Si sente spesso parlare di diete prive di grassi, prive di carboidrati o ad alto contenuto proteico, in verità trattasi di diete pericolose se non studiate a puntino, che rischiano di creare problemi anziché risolverli. La digestione dei carboidrati costituisce uno step fondamentale del metabolismo energetico. Ognuno di noi quando si muove, parla, pensa o semplicemente dorme, consuma energia. Questa energia deve necessariamente provenire da qualche parte.
IN BREVE
DIGESTIONE E ASSORBIMENTO DEI CARBOIDRATI
La digestione dei carboidrati costituisce uno step fondamentale del metabolismo energetico. Ognuno di noi quando si muove, parla, pensa o semplicemente dorme, consuma energia. Questa energia deve necessariamente provenire da qualche parte, non siamo in grado di produrla autonomamente a partire da noi stessi, dobbiamo assumere dall’esterno sostanze che possano essere utilizzate dal nostro corpo come carburante. Si sente parlare spesso di carboidrati, proteine e grassi (o lipidi), e in effetti queste sono le sostanze fondamentali che siamo tenuti ad assumere con la dieta. Non solo alcune di esse, bensì tutte senza eccezioni. Sono tutte fondamentali per il corretto funzionamento dell’organismo, ognuna viene metabolizzata in un modo diverso e serve per uno scopo preciso. Si sente spesso parlare di diete prive di grassi, prive di carboidrati o ad alto contenuto proteico, in verità trattasi di diete pericolose se non studiate a puntino, che rischiano di creare problemi anziché risolverli.
La prima credenza errata
Gli errori fondamentali che vengono generalmente commessi sono principalmente due. In primis, spesso si pensa che mangiare ad ogni pasto non sia fondamentale. Più volte le persone che saltano i pasti hanno fatto delle prove di digiuno e sono sempre state bene. Il fatto di aver saltato i pasti apparentemente non ha creato problemi, quindi non è dannoso? In verità vedremo nei paragrafi successivi come il nostro organismo risponde alla mancanza di alimentazione anche se apparentemente non vi sono effetti evidenti. Deve essere ben chiaro che l’uomo non è diverso da una qualunque macchina, né da un qualunque altro animale. Necessita di carburante tanto quanto un veicolo, se questo manca, la macchina si spegne. Vedremo come anche noi andiamo in «riserva», ma questo può portarci a problemi come svenimenti improvvisi, non diversamente da una macchina che da un momento all’altro rischia di spegnersi. Immagino che ciascuno di voi si prenda cura del proprio animale domestico, sfamandolo, coccolandolo e dandogli da bere. Anche l’uomo ha le stesse necessità, mangiare è senz’altro tra i primi bisogni da soddisfare. Il cagnolino richiede la digestione dei carboidrati e anche l’uomo non può farne a meno. Per noi è ancor più indispensabile dal momento che abbiamo un cervello molto più sviluppato da tenere attivo, e questo richiede molta più energia. Il cervello infatti utilizza proprio i carboidrati come forma principale di sostentamento, non le proteine, né i lipidi, se questi vengono a mancare, il rischio di compromissione è molto elevato.
La seconda credenza errata
Spesso si crede che un alimento valga l’altro. Molte volte si vedono diete che eliminano completamente gli zuccheri o le proteine animali; queste ultime possono essere assunte anche tramite i vegetali o altri alimenti simili, se però gli zuccheri vengono eliminati del tutto, l’organismo può soffrirne notevolmente. Ricordiamo che la digestione dei carboidrati fornisce i materiali principali del metabolismo cerebrale, se viene a mancare perché gli alimenti assunti non forniscono zuccheri a sufficienza, il cervello si spegne. Non è possibile compensare la carenza di pasta, dolci o pane con una dieta basata esclusivamente sulle proteine. Lo scopo dei pasti non è solo quello di riempirsi lo stomaco con «qualcosa», ma anche di riempirselo nel modo corretto. Se un’auto a benzina viene inserito diesel, l’auto non funziona comunque, pur essendo piena di carburante.
Digestione dei carboidrati: dove avviene?
