La cultura pop è dettata dalla nostalgia: film, libri, musica, tutto segue un ciclo di 30 anni in cui si riprendono le mode del passato. E che decide il nostro modo di pensare. Vediamo come funziona, attraverso Stranger Things, i film di fantascienza e Donald Trump.
IN BREVE
Ghostbusters, Tron, Jurassic Park. Passando per Fame, Jumanji, Footlose e tanti altri. Tutti li conosciamo. Sono solo alcuni degli storici film anni ’80-‘90 che hanno visto i propri sequel e remake nell’ultimo decennio. E hanno sbancato al botteghino. Oppure pensiamo alla moda, al grande ritorno dei choker, delle magliette con slogan e delle camicie in flanella alla Cobain. Per non parlare della musica – meglio non addentrarsi in tutti quei ritmi di una generazione fa, riscoperti e trasformati in pop hits da Bruno Mars, Rihanna o Robyn per citarne alcuni. Ci sono trend che non muoiono mai. Ma ce ne sono altri che, quando tutti li credono superati, risorgono eroicamente e rientrano nelle nostre vite. Sempre riscuotendo successo grazie alla nostalgia del pubblico – e in fondo, chi sa resistere al fascino di quelle cose che ci hanno fatti sognare da bambini? Ma la fiera del revival non è cosa nuova, anzi sembra esistere da sempre e seguire logiche molto precise. Questo è il pendolo della nostalgia.
Un ciclo periodico
L’espressione è farina del sacco di Patrick Metzger, che in un articolo su The Patterning ha analizzato oltre 500 remake di film del secolo scorso, l’esempio più facilmente misurabile dei ritorni di fiamma nella cultura pop. Ha messo a confronto la distanza temporale fra ciascun titolo e il suo rifacimento, e ne è emerso che, in media, passano 30 anni tra un film e il suo remake. E la cosa può ripetersi ciclicamente con riedizioni successive – vedi King Kong, originale del 1933, riedito nel 1976 e nel 2005. Ma non è tutto: la legge dei 30 anni del pendolo della nostalgia viene riconfermata se contiamo anche i sequel. Prendiamo come esempio il boom di Indiana Jones negli anni ’80 (I predatori dell’arca perduta è del 1981) e il ritorno sullo schermo con Il regno del teschio di cristallo del 2008, oppure le vicende dello storico Blade Runner del 1982 continuate in Blade Runner 2049 del 2017. Queste riapparizioni sembrerebbero avere una base comune. E non è Harrison Ford.
L’idea di fondo è molto semplice. 30 anni corrispondono all’incirca al tempo necessario perché un giovane consumatore mediatico diventi eventualmente un produttore a sua volta e riproponga quegli stessi contenuti con cui è cresciuto. Un J. J. Abrams che, da ragazzo, si innamora delle pellicole di Spielberg riprenderà quelle opere quando 30 anni dopo si troverà lui stesso a girare dei film. Super 8 (2011) è di fatto un grande revival di Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977), E.T. (1982) e altri film di fantascienza di inizio anni ’80. La stessa trama è ambientata nel 1979, una scusa per Abrams per inserire riferimenti alla cultura della sua adolescenza, oltre che scene esplicitamente in omaggio a Spielberg, Romero e Star Trek. Siamo tutti dei nostalgici, ma è quando un nostalgico impugna la macchina da presa che vediamo gli effetti del pendolo.
Il business della nostalgia
La cosa si applica anche dal lato del consumatore: se i remake hanno successo è perché la stessa nostalgia è avvertita anche dal pubblico, ora adulto e con un reddito, e magari una famiglia. Il reboot Teenage Mutant Ninja Turtles (2014), che si colloca esattamente tre decenni dopo l’uscita del primo fumetto (1984), prende come target di riferimento tutti quei bambini i cui genitori (paganti) erano stati a loro volta fan della serie durante l’infanzia e ora sono ben disposti a comprarne il merchandise per i figli. È una strategia che sta diventando abbastanza comune: giocare sulla nostalgia dei genitori per vendere prodotti indirizzati ai bambini – ha fatto parlare di sé l’enorme campagna social della Mattel per rilanciare Barbie nel 2015 dopo decenni di calo, rivolgendosi esclusivamente a un pubblico adulto di giovani mamme e ai loro ricordi d’infanzia.
