Neurofeedback: cos’è? Il neurofeedback è una nuova tecnica neuroscientifica che ha come obiettivo il miglioramento delle capacità di autoregolazione psicofisiologica al fine di promuovere il benessere generale e ridurre gli stati negativi associati a determinate onde cerebrali. Già utilizzati per il trattamento di molti disturbi cronici e non, il neurofeedback e le onde cerebrali sembrano essere la nuova frontiera della cura integrata.
IN BREVE
Indice
NEUROFEEDBACK: COS’E’?
Il neurofeedback è un training comportamentale che ha come obiettivo lo sviluppo di competenze per l’auto-regolazione dell’attività cerebrale. Basato sulle nuove scoperte nel campo delle neuroscienze, l’interfaccia cervello-computer del neurofeedback è in grado di consentire l’allenamento e la modifica volontaria di alcuni stati mentali associati a determinate onde cerebrali. Grazie al neurofeedback, infatti, si può imparare a controllare le proprie risposte automatiche oltre che allenarsi riconoscere e mantenere stati mentali positivi migliorando alcune funzioni come la memoria e l’apprendimento. La possibilità di poter osservare la variazione dell’attività delle onde cerebrali, nel caso del EEG neurofeedback, o di altre variabili fisiologiche attraverso altre tipologie di biofeeback attraverso la restituzione immediata dei parametri rende possibile l’allenamento della regolazione volontaria dell’attività neurale e automatica fornendoci l’opportunità per imparare ad agire su di essa. Il meccanismo di feedback, applicato in questo caso alle onde cerebrali, è una componente essenziale degli interventi sia di salute mentale che nella promozione del benessere in generale; viene infatti utilizzato per aumentare la motivazione, facilitare l’apprendimento, modificare pensieri e indurre cambiamenti comportamentali.

Come funziona il neurofeedback training sulle onde cerebrali?
Esistono varie tipologie di neurofeedback e biofeedback, tuttavia quella maggiormente utilizzata è l’EEG neurofeedback e onde cerebrali; questa tipologia neurofeedback non invasiva utilizza le misure ottenute dall’attività cerebrale in una procedura di condizionamento operante, ovvero di rinforzo e punizione, finalizzata all’acquisizione di controllo sulle proprie funzioni fisiologiche. La maggior parte degli attuali protocolli neurofeedback si basa su questo strumento, soprattutto nella cura di disturbi mentali, psicosomatici e cronici. Questa tecnica non viene utilizzata solo come cura, ma anche come potenziamento di alcune funzioni esecutive. Infatti, non tutti i training si basano sulla modulazione di biomarcatori specifici per patologie o disturbi, ma anche sui cambiamenti di alcuni ritmi cerebrali spontanei, tipicamente associati a determinati stati mentali, al fine di potenziarli o depotenziarli. Ad esempio, un aumento delle onde cerebrali Alpha risulta essere associato ad uno stato di maggiore presenza mentale, stato che può essere ricercato, sia al fine di migliorare una dimensione sintomatologica di un disturbo, sia per aumentare la concentrazione per ottenere risultati maggiormente performanti in vari ambiti. Proprio grazie all’interfaccia cervello-computer che rende visibile la regolazione volontaria dell’attività neurale, le persone possono osservare la variazione delle proprie onde cerebrali e attraverso un feedback immediato e imparare come inferire su questa. In questi termini il neurofeedback può essere concepito come un processo di formazione che porta a cambiamenti nell’EEG, i quali a loro volta inducono modificazioni a livello comportamentale.
LE ONDE CEREBRALI
Le scoperte neuroscientifiche presenti nella letteratura scientifica ci informano di come ogni stato mentale sia in realtà associato ad una particolare variazione delle bande di frequenza. Gli stati mentali sono quindi riflessi nell’attività elettrica cerebrale: per esempio, un stato rilassato sembra associato a oscillazioni ritmiche nella banda Alpha, mentre nella vigilanza è caratteristica dell’attività Beta. In generale, si possono differenziare almeno cinque tipologie di onde cerebrali: onde Beta, onde Alpha, onde Theta, onde Delta e onde Gamma. Ognuna ha la sua frequenza e vengono suddivise in base a questa.