La digestione dei carboidrati inizia con l’alimentazione e prosegue con il metabolismo biochimico. Con carboidrati non si intendono solo la pasta o il pane, ma tutti gli zuccheri, che siano questi sotto forma di spaghetti, di patate, di torta o di biscotti. Seppur molti alimenti li contengano in quantità differenti, non tutti li includono. La carne ad esempio ha un apporto di carboidrati pari circa a 0 g, una dieta basata esclusivamente sul consumo di carne porta senz’altro ad un dimagrimento, ma anche ad una possibile acidosi metabolica (vedremo più avanti) a problemi renali o neurologici. Ogni componente degli alimenti, che sia questa proteica, lipidica o zuccherina, viene estratta con la digestione e passo dopo passo viene assimilata dalle cellule del nostro corpo attraverso reazioni chimiche. I carboidrati nello specifico vengono successivamente utilizzati dalle cellule come principale fonte di sostentamento. Segue una descrizione rapida e schematica della biochimica che regola la digestione dei carboidrati.
- La glicolisi (col fine di estrarre energia) costituisce la prima parte del catabolismo dei carboidrati e viene utilizzata in modo più o meno abbondante da tutte le cellule dell’organismo. Porta alla formazione di due molecole di piruvato a partire da una molecola di glucosio, da qui, grazie all’uso di ossigeno, è possibile arrivare all’ossidazione completa (intesa come estrazione di energia) dei carboni che inizialmente erano del glucosio. Microrganismi che non sanno utilizzare l’ossigeno per elaborare i nutrienti, si fermano ad uno step metabolico precedente, producendo di etanolo o lattato (fermentazione alcolica o lattica). Lo stesso meccanismo anaerobico è possibile nel nostro organismo in condizioni particolari, ad esempio nel muscolo sotto sforzo, che richiede rapidamente energia, ma non ha un apporto di ossigeno sufficiente per produrla massivamente; allora scinde il glucosio senza l’utilizzo di ossigeno, ma questo non porta ad una resa energetica altrettanto efficiente;
- Tuttavia normalmente il nostro organismo lavora in condizioni di aerobiosi, perciò produce una gran quantità di energia ossidando i carboni del glucosio. In che modo? Il piruvato prodotto dalla glicolisi, entra nel Ciclo di Krebs (o ciclo dell’acido citrico, oppure ciclo degli acidi tricarbossilici). Questa lunga serie di reazioni non ha come obiettivo quello di produrre direttamente ATP, bensì potere riducente (NADH) per la fosforilazione ossidativa, lo step metabolico successivo;
- Il carboidrato è passato dall’essere glucosio, all’essere piruvato e poi NADH. A questo punto il potere riducente accumulato entra nella cosiddetta catena respiratoria che lo utilizza per fornire energie ad alcune pompe protoniche situate sulla membrana mitocondriale. Le pompe rientrano tra i meccanismi di trasporto attivo e passivo, e queste nello specifico servono per creare un gradiente protonico. L’energia provocata dal collasso di questo gradiente viene utilizzata dalla pompa ATP-sintasi per produrre ATP, ovvero la molecola principalmente utilizzata dal nostro corpo come fornitura di energia.
Produrre benzina senza fornitura di petrolio
Quella gluconeogenetica è la via metabolica opposta a quella glicolitica. La gluconeogenesi è la fase del metabolismo che ci consente di tenere alta la glicemia anche lontano dai pasti. È indispensabile soprattutto per il funzionamento del cervello e dei muscoli che richiedono un particolare apporto di energia, ma anche per tutti gli organi. Siamo nell’ambito dell’anabolismo, non più del catabolismo, quindi non sono le molecole ad essere utilizzate per produrre energia, ma è l’energia ad essere utilizzata per sintetizzare molecole (di glucosio in questo caso). Potremmo avere anche una dieta priva di glucosio, ma comunque attraverso la gluconeogenesi riusciremmo a costruirlo a partire da altre molecole (ad esempio gli amminoacidi delle proteine oppure il glicerolo dei trigliceridi, dunque il «grasso» corporeo).
Questo non significa che siamo autorizzati a non assumere carboidrati, perché ripetiamo che siamo nell’ambito dell’anabolismo, quindi la formazione di molecole con potenziale energetico richiede essa stessa energia, che viene sottratta ad altre funzioni, ad esempio quelle cerebrali. Il cervello è senz’altro l’organo che risente maggiormente la carenza energetica. Nel sangue vi sono circa 20g di glucosio, al giorno ne consumiamo 160g (120g solo il cervello), perciò la gluconeogenesi che avviene nel fegato (e in parte nei reni) è fondamentale per assemblarlo continuamente quando viene a mancare. Attenzione, mentre il tessuto adiposo esiste a scopo energetico, così come il glicogeno, una forma di accumulo del glucosio, non vi è un pool proteico di riserva energetica. Se si arriva ad usare le proteine come forma di energia, si va a intaccare il patrimonio strutturale dell’organismo.