Puntare sulla nostalgia è un investimento più sicuro da parte delle case produttrici, che sanno di poter fare leva su vecchi temi amati da una generazione, invece che sperimentare cercandone di nuovi. Forse sembra un po’ troppo prosaico, ma il fattore economico riveste un ruolo di primo piano negli sviluppi della cultura di massa. Il modo in cui le major dell’intrattenimento hanno sfruttato il pendolo della nostalgia negli ultimi anni ci è dato dall’esempio di The Walking Dead e Stranger Things, e il loro successo calcolato a tavolino. Ma di questi due riparleremo fra poco.
Dai film alle elezioni
Il discorso, ad ogni modo, non si limita al mondo del cinema (che è soltanto la dimostrazione più eclatante) e nemmeno a quello del marketing. A essere coinvolte sono tutte le sfaccettature della cultura, e c’è chi propone che questo modello si possa applicare anche ai cicli della politica: esperti di elezioni come l’americano Walter Burnham sostengono che i voti della popolazione seguano un andamento circolare negli anni, con fasi che si alternano a intervalli regolari. Questo spiega, ad esempio, come la politica attuale di Donald Trump sembri ricalcare esattamente quella di Reagan negli anni ’80 – sovrapposizione su cui lo stesso presidente insiste molto, quando si tratta di convincere un elettorato nostalgico. È un campo di studi più difficile da analizzare quantitativamente, ma anche la politica pare essere terreno fertile per la legge dei 30 anni.
Società ciclica e prodotti culturali
Al di là dell’interesse come fenomeno sociale (e forse come metodo per prevedere i trend futuri) il pendolo della nostalgia è una dimostrazione concreta di due modelli socio-mediatici: l’andamento ciclico della società e la cosiddetta “coda lunga” dei media. L’idea di circolarità della società è una costante in molte tendenze della filosofia e della sociologia, fin dall’alba dei tempi. Dai pitagorici a Giambattista Vico, fino ai sociologi Sarkar e Lempert nel Novecento, il filo conduttore di queste teorie è che la storia e le società siano composte da fasi che si ripetono ciclicamente. Si tratta comunque di un punto di vista generale, che spiega l’alternanza delle formazioni sociali e ci interessa solo in parte. A parlare più nel dettaglio di artefatti culturali sono sia sociologi come Anthony Giddens sia ricerche matematiche sulle mode come quella condotta da Enquist, Acerbi e Ghirlanda nel 2012.
I prodotti culturali, pur essendo un business, si distinguono dagli altri oggetti di mercato per il fatto che richiedono una interpretazione, nel senso di una particolare disposizione da parte del ricettore, per essere apprezzati. Lo stesso contenuto può essere un successo mediatico o un fallimento totale anche solo in base al periodo di pubblicazione – pensiamo a tutte quelle opere d’autore, musica, arte, letteratura, inizialmente disprezzate e di cui viene riconosciuto il valore solo decenni più tardi. Il gradimento di un pubblico, primo passo perché si diffonda una moda, è strettamente legato ai processi di apprendimento sociale. La mentalità di un periodo plasma la sua cultura, e viceversa. Per questo è possibile applicare il pendolo della nostalgia ai film come alla politica: sono tutti prodotti culturali di una società. Se c’è un sentimento di ritorno al passato, quel passato viene riportato in vita attraverso i suoi contenuti.
La coda lunga
Sorge però un’altra domanda: se davvero l’effetto della nostalgia è così forte, perché riviviamo solo alcune cose degli anni Ottanta? A rigor di logica, ogni contenuto della scorsa generazione dovrebbe seguire la stessa regola ed essere riportato in vita. La risposta ci è data da un modello detto della “coda lunga” dei media. O meglio, dalla sua mancata applicazione nel passato. Andiamo con ordine: la coda lunga rappresenta il modo in cui si struttura l’economia mediatica su internet. Il modello, proposto da Chris Anderson, mostra come in ogni periodo si possa distinguere un piccolo numero di oggetti di successo (le hit, siano esse film, libri, musica, linee di vestiti o qualsiasi cosa riesca a diventare mainstream) da un numero pressoché infinito di creazioni che non riescono a emergere (le non-hit), che vanno a formare appunto la coda lunga del grafico.
Grazie alla diffusione di internet, lo spazio per l’offerta non è più limitato allo scaffale di un rivenditore che seleziona solo i pezzi più famosi per vendere meglio, dunque il pubblico può accedere sia alle poche hit sia alle moltissime non-hit. Paradossalmente, per i produttori oggi conviene puntare sulle migliaia di opere di nicchia piuttosto che su pochi oggetti popolari, proprio per via della lunga coda dei contenuti sfruttabili. Ma negli anni ’80 internet non era diffuso, lo spazio era di fatto limitato a quello del rivenditore, e soltanto le hit erano commercializzate: il risultato è che un’infinità di creazioni del passato sono rimaste nell’ombra e scomparse per sempre, mentre le poche mode di successo si sono affermate su tutta la linea, diventando quelle icone che vengono riportate in vita per la gioia dei nostalgici. E i colossi dell’intrattenimento hanno capito come portare la situazione a proprio vantaggio. Ecco due storie di successi prevedibili – e assolutamente previsti.
