I dinosauri di che colore erano? Grazie al ritrovamento di fossili ben conservati e strumenti scientifici sempre più sofisticati, recenti ricerche hanno fatto luce sui segreti di queste affascinanti creature preistoriche che acquistano così una nuova immagine.
IN BREVE
Un appassionato delle più famose creature preistoriche, i dinosauri, deve convivere con una triste realtà: non saremo mai in grado di ricreare un dinosauro in carne ed ossa, nonostante la scienza sia incredibile e alcuni film abbiano suggerito che fosse possibile. Non poter osservare una creatura direttamente, implica diverse limitazioni, per quanto riguarda il suo studio approfondito. Vale lo stesso discorso per il colore dei dinosauri?
Da una parte, fossili e simulazioni computerizzate ci permettono di calcolare un’incredibile mole di dettagli e informazioni che caratterizzano i dinosauri. Osservando uno scheletro, un’impronta fossile o dettagli intrappolati nei sedimenti, possiamo ricostruire la struttura fisica, i movimenti e le abitudini alimentari di animali carnivori od erbivori. Dall’altra esistono altri particolari, che sembrano invece condannati a restare un mistero irrisolvibile: questo problema è causato dal decadimento precoce di materiale organico, che non riesce a fossilizzare, andando perso per sempre. I suoni emessi, i colori delle piume o della pelle e il modo di comunicare, ad esempio, sono legati ad organi e tessuti incapaci di sopravvivere alla morsa del tempo. Negli ultimi anni abbiamo però scoperto una falla in questo ragionamento, a prima vista intoccabile: è possibile ricostruire il colore dei tali creature e creare un’immagine dei dinosauri molto vicina alla realtà.
Una volta appurata la presenza di esteso piumaggio nei teropodi (quella stirpe di animali carnivori bipedi, a cui appartengono i famosi T-Rex e Velociraptor), la paleontologia ha continuato a compiere passi da gigante. Le novità sono esplose all’aumentare dei ritrovamenti di fossili piumati, provenienti dal territorio cinese. Il terreno sedimentario della Cina, infatti, rappresenta un habitat perfetto per la conservazione delle piume: esse arrivano a noi sotto forma di impronte nella roccia, in numerosi esemplari anche completi. A prima vista, l’impronta di una piuma o un tessuto epidermico ci fornisce solo importanti informazioni strutturali: quello che sembra non far trasparire, invece, è un eventuale dettaglio sui cromatismi. Prendendo un fossile e portandolo sotto un potente microscopio elettronico, però, emergono incredibili dettagli supplementari.
Il paleontologo Jakob Vinther, ricercatore dell’Università di Bristol e laureato a Yale, ha compiuto un importantissima deduzione, durante l’osservazione di un fossile di seppia. Il campione studiato, infatti, possedeva tracce di inchiostro fossile all’interno della sua sacca. Vithner si accorse che, a livello microscopico, i pigmenti dell’inchiostro lasciavano una vera e propria impronta nella roccia. Nel regno animale, le colorazioni degli esseri viventi sono fornite da questi pigmenti melanici: ogni singolo colore presenta una particolare configurazione strutturale e una differente forma da parte dei pigmenti. Il nero di seppia, ad esempio, appare come una struttura globulare, mentre il rosso – al microscopio – risulta caratterizzato da una moltitudine di microscopici vermicelli. Sospettando di poter utilizzare questo espediente anche per il colore che differenziava i vari dinosauri, Vithner iniziò ad osservare al microscopio elettronico fossili di antiche piume. La scoperta fu sensazionale: nel corso dell’evoluzione, infatti, la forma e la disposizione dei pigmenti melanici non è cambiata. Il ricercatore trovò nei campioni fossili pattern molto familiari, esattamente identici a quelli che aveva catalogato in precedenza, attraverso l’osservazione di pigmenti moderni. Tutte le tracce risultavano ben conservate, quindi facilmente osservabili. Questo tipo di studio è possibile solo in modo parziale, perché alcuni colori tendono a deteriorarsi col passare dei secoli: giallo e blu, ad esempio, risultano molto effimeri. Vi sono altri colori, quali rosso, bianco, nero, che invece hanno le carte in regola per farsi osservare al microscopio, anche dopo più di 65 milioni di anni.
L’Archaeopteryx, ritenuto il primo vero antenato degli uccelli, e l’anello mancante tra quest’ultimi e dinosauri, per la presenza di molti tratti degli animali carnivori, come i denti nel becco, era ricoperto di piume bianche e nere, a chiazze.
Altri dinosauri carnivori caratterizzati da piume colorate sono il Sinosauropteryx, bianco e rosso , a strisce, e il Microraptor, piccolo dinosauro probabilmente arboricolo, per il quale fu addirittura possibile confermare la presenza di iridescenza sulle sue piume (l’iridescenza è quel luccichio che, ad esempio, possiamo osservare sulle piume di un corvo o di un colibrì). Dopo più di 100 anni di paleontologia, finalmente i dinosauri hanno preso colore: non solo erano piumati, ma ricoperti di variopinti e vistosi motivi sgargianti. Questa certezza va a porre basi solide per una già esistente teoria sul piumaggio: non si trattava solamente di uno strumento con scopo di termoregolazione e bilanciamento, ma qualcosa di più. Molto probabile è una funzione sessuale del piumaggio all’interno dei rituali di accoppiamento, proprio come capita nel caso degli odierni pavoni.
E’ davvero sensazionale assistere al progresso della scienza, sempre in grado di regalarci meraviglia e stupore e quello che sembrava impossibile fino a pochi anni prima è stato ora svelato: i dinosauri erano colorati.
Fonte
- The color of fossil feathers.