Problemi metabolici
Per sottolineare l’importanza della digestione dei carboidrati, seguiranno due casi clinici inventati, ma facilmente riscontrabili in un qualsiasi pronto soccorso o ambulatorio medico. Entrambi hanno proprio lo scopo di evidenziare i possibili problemi, cerebrali e metabolici, dovuti alla carenza di glucosio. Vedremo come le altre sostanze, quali proteine e lipidi, possono essere utilizzate come fornitura energetica limitata e come la glicemia bassa può portare a notevoli compromissioni la cui causa è radicata nella biochimica. Purtroppo si fa fatica ad immaginare l’uomo come un insieme di cellule e molecole, ma la verità è che non siamo altro che aggregati biologici programmati dall’evoluzione. È necessario che ciascuna delle componenti del sistema interagisca in modo sufficientemente efficace con le altre, e per farlo non è possibile prescindere dalla digestione dei carboidrati e dall’apporto energetico che ne deriva. Con gli esempi clinici ci focalizzeremo su quello che potrebbe andare storto nel caso in cui venissero a mancare, ma questo non esclude che le diete chetogeniche, del digiuno intermittente o simili possano essere utili e funzionali, l’importante è che siano ben pensate e non improvvisate, perché tra i rischi ci sono anche quelli riportati di seguito.
CASO CLINICO I
Per comodità chiameremo la nostra prima paziente Monica, una ragazza di 19 anni alta 165cm, del peso di circa 70 kg. Nel tentativo di perdere peso, richiede al medico una dieta dimagrante, così gliene viene consigliata una dall’apporto calorico di 1800 calorie al giorno. Le viene detto di aspettarsi una riduzione di peso di circa 0.5-1 kg a settimana, in questo modo sarebbe arrivata a 60 nel giro di 10-20 settimane. Per velocizzare i tempi, Monica decide di assumere solo acqua, caffè e capsule vitaminiche, cosa che effettivamente le fa perdere molto peso rapidamente: 4.5 kg nella prima settimana. A questo punto, sentendosi soddisfatta del risultato, ma un po’ debole, decide di iniziare la dieta consigliatole in modo tale da continuare a perdere peso recuperando le forze. Tuttavia, per sicurezza, anziché assumere quotidianamente 1800 kcal, ne assume 1700; nonostante tutto inizia a riprendere 200 g al giorno, fino ad arrivare ad 1.5 kg dopo la prima settimana. Come mai? Il digiuno sembra non aver funzionato.
In genere un individuo normopeso tra i 19 e i 24 anni ha un BMI compreso tra 19 e 24. Monica ha un BMI di circa 26, dunque è leggermente (davvero leggermente) sovrappeso:
\( \)
$$ BMI = \frac{\mbox{Peso corporeo in kg}}{(\mbox{altezza in metri})^{2}}; $$
$$ BMI_{Monica} = \frac{70 \; Kg}{(1.65 \; m)^{2}}= 26 $$
Il suo fabbisogno calorico quotidiano è di 1680 kcal, dal momento che un soggetto consuma circa 1 kcal per chilo ogni ora per soddisfare il proprio fabbisogno energetico giornaliero basale, inteso come la quantità di energia necessaria per svolgere le funzioni basali (quindi a riposo) dell’organismo:
$$ \mbox{Fabbisogno calorico giornaliero Monica} = 1 \; kcal \cdot 70 \; kg \cdot 24 \; h = 1680 \; kcal $$
Al fabbisogno energetico basale va sommata la quantità di kcal necessaria per la messa in atto delle funzioni extrabasali che dipendono dal grado di attività dell’individuo (+40% in un individuo che compie attività moderata):
$$ \mbox{Kcal funzioni extrabasali di Monica} = 1680 + [\frac{1680 \cdot 40}{100}] = \\ = 1680 + 672 = 2352 $$
In caso di dieta dimagrante, nel determinare il fabbisogno energetico giornaliero, si prende in considerazione il peso desiderato (60kg nel caso di Monica) e non quello corrente:
$$ \mbox{Fabbisogno calorico dieta dimagrante}= (1 \; kcal \cdot 60 \; kg \cdot 24 \;h) + \\ + (1440 + [\frac{1440 \cdot 40}{100}]) = 1440 + 576 = 2016 \; kcal $$
Nel caso di Monica, per comodità, approssimeremo a 2000 kcal il fabbisogno calorico della dieta dimagrante. Una dieta può essere fino a 100/200 kcal inferiore rispetto al fabbisogno, non oltre (difatti il medico le consiglia di assumere 1800 kcal). Monica decide invece di digiunare, ma comunque in qualche modo le sue 2000 kcal deve ottenerle. In che modo? Inizierà a consumare costituenti tissutali.