- Delta – da 0,5 a 4 Hz;
- Theta – da 4,7 a 5 Hz;
- Alfa – da 7,5 a 14 Hz;
- Beta – da 14 a 40 Hz;
- Gamma – sopra i 40 Hz.
Le onde Delta sono predominanti durante il sonno profondo; le onde Theta invece, si osservano durante lo stato di inattenzione, sonnolenza o in stati meditativi profondi ; le onde Alpha sono relative uno stato mentale rilassato e calmo, nello specifico, in molti lavori scientifici pubblicati negli ultimi anni, vengono associate a stati positivi come la presenza mentale e lo stato di veglia in condizione di riposo oltre che a uno stato di meditazione (allerta rilassata); le onde Beta sono invece presenti nella veglia, specialmente in uno stato attivo e di allerta, associate quindi a coscienza e ragionamento, anche se risultano essere anche marker tipici anche di stati negativi come il rimunignio; le onde Gamma caratterizzano invece stati di alta tensione e si verificano, per esempio, quando si ha un’intuizione improvvisa. La divisione dell’attività elettrica in onde cerebrali e l’associazione di queste a determinati stati mentali ha segnato un punto di svolta nello sviluppo di queste tecnologie, che in questo modo, ha reso molto più semplice la scelta del target da raggiungere durante il training e di conseguenza l’onda che si vuole potenziare o depotenziare.
Al fine di ottenere questo risultato, uno o più elettrodi posizionati sul cranio saranno in grado di captare e scindere il segnale, fornendo allo strumento le informazioni necessarie per manifestare i feedback positivi o negativi. In base alla patologia trattata, se stiamo parlando di soggetti clinici o, più in generale, al tipo di onda che si vuole si vuole aumentare, è possibile creare un training ad hoc e individualizzato per ognuno. Basandosi appunto sul paradigma del condizionamento operante, la persona che sta eseguendo il training verrà premiata attraverso un feedback positivo quando risulta in grado di modificare nella direzione desiderata l’ampiezza o il rapporto tra le varie bande di frequenza dando la possibilità a neurofeedback e onde cerebrali di modificarsi vicendevolmente.
LE BASI TEORICHE DEL NEUROFEEDBACK
Come ogni tecnica all’avanguardia, anche il neurofeedback è fermamente sostenuto da delle basi teoriche solide che affondano le loro radici in studi di estrema rilevanza scientifica. I meccanismi di condizionamento che stanno alla base di alcuni dei principi maggiormente indagati in psicologia come l’apprendimento, l’estinzione e il rinforzo forniscono il terreno teorico dove le neuroscienze hanno potuto applicare praticamente questi nuovi strumenti di neuroimaging, unendo queste due macroaree di indagine. Ma vediamo quali sono le teorie che hanno potuto rendere possibile tutto questo.
Le basi teoriche del neurofeedback: il condizionamento classico
Il padre delle basi teoriche del condizionamento fu Ivan Petrovič Pavlov, medico e fisiologo russo, che attraverso i suoi famosissimi esperimenti con i cani concettualizzò il condizionamento classico, ovvero la più semplice forma di apprendimento studiata in psicologia. Il cane Pavloviano rappresenta uno dei pilastri della psicologia comportamentista. Grazie ai suoi risultati Pavlov riuscì a comprendere il meccanismo che sta alla base dell’apprendimento condizionato: questo consiste infatti nell’associazione di uno stimolo incondizionato, come per esempio il cibo, in grado di dare una risposta innata e incondizionata come la salivazione, ad uno stimolo neutro, come il suono di un campanello.
Associando lo stimolo incondizionato ad uno stimolo neutro, si otterrà in entrambi i casi la stessa risposta, che ora si chiamerà appunto risposta condizionata.
