Ti senti particolarmente triste quando vedi un animale soffrire? La causa potrebbe essere la compassion fatigue, o fatica da compassione. Questa condizione è molto comune in molte persone, spesso interessa chi lavoro a stretto contatto con animali in situazioni difficili. Ma la compassion fatigue può interessare anche altre persone in generale. E la ragione di base per cui la sofferenza di un animale colpisce in modo così forte alcune persone, può dipendere dall’empatia, e dalla vulnerabilità percepita.
IN BREVE
Indice
COMPASSION FATIGUE: COS’È?
La compassion fatigue (letteralmente “la fatica compassionevole”) è una condizione caratterizzata da una graduale diminuzione nel tempo del desiderio di prendersi cura, ovvero della compassione. I primi studi su questa condizione hanno infatti definito la compassion fatigue come una vera e propria sindrome, comune spesso tra i professionisti che lavorano a stretto contatto con le vittime di disastri, traumi o malattie, come nel settore sanitario. Può insorgere in modo acuto e improvviso, o può essere scatenata anche da una sola esperienza, percepita come particolarmente critica dalla persona che ne è colpita. La compassion fatigue è stata inizialmente studiata in ambito ospedaliero, dove è stata chiamata anche “costo della cura” come se fosse “il prezzo emotivo da pagare” per coloro che si prendono cura degli altri. I segni di questa condizione possono inoltre sfociare in quello che viene definito stress traumatico secondario (STS). Il nome deriva dal fatto che si tratta di ferite emotive derivanti dalla sola conoscenza di eventi traumatici provati da altri. Anche il burnout è un’ulteriore forma di compassion fatigue, tra le più gravi e drastiche conseguenze della scarsa qualità di vita in molte professioni.
La compassion fatigue nel mondo degli animali
Generalmente questa condizione è diffusa in persone che lavorano in ambito ospedaliero, medico, ma anche in contesti legati alla sfera sociale (es. psicologi). Tuttavia, nel tempo anche altre categorie di lavoratori hanno accusato questa problematica. Parliamo di veterinari, educatori cinofili, volontari e operatori di centri di recupero e rifugi, e attivisti legati al mondo animale. Ma cosa c’entrano gli animali con la compassion fatigue? Quando ci si trova di fronte alla sofferenza o alla morte degli animali, o quando ci si trova a dover fronteggiare delle ingiustizie a loro dirette, lo stato emotivo di un individuo può essere compromesso. Spesso la sofferenza degli animali si trasforma in sofferenza nelle persone, che risultano molto sensibili. Ad esempio, nel 2015 una campagna di raccolta fondi fu svolta con due versioni dello stesso annuncio che differivano per la foto del soggetto, un bambino di 8 anni con una patologia, e la foto di un cane con la stessa patologia. L’annuncio raffigurante il cane ha attirato il doppio dei clic rispetto a quello con il ragazzo.
TROPPA EMPATIA VERSO GLI ANIMALI?
La sofferenza negli animali può colpire in maniera molto più forte della sofferenza nelle persone. A volte genera più rabbia e dolore la storia di un cane morto investito rispetto ad una persona morta nelle stesse circostanze. Questo è testimoniato anche dal grande risvolto sociale che hanno alcune notizie riguardanti le morti di alcuni animali, che monopolizzano spesso i telegiornali per giorni. La domanda di fondo è semplice: la sofferenza degli animali ci colpisce più della sofferenza nelle persone?
Lo studio
A questa domanda ha provato a rispondere uno studio recente. Nello studio, ai partecipanti è stato chiesto di rispondere a una notizia falsa su una vittima che è stata aggredita con una mazza da baseball, lasciandola priva di sensi con diversi traumi. Sebbene la storia fosse la stessa, differiva in un dettaglio cruciale: l’identità della vittima cambiava, variando un bambino di un anno, una persona adulta, un cane di sei anni o un cucciolo. I partecipanti dovevano indicare la loro angoscia di fronte alla notizia. I risultati hanno mostrato che i partecipanti avevano lo stesso livello di angoscia per il bambino, il cucciolo e il cane adulto, ma significativamente meno per l’essere umano adulto. Tra cane adulto e bambino, quest’ultimo causava maggiore sofferenza nei partecipanti. Questi risultati supportano l’idea che le persone siano più interessate alla sofferenza degli animali piuttosto che delle persone. Ma perché la sofferenza degli animali ci disturba più della sofferenza umana?
Empatia e vulnerabilità percepita
Ci sono due possibili spiegazioni per i risultati precedenti. I punteggi più alti per il bambino rispetto a tutte le altre vittime sono coerenti con ricerche che evidenziano l’importanza della somiglianza tra gli intervistati e le vittime. La spiegazione della “somiglianza percepita” sostiene infatti che le persone provano maggiore preoccupazione per gli altri che percepiscono come simili a loro. Pertanto, la somiglianza delle specie potrebbe spiegare la preferenza del neonato rispetto al cucciolo e al cane. In secondo luogo, i punteggi più alti per il neonato e il cucciolo suggeriscono l’importanza della vulnerabilità, in questo caso trasmessa dalla giovinezza, nell’evocare empatia. Infatti la somiglianza percepita da sola non evocava empatia: lo faceva solo se combinata con la vulnerabilità. Ciò è coerente con ricerche precedenti, che suggeriscono che la risposta empatica si è evoluta per promuovere la cura e la protezione dei giovani. Inoltre, i risultati suggeriscono che i soggetti intervistati erano comunque preoccupati anche per i cani adulti come vittime. In pratica, solo l’empatia verso l’essere umano adulto era significativamente inferiore all’empatia espressa verso un neonato, un cucciolo o un cane adulto. Può darsi quindi che molte persone valutino i cani come vulnerabili, indipendentemente dalla loro età.
Fonte
- Bride, B. E., Radey, M., & Figley, C. R. (2007). Measuring compassion fatigue.
Clinical social work journal - Levin, J., Arluke, A., & Irvine, L. (2017). Are people more disturbed by dog or human suffering?
Society & Animals