I primi giorni di digiuno
Nel primo giorno Monica inizierà a consumare perlopiù glicogeno, un polimero ramificato del glucosio, immagazzinato nel fegato come riserva (circa 400 kcal di glicogeno) e nei muscoli (circa 1200 kcal). Il contenuto calorico di carboidrati e proteine è circa 4 kcal/g, 9 kcal/g per i grassi, dunque nel fegato sono immagazzinati 100g di glicogeno e 300g nel muscolo. Nel primo giorno di digiuno viene secreto glucagone da parte delle cellule alpha del pancreas che di conseguenza va a stimolare la degradazione di glicogeno. Si ottiene glucosio al fine di ottenere ATP; i neuroni in particolare possono utilizzare per produrre ATP solo e soltanto glucosio, nessun altro combustibile, fatta eccezione per i corpi chetonici come ultima spiaggia. Non possono assolutamente utilizzare gli acidi grassi per la produzione di ATP. Questi infatti derivano dall’idrolisi di trigliceridi presenti nel tessuto adiposo e sono presenti in circolo complessati all’albumina. L’albumina è una proteina piuttosto ingombrante che purtroppo non riesce ad attraversare la barriera ematoencefalica, quindi gli acidi grassi non possono raggiungere i neuroni. L’esigenza primaria di un individuo però è proprio quella di fornire energia ai neuroni, dunque il glicogeno epatico viene utilizzato perlopiù per fornire combustibile al cervello.
Il fegato è un organo generoso che può distribuire glucosio all’organismo dopo averlo trasformato a partire dal glucosio-6-fosfato ottenuto dalla degradazione del glicogeno. Dalla degradazione del glicogeno, si ottiene infatti glucosio-6-fosfato, non direttamente glucosio, dunque è richiesto un enzima specifico per la sua trasformazione. Il muscolo non possiede tale enzima (glucosio-6-fosfatasi), quindi non può distribuire il glucosio come il fegato. Gli zuccheri fosfati fanno fatica ad attraversare la membrana cellulare, perciò nel caso del muscolo rimangono nelle cellule e vengono utilizzati direttamente per la glicolisi in condizione di sforzo eccessivo e prolungato. In condizioni di riposo, i muscoli utilizzano prevalentemente acidi grassi per la produzione di ATP, a differenza del cervello che invece non può usarli. Il glicogeno muscolare viene utilizzato solo sotto sforzo.
Glicogeno e acidi grassi
Gli acidi grassi (+ glicerolo) derivano dall’idrolisi dei trigliceridi contenuti negli adipociti. Entrano in circolo complessati all’albumina e raggiungono le cellule muscolari. Ricordiamo che rappresentano la maggior sorgente di combustibile per i muscoli in condizioni di riposo. Entrano nel cosiddetto ciclo di β-ossidazione che consiste nella rimozione, dalla lunga catena di acido grasso, di unità acetili al fine di ottenere acetil CoA (acetil coenzima A), un reagente del ciclo di Krebs. Questo viene poi direzionato nel ciclo per la produzione di ATP. Nel muscolo in attività si ha invece il degrado di glicogeno a glucosio-6-fosfato che viene poi utilizzato per la produzione di ATP durante la glicolisi. Si forma piruvato (+ NADH), trasformato in acido lattico (+ NAD+) per fermentazione lattica catalizzata dall’enzima lattato deidrogenasi. L’obiettivo della fermentazione lattica è quello di garantire disponibilità di NAD+ (da trasformare in NADH) che possa sostenere una glicolisi continua, veloce e in grado di produrre sufficiente ATP. Il lattato viene riversato nel circolo sanguigno, dal muscolo arriva al fegato e qui viene trasformato in glucosio. Il nuovo glucosio generato viene di nuovo riversati in circolo ed eventualmente riutilizzato dal muscolo stesso per la produzione di ATP. L’adrenalina è l’ormone che controlla l’intero processo di degradazione del glicogeno nel muscolo.