Riprendendo quindi l’esempio del cane, questo si traduce in una relazione di salivazione sia al presentarsi del cibo che del campanello. In effetti, questo meccanismo risulta abbastanza semplice e immediato, ma non se pensiamo al fatto che queste scoperte risalgono a vari anni or sono; di fatti, dopo un solo un anno di distanza da questa scoperta, nel 1904, i contributi in questo campo divennero così importanti che fu assegnato a Pavlov il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia. Se ci concentriamo sulle nostre vite, ci verranno in mente vari tipi di situazioni dove siamo stati infatti “condizionati”: quante volte ci è capitato di non voler più mangiare un determinato alimento dopo che, mentre lo mangiavamo, ci è stata data una brutta notizia? Ecco, ovviamente quel cibo specifico non avrà niente a che fare con la comunicazione di spiacevoli news, tuttavia nella nostra testa le due cose verranno associate, provocando infatti le stesse sensazioni.
Le basi teoriche del neurofeedback: il condizionamento operante
Dopo i sostanziali contributi di Pavlov, il mondo riguardante le leggi che governano l’apprendimento continuò a progredire attraverso scoperte sempre più accurate e complesse. Gli studi furono infatti ampliati da Thorndike fino ad attivare nel 1938 ai complessi esperimenti di Skinner sul condizionamento operante. Il condizionamento operante è una forma di apprendimento basata sulla risposta all’azione, ed è il vero e proprio paradigma su cui si basa il funzionamento del neurofeedback. Essenzialmente il concetto principale alla base di questa tipologia di apprendimento è che, a seconda delle conseguenze che una determinata azione provoca, saremo più o meno motivati a ripeterla. Una “azione rinforzata”, ovvero un comportamento che elargisce uno stimolo positivo, simile ad un premio, verrà ripetuta con lo scopo di ottenere la stessa ricompensa, mentre una azione che ha sortito conseguenza negative, verrà estinta per sfuggire alla punizione. Questi meccanismi sono tanto semplici quanto potenti e ci aiutano a capire in che modo prendiamo le nostre decisioni e di come l’apprendimento mediato dai feedback ambientali fornisca la principale direzione alle nostre azioni. Inoltre, esistono vari tipi di condizionamento: non si tratta solo di ottenere premi e evitare punizioni. Anche un comportamento che non sortisce nessun tipo di conseguenza, provocherà una diminuzione della condotta, anche detto meccanismo di “omissione”; allo stesso modo un comportamento che fa cessare una condizione negativa, come per esempio un rumore fastidioso, aumenterà la presenza del comportamento.

IL CONDIZIONAMENTO NEI PROTOCOLLI DI NEUROFEEDBACK: DALLE ONDE CEREBRALI ALLA PRATICA CLINICA
Il fatto che i principi base del condizionamento e dell’apprendimento per rinforzo e punizioni siano chiari e lampanti non è di certo in dubbio ma in che modo questi concetti possono essere applicati a terapie e concetti così complessi come il neurofeedback e le onde cerebrali? In realtà il meccanismo è molto più semplice di quanto si immagini e funziona esattamente come per tutte le altre azioni di condizionamento. Una volta definito l’obiettivo che si vuole ottenere, sia esso associato ad una condizione di miglioramento sintomatologico o più semplicemente connesso al potenziamento di una qualche skill come la concentrazione o il rilassamento, si delinea l’onda cerebrale associata allo stato mentale che si vuole ottenere. Per esempio, se il nostro target è il rilassamento, allora cercheremo di potenziare le onde Alpha alte e depotenziare le onde Beta; se vogliamo indurre uno stato simil meditativo sceglieremo un training per aumentare le frequenze Theta e così via. Una volta applicati gli elettrodi sullo scalpo del soggetto, il software sarà in grado di rilevare e scindere la sua attività elettrica cerebrale, fornendo stimoli positivi come il susseguirsi di immagini piacevoli ogni qualvolta viene raggiunto il livello considerato soglia per l’onda che si vuole potenziare. Allo stesso modo, verranno forniti feedback negativi, come l’interruzione della musica o la comparsa di un rumore disturbante ogni qualvolta l’attività elettrica registra una discesa sotto la soglia considerata sufficiente dell’onda target o quando si superano i livelli considerati accettabili dell’onda che si vuole depotenziare. Questo meccanismo immediato da modo al soggetto di “correggersi” imparando a modulare la sua attività autonoma, ottenendo non solo dei cambiamenti a livello cerebrale ma imparando tramite l’implementazione di strategie finalizzate ad ottenere i rinforzi desiderati, come per esempio tecniche di respirazione e rilassamento, che poi vengono generalizzate ad altri ambiti della vita quotidiana.