Fuori dalla tomba
Parliamo di zombie. I morti viventi tanto amati dalla cultura pop sono anch’essi una hit degli anni Ottanta. In un solo decennio, l’industria del cinema mondiale ha sfornato ben 69 film a tema non-morti, più di tutti quelli girati negli anni ’70 e ’90 messi insieme. Il trend sembrava destinato a sfumare nell’ombra con il nuovo millennio, ma la nostalgia del pubblico aveva altri progetti: nel 2004, a distanza di 26 anni dall’originale, il regista Zack Snyder dirige il remake L’alba dei morti viventi (Dawn of the Dead) di uno storico film di George Romero, considerato fra i pilastri del genere. È l’inizio di una nuova era: dal 2004 a oggi il cinema zombie è esploso, portandoci oltre 260 diverse pellicole sui non-morti.
Responsabile di questo grande ritorno è anche una serie a fumetti allora poco conosciuta, The Walking Dead, che inizia a pubblicare nel 2003 e a buttare legna sul fuoco del revival dei morti viventi. Snyder non era l’unico patito dei classici di Romero. Ma quello dei fumetti è un mercato di nicchia, e i media non possono sprecare un’occasione come questa: sulla cresta dell’onda della nostalgia, nel 2010 l’emittente americana AMC porta sugli schermi la serie tv di The Walking Dead, e consegna ufficialmente questo vecchio trend a un nuovo grande pubblico. Il successo è clamoroso. E non a caso sono bastati 30 anni per riaffezionare gli spettatori a un genere che si credeva morto e sepolto.
Un nostalgico sottosopra
Infine, Stranger Things. Doveva arrivare questo momento. La serie di Netflix è portata anche da Metzger come massimo esempio dell’effetto del pendolo – e possiamo ben vedere perché. Non si sa se per reale nostalgia degli sceneggiatori o per intelligenza economica della produzione (probabilmente entrambi, inconsapevolmente), Stranger Things (2016) rappresenta l’apice del rimando agli anni Ottanta. Gli stessi autori, i fratelli Duffer, hanno detto chiaro e tondo di essersi ispirati alla propria infanzia, soprattutto ai classici horror e fantascientifici che più li hanno emozionati. I riferimenti includono:
- Dungeons and Dragons (popolare da fine anni ’70)
- E.T. – L’extraterrestre (1982)
- Nightmare – Dal profondo della notte (1984)
- Stand by Me – Ricordo di un’estate (1986)
- I Goonies (1985)
- La cosa (1982)
- Halloween (1978)
- Alien (1979)
- Stati di allucinazione (1980)
- Superman (nella sequenza iniziale, 1978)
- Spunti dai romanzi di Stephen King
- L’ambientazione (Indiana, 1983), con riferimenti alla guerra fredda
- La colonna sonora, che include sia successi musicali degli anni ’80, fra cui Should I Stay or Should I Go (The Clash, 1982), Every Breath You Take (The Police, 1983) e la cover A Hazy Shade of Winter (The Bangles, 1987), sia musica creata ad hoc in stile Eighties con largo uso di sintetizzatori ed effetto vintage
La lista degli omaggi al passato va avanti, e non solo nel mondo della tv. Se Stranger Things può essere l’esempio di come la nostalgia condiziona direttamente la cultura del futuro, rircordiamo che è presente anche un lato di strumentalizzazione economica che non possiamo ignorare. Che sia per far rivivere i miti dell’infazia o per conquistarsi una fetta di mercato, il potere dei ricordi è molto più reale di quanto immaginiamo. È così che la memoria influenza gli artefatti culturali. Così la nostalgia plasma la nostra società.
Fonte
- The Nostalgia Pendulum: A Rolling 30-Year Cycle of Pop Culture Trends
The Patterning - Media Studies: Texts, Production, Context
P. Long, T. Wall – Routledge - Critical elections and the mainsprings of American politics
W. Burnham - The Logic of Fashion Cycles
PMC - Social Theory and Modern Sociology
A. Giddens - Interview: Stranger Things’ Duffer Brothers on ’80s Cinema, Fighting Over Kid Actors, and How They Cast Winona Ryder
Vulture