Perché la colazione è importante
Dunque Monica consuma il glicogeno epatico durante il primo giorno, ma non quello muscolare perché non compie particolare esercizio. Nel fegato ricordiamo esserci 100g di glicogeno. I neuroni richiedono quotidianamente circa 100g-120g per funzionare, dunque durante il primo giorno di digiuno l’intera riserva del fegato viene consumata per fornire energia al cervello (si parla di fase carboidratica). Vista l’importanza del glucosio per l’attività cerebrale, in condizioni normali, l’intera riserva di glicogeno epatica viene comunque consumata nel tempo che intercorre tra la cena e la colazione successiva. Questo ci spiega perché è sempre importante fare un’abbondante colazione a base di carboidrati: di mattina non vi sono riserve per fornire energia al cervello, se non tramite corpi chetonici (che vedremo più avanti essere potenzialmente dannosi). Ricordiamo che il glicogeno epatico equivale a circa 400 kcal. Il fabbisogno di Monica è di 2000 kcal, avanzano 1600 kcal da recuperare. Si passa al consumo di lipidi. Sia per un individuo a digiuno che per un individuo non a digiuno, i lipidi sono comunque il combustibile più utilizzato dall’organismo. Ricordiamo infatti che a riposo i muscoli utilizzano perlopiù acidi grassi per svolgere le loro funzioni. Dunque, se durante il primo giorno di digiuno viene consumato tutto il glicogeno epatico, vengono consumati soprattutto grassi per soddisfare il resto del fabbisogno energetico.
Digestione carboidrati e proteine
Passiamo al quinto giorno di digiuno. Il glicogeno è esaurito e non è stato ripristinato perché Monica non si è minimamente alimentata se non con acqua, caffè e vitamine. Iniziano ad essere usate le proteine per soddisfare il fabbisogno calorico giornaliero e continuano ad essere utilizzati i trigliceridi (fase proteica). La priorità rimane sempre l’alimentazione del cervello il cui combustibile d’elezione è il glucosio. Dalle proteine si possono ottenere i precursori per il glucosio, alcuni amminoacidi infatti appartengono alla classe degli amminoacidi gluconeogenici che possono portare alla formazione di nuovo glucosio a partire da precursori non-saccaridici. Lo scopo è sempre quello di fornire giorno per giorno 100g-120g di glucosio al cervello (e agli eritrociti, che come il cervello, ottengono energia solo dal glucosio).
La gluconeogenesi nel fegato, a partire dalle proteine, porta alla produzione di 120g di glucosio ogni giorno, dunque solo la quantità necessaria per il funzionamento del fegato, questo per evitare l’over-degradazione delle proteine. Non è ammissibile che vengano degradate senza limite perché il loro ruolo è essenziale e necessario. La loro degradazione è strettamente limitata alla produzione di glucosio per il funzionamento cerebrale, non oltre. Il loro non è uno scopo primariamente energetico. Il muscolo è costituito per il 20% da proteine, e di queste il 60% sono costituite da amminoacidi gluconeogenici. Il 10% di 1000g corrisponde a 600g, mentre il 20% di 600g corrisponde a 120g, ovvero la quantità di glucosio che ci occorre per tenere attivo il cervello, dunque per fornire 120g di glucosio ogni giorno, ben 1Kg di muscolo viene utilizzato quotidianamente. Circa 190g di lipidi vengono invece persi quotidianamente per fornire le calorie mancanti a completamento del fabbisogno giornaliero di 2000 kcal.
Fino all’osso in pochi giorni
L’ultima fase del digiuno (ketotic phase) è quella che appare gradualmente dopo il quinto giorno. La degradazione proteica rallenta di molto (solo 200g di muscolo vengono degradati quotidianamente) perché non può proseguire oltre un certo limite. Vengono quasi esaurite le riserve di trigliceridi, ma comunque queste non possono essere utilizzate per fornire energia al cervello a causa dell’albumina. Dunque come forniamo energia ai neuroni se il glucosio lipidico è inutile e quello proteico non è più prodotto a sufficienza? Vengono prodotti dal fegato 3 corpi chetonici (acetone, acido acetoacetico e acido β-idrossibutirrico) da utilizzare come combustibile alternativo al glucosio per la produzione di ATP da parte delle cellule neuronali. I corpi chetonici derivano da Acetil CoA in eccesso a partire dalla degradazione degli acidi grassi durante la β-ossidazione nel fegato. Acetil CoA verrebbe normalmente utilizzato dalle cellule nel ciclo di Krebs per la produzione di ATP, ma in caso di digiuno si accumula e viene trasformato in corpi chetonici.
