione per unità di tempo, angolo solido e intervallo di frequenza. Possiamo immaginarla come la quantità d’acqua che passa attraverso una superficie in un lasso di tempo ben definito. La brillanza rimane costante durante tutta la traiettoria del fascio luminoso, quindi non è influenzata da attrazioni gravitazionali. L’angolo solido, invece, varia a seconda della deflessione che il fascio luminoso subisce. Ciò comporta che la luminosità dell’immagine può essere amplificata durante un fenomeno di lente gravitazionale.
Quali tipi di lenti esistono e che effetto provocano?
Possono formarsi due tipologie di lente gravitazionale in base al numero di corpi che la compongono:
- Lente puntiforme
- Lente composta da più corpi
Nel primo caso si prende in considerazione un sistema formato da due corpi: la lente (massa celeste) e la sorgente luminosa che è posizionata dietro la lente dal punto di vista dell’osservatore. Il campo gravitazionale generato dalla lente turba lo spazio e modifica la traiettoria del raggio di luce. L’immagine che arriva ai nostri occhi di osservatore è spostata di un angolo detto angolo di deflessione. Come è facilmente intuibile, questo comporta una valutazione della posizione della sorgente luminosa errata rispetto alla realtà. Soltanto attraverso dei calcoli si può ovviare a questo problema che sarebbe stato irrisolto senza la teoria della Relatività Generale.
Date le enormi distanze interstellari tra i corpi, si possono considerare gli angoli in gioco molto piccoli. Per chi conosce un po’ di matematica e in particolare lo sviluppo in serie di Taylor, sa che per piccoli angoli si può approssimare la funzione goniometrica seno al valore dell’angolo stesso. Perciò si può ottenere la relazione:
\( \theta D_{OS} = \beta D_{OS} + \alpha D_{LS} .\)
In cui i termini DOL, DOS , DLS , sono rispettivamente le distanze: osservatore-lente, osservatore-sorgente e lente-sorgente. L’angolo α è l’angolo di deflessione, θ è l’angolo tra osservatore e l’immagine, mentre β è l’angolo tra osservatore e la sorgente.
L’angolo di deflessione noto dalla teoria della Relatività Generale vale:
\( \alpha = \frac{4GM}{r_{m}c^2} , \)
introducendo anche l’angolo di Einstein:
\( \theta_E = \sqrt{\frac{4GM D_{LS}}{c^2 D_{OS} D_{OL}}} , \)
si ottiene l’equazione della lente:
\( \theta^2 − \beta \theta − \theta_E^2 =0 .\)
La determinazione di questa relazione è ben più complessa e sono stati mostrati soltanto i passaggi salienti. L’equazione permette di verificare le posizioni reciproche tra immagine e sorgente reale fissando la posizione di quest’ultima. Come si nota dai parametri, l’equazione è di secondo grado, quindi prevede due soluzioni possibili. Infatti sono due le immagini provocate dalla deflessione del raggio da parte della lente. Nel caso di una lente gravitazionale con massa piccola (si fa per dire) come una stella, la separazione angolare tra le due immagini è piccola, dell’ordine di migliaia di secondi di arco, e non è apprezzabile dai nostri strumenti di osservazione. Questo fenomeno appena descritto prende il nome di microlensing..
Un caso particolare di lenti puntiformi è quello in cui la lente e la sorgente sono perfettamente allineati: il fascio di luce viene curvato in maniera simmetrica producendo un effetto che prende il nome di anello di Einstein.
Se si prende in esame una lente gravitazionale composta da più corpi: galassie, ammassi o altri insiemi di corpi puntiformi, procedendo attraverso calcoli complessi, si ottiene un’equazione della lente ben diversa da quella dei copri puntiformi descritta in precedenza. Tale relazione vettoriale suggerisce diversi valori di posizione dell’immagine, anche considerando uno stesso valore di posizione della sorgente. Anche nel caso di lenti binarie lo studio del fenomeno è estremamente complicato, lo stesso Einstein affermava che fosse di scarsa utilità pratica.
Cosa si può scoprire studiando le lenti gravitazionali?
Lo studio della deflessione dei fasci di luce ha sicuramente comportato la validazione della teoria della Relatività Generale, ma il suo impiego non si limita soltanto a questo scopo.
Il fenomeno del microlensing rappresenta uno dei metodi di individuazione di nuovi pianeti, come è mostrato nel video “Microlensing: allineamenti stellari per scoprire nuovi pianeti” dell’INAF.
Quando un pianeta passa tra la Terra e una stella più lontana, la luminosità di quest’ultima può essere modificata in maniera apprezzabile nell’acro di diversi giorni. In questo modo gli scienziati possono teorizzare la presenza di un pianeta massivo in corrispondenza della nostra linea di osservazione e quindi scoprire l’esistenza di nuovi corpi celesti.
Lo stesso principio può essere utilizzato per scoperta dei pianeti vaganti, ovvero i pianeti interstellari che non sono legati gravitazionalmente ad un sistema planetario. Dato il dibattito esistente sulla considerazione di questi corpi come dei veri è propri pianeti, la loro individuazione attraverso le lenti gravitazionali risulta fondamentale per poterne studiare almeno la provenienza.
Uno degli utilizzi più importanti delle lenti gravitazionali prevede di percorrere la teoria relativistica al contrario: conoscendo la posizione reale della sorgente e dell’immagine durante la deflessione del raggio luminoso, si possono determinare caratteristiche sulle lenti gravitazionali. Tramite questo procedimento, ad esempio, si ha la possibilità di misurare la quantità di materia oscura in una galassia. Quest’ultimo è uno dei maggiori risultati che si può ottenere attraverso lo studio dei fenomeni previsti dalla Relatività Generale.
Tra le scoperte più recenti, fatte attraverso l’uso di una lente gravitazionale, vi è quella di uno dei nodi più densi dell’universo, che comprende l’ammasso di galassie, chiamato PSZ2 G099.86+58.45, distante dalla Terra sei miliardi di anni luce. Il 9 luglio 2018 proprio la comunità scientifica italiana ha comunicato la scoperta di questo grande e denso ammasso di galassie. Oltre a significare una scoperta degna di nota, il nodo, contiene informazioni sulla materia oscura la cui presenza, a quanto pare, risulta ancora una volta essenziale nella formazione di questi enormi nodi cosmici.
Queste riportate sono solo le principali scoperte e applicazioni delle lenti gravitazionali, un fenomeno che di certo non smetterà di sorprenderci e darci informazioni su ciò che circonda il nostro pianeta.
Fonte
- Caustiche e curve critiche di una lente gravitazionale binaria
INFN Tesi di laurea e dottorato - Gravitational lensing detection of an extremely dense environment around a galaxy cluster
Nature Astronomy