NEUROFEEDBACK: LE ONDE CEREBRALI COME NUOVA FRONTIERA PER LE PATOLOGIE STRESS-RELATED
L’utilizzo di questo strumento nella terapia integrata di molti disturbi psichiatrici deriva dall’evidenza che molti di questi sono associati ad una disregolazione livello cerebrale; conseguentemente, un training di autoregolazione delle funzioni del cervello può fornire importanti benefici per il miglioramento della sintomatologia e della patologia in generale. Sono molti gli studi che testimoniano l’efficacia di questa tecnica in vari disturbi sia organici che psichiatrici anche se, la maggior parte dei contribuiti, provengono dal mondo psicologico che ha portato numerose evidenze a favore dell’efficacia sul trattamento del disturbo da deficit di attenzione e iperattività, il quale, mostrando un pattern di attivazione elettrica cerebrale estremamente tipicizzante, sembra essere associato ad alte quote in onde Theta e un ridotto numero di onde Beta. Un protocollo di allenamento Theta/Beta è infatti stato testato in numerosi studi su questa popolazione dando come risultati importanti cambiamenti per quanto riguarda la dimensione dell’impulsività, tipica di questi soggetti clinici. L’utilizzo e efficacia di protocolli basati su neurofeedback e onde celebrali non si limita però ai disturbi psichiatrici, ma anche a tutte le patologie croniche e stress-related. Infatti, i protocolli di neurofeedback costruiti sul potenziamento delle onde relative al rilassamento vengono concepiti come delle nuove tecniche di gestione dello stress, fattore estremamente importante sia nell’eziologia che nel mantenimento della maggior parte delle condizioni croniche. Una delle patologie croniche maggiormente invalidanti dei nostri tempi sembra infatti essere la cefalea, molto diffusa tra giovani e adulti e strettamente connessa alle condizioni di stress che spesso e volentieri la nostra società ci impone di affrontare. È stato ampiamente dimostrato come le tecniche di rilassamento apprese durante i training di neurofeedback sui soggetti affetti da cefalea cronica possano effettivamente fare la differenza della gestione di questa complicata patologia, oltre che mostrare risultati che rivaleggiano con la terapia farmacologica, senza però imporre nessun tipo di effetto collaterale. L’assenza di effetti avversi in effetti è un altro aspetto importante da considerare in quanto nessun training bio o neurofeedback risulta essere invasivo o in grado di provocare effetti secondari. Oltre alle tecniche di rilassamento, risultano rilevanti per le emicrania e le cefalee gli approcci neurofeedback basati sulle pulsazioni del volume del sangue, rilevabili a livello elettroencefalografico. Di fatti, la cefalea di tipo tensivo non è un semplice mal di testa: lo stato psicofisiologico debilitante causa compromissioni su molti aspetti della vita ed è generalmente causato da un’eccessiva e persistente tensione dei muscoli del cranio, che causa una ipersensibilità delle vie del dolore. Il circolo vizioso della cefalea tensiva che sostine la cronicizzazione della patologia si può però spezzare: il neurofeedback o altri tipi di biofeedback possono aiutare il paziente a divenire consapevole dei meccanismi che sostengono la tensione rendendo possibile l’azione su di essi, apportando benefici alla sensazione di dolore e contribuendo a spezzare il circolo vizioso che sottende la cronicizzazione.
Fonte
- Kubik, A., & Biedron, A. (2013). Neurofeedback therapy in patients with acute and chronic pain syndromes: literature review and own experience.
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