Perché l’Acetil CoA a un certo punto abbonda nel fegato? Normalmente entrerebbe nel ciclo di Krebs e si complesserebbe con l’ossalacetato, tuttavia, in una situazione come questa, l’ossalacetato non è più disponibile perché sta facendo gluconeogenesi massiva per compensare la mancanza di assunzione di glucosio dell’individuo a digiuno. Difatti stiamo parlando di un composto coinvolto in ambedue le vie metaboliche. Acetil CoA viene allora utilizzato per la sintesi dei corpi chetonici. Questi si spostano dal fegato alle cellule nervose tramite la circolazione sanguigna; nelle cellule neuronali vengono degradati ad acetoacetil CoA, che poi viene riconverto in Acetil CoA. Quest’ultimo entra come di consueto nel ciclo di Krebs al fine di produrre potere riducente per la catena respiratoria (da cui deriverà l’ATP necessario per il sostentamento). Difatti le cellule nervose non fanno gluconeogenesi, dunque vi è ossalacetato a sufficienza che può complessarsi ad acetil CoA. Sottolineiamo che nella seconda fase, quella proteica, non possono intervenire direttamente i corpi chetonici al posto delle proteine perché di fatto sono corpi acidi. L’utilizzo di corpi chetonici per molto tempo può portare ad acidosi metabolica, una situazione che può risultare incompatibile con la vita nella sua forma più grave.
Perché si ingrassa dopo il digiuno?
Dopo il digiuno prolungato, Monica inizia nuovamente ad alimentarsi ed in poco tempo riprende molti chili. Come mai? Premesse:
- Durante la fase proteica la ragazza perde 1Kg di muscolo al giorno;
- I carboidrati e le proteine, oltre che per il potere calorico, differiscono dai grassi perché sono presenti nella cellula in forma idratata, mentre i lipidi in forma anidra. Questo ci può far supporre che il muscolo sia costituito per gran parte da acqua oltre che da proteine e amminoacidi;
- I lipidi rappresentano la maggior fonte di combustibile per Monica, come per tutti, quindi vengono eliminati in grandissima parte durante il digiuno;
Nel momento in cui la nostra paziente perde proteine e carboidrati, perde in associazione ad essi una gran quantità di acqua. Proteine e carboidrati (soluto) sono contenuti all’interno delle cellule; se vengono eliminati, per mantenere l’equilibrio osmotico, deve essere eliminata anche l’acqua (solvente) associata ad essi. Dunque con il digiuno si finisce per perdere anche una gran quantità di acqua dal compartimento fluido intracellulare. Quando Monica riprende l’alimentazione, nonostante questa sia ipocalorica, inizia a ricostituire la massa muscolare (+ acqua) e le riserve di glicogeno (+ acqua). Inizierà a perdere nuovamente peso con la dieta ipocalorica solo una volta che tutte le riserve saranno riformate; tanto valeva risparmiare una settimana di sofferenza dell’organismo e seguire la dieta fin dall’inizio senza digiuno assoluto. Solo le riserve lipidiche non saranno immediatamente rimpiazzate, perché saranno ancora presenti in minima parte, quindi un minimo di peso verrà effettivamente perso, ma a costo di una settimana di sofferenza psicologica e metabolica che potrebbe potenzialmente portare ad acidosi, svenimenti o bassa performance cognitiva.
CASO CLINICO II
Chiameremo Max il nostro secondo paziente. In questo caso il problema metabolico è associato non solo ad una bassa glicemia, ma anche ad un problema di alcolismo. Si sente spesso dire che gli alcolici hanno un gran potere calorico, ed effettivamente è così, ma ricordiamo che lo scopo della dieta non è solo quello di riempire lo stomaco, né solo quello di fornire un apporto calorico, è anche necessario che con l’alimentazione vengano assunte tutte le sostanze necessarie per la sopravvivenza, a prescindere dal loro potere energetico. Vedremo come una bottiglia di alcol, per quanto energetica, non soddisfa l’apporto nutritivo che invece viene da un’equilibrata digestione di carboidrati, proteine e lipidi. Max è un ometto di 48 anni, dal peso di 64 kg e alto 165cm. Raggiunge il pronto soccorso perché continua ad entrare ed uscire da uno stato comatoso. Stando a ciò che riferisce la figlia, dopo aver perso il lavoro ha iniziato a bere una bottiglia di whisky al giorno, è diventato molto sedentario ed ha iniziato ad alimentarsi piuttosto male. Ultimamente lamenta mal di testa, confusione e dolore all’alluce destro. I suoi occhi sembrano muoversi in modo anomalo… in che modo questa sintomatologia è legata alla digestione dei carboidrati?
Non solo ipoglicemia
Siccome la figlia riporta che da diverso tempo il padre si alimenta poco e in maniera disequilibrata, l’ipotesi principale è quella di ipoglicemia. La cattiva e scarsa alimentazione è una caratteristica comune agli alcolisti cronici. Siccome il paziente si alimenta poco e male, è probabile che produca anche corpi chetonici come intermedio metabolico. Difatti se non vi glucosio per la produzione di ATP a livello cerebrale, abbiamo visto che si assiste proprio alla produzione di acetone, acido acetoacetico e acido β-idrossibutirrico, intermedi metabolici tipicamente riscontrabili in pazienti alcolisti. Per le loro caratteristiche chimico-fisiche, contribuiscono alla diminuzione di ph sanguigno, quindi acidificano il sangue e comportano acidosi metabolica. Il movimento oculare errato è dovuto ad una paralisi del sesto nervo cranico, un altro segno caratteristico tipico dei pazienti alcolisti cronici, spesso associato ad altri segni di mancanza di coordinazione motoria fine come un’andatura vacillante. Tale condizione è dovuta ad un deficit di vitamina B1 (tiamina), spesso carente negli alcolisti che per lungo tempo si alimentano poco e male, proprio come Max e tanti altri come lui. La tiamina infatti si può trasformare in tiamina pirofosfato, importante fattore co-enzimatico, la cui alterazione può portare a conseguenze come quelle appena descritte.
Biochimica per spiegare i sintomi neurologici
Bassa glicemia ed effetto diretto tossico dell’etanolo sulle membrane cellulari sono le cause principali dei sintomi neurologici riportati dal paziente. L’alcol infatti, per la sua composizione, è in grado di intercalarsi tra i lipidi di membrana, disorganizzandone la fluidità. Nel momento in cui si inserisce tra i lipidi delle membrane neuronali, altera il trasporto di ioni e molecole, ma soprattutto altera il potenziale di membrana, la trasmissione sinaptica e la sintesi di neurotrasmettitori, con conseguente depressione della funzione cerebrale che può portare fino alla morte per insufficienza respiratoria. L’ipoglicemia invece in generale può originare in due modi differenti, in una prima condizione si può assistere ad un esordio rapido per stimolazione dell’ipotalamo, che a sua volta stimola la midollare del surrene a secernere adrenalina con conseguente manifestazione di sintomi adrenergici (palpitazione, ansia, sudorazione). Tuttavia il nostro paziente non manifesta questa sintomatologia, dunque non si trova in ipoglicemia ad insorgenza rapida. I segni di Max sono ascrivibili al secondo tipo di ipoglicemia, ad insorgenza lenta (coma, svenimenti), tipicamente associata ad un’assunzione di cibo scarsa, disequilibrata e protratta nel tempo. L’ipoglicemia protratta nel tempo comunque tende a non manifestarsi con questi sintomi neurologici, a meno che non sia aggravata da altri elementi: l’assunzione acuta di etanolo nel caso di Max, che porta ad un rallentamento della gluconeogenesi (unica via metabolica per ottenere glucosio in caso di scarsa alimentazione).
Contenuto calorico e glucidico non sempre coincidono
George comunque sembra mantenere un peso stabile nonostante la scarsa alimentazione, questo perché l’alcol fornisce un notevole apporto calorico. Considerando che l’etanolo ha un potere calorico piuttosto elevato (7 kcal/g), una bottiglia di whisky apporta circa 1700 kcal, quindi soddisfa quasi interamente il fabbisogno giornaliero di un individuo del peso di 64Kg. Per questo motivo i pazienti alcolisti tendono a non avere appetito, perché gran parte del loro fabbisogno è soddisfatto dall’etanolo. In che modo l’etanolo fornisce combustibile alle cellule per la produzione di ATP? Viene metabolizzato per il 90% nel fegato e viene trasformato in acetato attraverso due step successivi: 1. ossidazione in acetaldeide a livello citosolico; 2. ossidazione dell’acetaldeide in acetato nei mitocondri. A questo punto l’acetato esce dal tessuto epatico e viene utilizzato dagli altri tessuti a formare Acetil CoA che di conseguenza può entrare o nel ciclo di Krebs, o nella sintesi degli acidi grassi.
L’alcol però, attenuando l’appetito, porta il paziente a non assumere nutrienti reali o essenziali. Gli alcolisti cronici tendono infatti a non assumere vitamine, acidi grassi essenziali e amminoacidi essenziali (la cui mancanza può portare ad alterata sintesi di enzimi, di proteine strutturali o coinvolte nella risposta immunitaria). Inoltre l’effetto tossico dell’etanolo può contribuire ulteriormente al deficit vitaminico: a livello della mucosa intestinale può provocare danni con conseguente alterazione dell’assorbimento, per giunta il fegato è un organo in grado di immagazzinare alcune vitamine, ma spesso i pazienti alcolisti presentano anche un’alterazione della funzionalità epatica che può portare ad un deficit nello storage.
Gli esami di laboratorio
Nell’attesa degli esami di laboratorio, ipotizzando che vengano fatti, decidiamo di sottoporre il paziente ad un trattamento rapido, efficace e privo di effetti collaterali che risolva le problematiche neurologiche. I sintomi potrebbero essere causati da un rallentamento della gluconeogenesi, dunque un’infusione per via endovenosa di glucosio dovrebbe risolvere il problema in acuto. Analizziamo a questo punto il report di laboratorio: effettivamente Max è ipoglicemico, inoltre il paziente presenta acidosi lattica, quindi il suo ph sanguigno è acido e vi è un’elevata concentrazione di lattato. È osservabile anche un’alta concentrazione di urato da cui potrebbe dipendere il dolore all’alluce, caratteristico degli alcolisti e dovuto all’accumulo di intermedi responsabili a loro volta dell’accumulo di acido urico. Abbiamo inoltre conferma del fatto che Max ha assunto etanolo in acuto e le urine risultano positive ai corpi chetonici. Tutto torna.
Bassa glicemia e rallentamento della gluconeogenesi
Nell’individuo sano, negli epatociti, l’alcol viene metabolizzato per il 90% dall’alcol-deidrogenasi che lo trasforma in acetaldeide e NADH; per l’8% dal sistema di ossidazione enzimatica microsomiale (MEOS) presente al livello del reticolo endoplasmatico liscio; per il 2% dalla catalasi presente nei perossisomi. L’acetaldeide prodotta viene spostata nel mitocondrio e trasformata in acetato + altro NADH. Vi è un aumento di potere riducente sotto forma di NADH epatico sia citosolico che mitocondriale. Nel frattempo, nel fegato di Max si innesca la gluconeogenesi, o almeno ci prova, perché il nostro paziente si alimenta poco. Il NADH che deriva dal metabolismo dell’etanolo a livello citosolico, favorisce le reazioni di riduzione del piruvato a lattato e dell’ossalacetato a malato, quindi sottrae intermedi importanti per la gluconeogenesi: l’ossalacetato e il piruvato. Per questa ragione l’assunzione in acuto di alcol rallenta la gluconeogenesi. Anche a livello mitocondriale il potere riducente aumenta. Questo comporta un rallentamento del ciclo dell’acido citrico per rallentata produzione dell’ossalacetato. L’ipoglicemia si aggrava ulteriormente e compaiono i sintomi di alterata funzione cerebrale.
Acidosi per mancanza di carboidrati
Il ph di Max è acido perché, come molti pazienti alcolisti, tende a non alimentarsi. La digestione dei carboidrati viene a mancare, quindi vengono prodotti in sostituzione i composti cheto-acidi descritti in precedenza che contribuiscono all’acidosi. Inoltre ricordiamo che il NADH favorisce la riduzione del piruvato in lattato, si ha quindi anche la produzione di acido lattico che contribuisce ulteriormente alla riduzione del ph. Anche l’acido urico si accumula nel circolo, questo perché i corpi chetonici competono con lui per la secrezione attraverso cui vengono tutti escreti. L’acido urico si accumula e si deposita nelle articolazioni (dell’alluce destro) sotto forma di sali di urato con conseguente reazione infiammatoria e dolore perché non viene secreto: il suo posto nel rene è occupato da altri acidi. In conclusione, come diagnosi si potrebbe pensare ad un’ipoglicemia aggravata da rallentamento della gluconeogenesi in seguito ad assunzione acuta di alcol, il che ci potrebbe portare a pensare ancora una volta all’importanza della digestione dei carboidrati e del loro metabolismo energetico per il corretto funzionamento della macchina biologica umana. L’intera trattazione non vuole incitare ad un consumo eccessivo di cibi ad alto contenuto glucidico, potrebbe essere altrettanto dannoso. L’intento dell’elaborato è quello di far comprendere l’importanza dei diversi metaboliti: ognuno ha una sua specificità ed unicità, è meglio non privarsene. In quest’ottica, le migliori diete sembrano essere proprio quelle più equilibrate; seguire una dieta non vuol dire non mangiare, bensì mangiare meglio ed in modo sensato.
Fonte
- Biochimica. Zanichelli.
Stryer L., Berg J. M., Tymoczko J. L. (2020) - Biologia molecolare della cellula. Zanichelli.
Alberts B. et al. (2016)