Un animale affascinante ma dalla storia oscura: sul leone nero vengono raccontate tante storie contrastanti, ma quale sarà la giusta versione? Questo animale esiste davvero? Che il leone sia il re indiscusso della foresta è certo, ma può un simile felino sviluppare un manto simile ad una pantera? Cerchiamo di andare a fondo di questa storia.
IN BREVE
Indice
LEONE NERO: ESISTE?
Numerose leggende esistono circa l’esistenza del maestoso leone nero. Tuttavia, questa denominazione sembra essere piuttosto scorretta. Per poter essere di colore eccezionalmente scuro, un qualsiasi animale deve essere caratterizzato da melanismo, un eccesso di pigmentazione nera o quasi nera di pelle, piume o peli, che può riguardare un organismo individuale o un tipo di organismi.
Animali insolitamente scuri: il melanismo è causa di confusione
Con il termine melanismo ci si riferisce, in particolare, al fenotipo scuro dovuto a una iper-espressione dei geni responsabili della colorazione della livrea di un animale, che vengono così insolitamente espressi completamente o quasi completamente. Questo fenomeno può presentarsi come evento epigenetico dovuto all’impatto dell’uomo, nel caso del melanismo industriale, ad esempio, che sappiamo è dovuto agli effetti dell’inquinamento umano, e può portare spesso a indicare animali appartenenti allo stesso genere come differenti. Nel caso della Biston betularia, alcuni esemplari, definibili wild type, sono di colore chiaro punteggiato, mentre altri si presentano scuri: per questa specie la causa non fu altro che una selezione naturale indotta da una maggiore predazione degli individui chiari decisamente più visibili dai predatori per colpa dell’inquinamento che scurì i tronchi delle betulle delle aree abitate da questi animali. Probabilmente il caso del melanismo industriale che colpì la Biston betularia in Inghilterra, al maturare della seconda rivoluzione industriale, è piuttosto noto. Meno chiaro è, forse, il caso della pantera nera. Quando pensiamo a un felino, trascurando le specie più piccole, per quanto adorabili, e riflettendo sui grandi esemplari che popolano Asia e Africa, tendiamo a fare un grosso errore: quello di considerare le pantere un genere a sé. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. I felini sono una famiglia di animali i cui esemplari di maggiori dimensioni sono raggruppati nella sottofamiglia Pantherinae, la quale comprende buona parte delle specie più note, fra cui leoni, tigri, giaguari e leopardi, oltre ad alcune specie meno conosciute. Fra questi, leopardi e giaguari sono geneticamente tendenti a una iper-espressione dei geni che regolano la colorazione del pelo, che spesso può portare alla nascita di individui melanici. La pantera, quindi, non è zoologicamente identificabile in un genere a sé: si tratta semplicemente o di un giaguaro o di un leopardo melanico. Nel Kentucky, nel Kansas e nel Nebraska sono stati avvistati esemplari di puma melanici, che quindi apparterrebbero alla sottofamiglia Felinae, ma non sono ancora stati sufficientemente osservati perché si possa parlare di vere e proprie ‘’pantere nordamericane’’, nonostante questi esemplari siano conosciuti come North American Black Panthers. Il melanismo è molto più diffuso di quanto crediamo nel regno animale. Troviamo, infatti, molti altri esempi fra alcuni pesci ossei, altri mammiferi e rettili. In ogni caso, studi dimostrano che lo splendido leone nero dal manto scintillante color carbone in realtà non esista e non possa esistere, proprio perché alla base dell’espressività genetica del genoma di un qualsiasi leone sta l’impossibilità di attivare completamente i geni che regolano la colorazione del pelo così da impedirgli di apparire così scuro, caratteristica che sembra per ora essere appannaggio si soli leopardi e giaguari.
IL VERO LEONE NERO: PANTHERA LEO LEO
La specie di leone dal manto più scuro del normale effettivamente esistente è Panthera leo leo, o leone berbero, meglio conosciuta come leone dell’Atlante.
Estinti oppure no?
La specie Panthera leo leo, originaria del Nord-Africa, è da considerarsi attualmente estinta in natura, seppur alcuni esemplari ancora esistono e sono protetti in riserve naturali che si dedicano a un possibile futuro loro ripopolamento. L’ultimo esemplare esistente in natura fu probabilmente abbattuto da un bracconiere francese nel 1942 in Marocco. Lo zoo di Témara, località vicino Rabat, e altri parchi e riserve africane hanno aderito a un progetto di ripopolamento che viene indicato come North African Barbary Lion and the Atlas Lion Project, attraverso il quale si studiano le possibilità di reintroduzione della specie in natura e le necessità di una sua salvaguardia. In realtà, la notizia del fatto che questa specie di leone non sia effettivamente estinta risulta abbastanza recente. Abderrahim Salhi, il capo delle operazioni di salvaguardia di questa specie dello zoo di Rabat, afferma che per diverso tempo si sia pensato che questi animali fossero definitivamente scomparsi, quando a un certo punto si scoprì che il sultano Mohammed V, sultano dal 1927 al 1953 e successivamente re dal 1957 al 1961, avesse alcuni esemplari di leone berbero nel suo giardino privato. Il giardino esotico del sultano si sarebbe andato a creare a seguito del dono, da parte di una tribù, al sovrano, in qualità di tributo prova dell’alleanza stipulata fra le due comunità: questi uomini avrebbero cacciato i leoni berberi senza ucciderli e li avrebbero portati al sultano che apparentemente li ha protetti fino all’istituzione della nuova riserva naturale. Dopo la conquista dell’indipendenza marocchina nel 1956, questi leoni sarebbero stati trasferiti nello zooparco della città a costituire il nucleo dello stesso e trasformandosi in un simbolo di orgoglio patriottico. D’altronde, sappiamo che oggi questa specie appare sulla livrea dell’esercito della corona, nella forma di due leoni che proteggono la corona, e la squadra di calcio del Marocco porta il suo nome, Atlas team. Altri leoni berberi, di cui alcuni discendenti da quelli appartenuti al re marocchino, si trovano al Port Lympne Wild Animal Park, uno zoo inglese presso Ashford, allo zoo di Addis Abeba, al parco nazionale Kruger del Sudafrica, al Big Cat Rescue di Tampa in Florida, allo zoo di Neuwied in Germania oltre che in altri svariati paesi fra cui la Spagna, la Francia e la Nuova Zelanda.
Caratteristiche uniche del leone berbero
Dopo il leone delle caverne Panthera leo spelaea e quello americano Panthera leo atrox, vissuti durante il Pleistocene, il leone dell’Atlante è sicuramente la specie più grande di leone mai esistita. Gli esemplari maschi possono raggiungere i 300 kg e in genere misurano 3,50 m di lunghezza, all’incirca le dimensioni delle tigri siberiane. Oltre alle dimensioni, sicuramente ciò che rende famoso il leone berbero è la criniera: particolarmente folta e insolitamente scura questa prosegue lungo il ventre dell’animale fino a giungere all’inguine, cosa che li accomuna con i leoni del Capo, ormai definitivamente estinti, e in parte con quelli asiatici. La criniera così folta non è però da considerare caratteristica genetica della sottospecie: sembra che lo sviluppo della criniera in un leone sia determinato dalla quantità di testosterone prodotto e dalla temperatura dell’habitat in cui vive. Per cui un qualsiasi leone che vive in climi più freddi del normale può sviluppare una simile criniera. Il leone dell’Atlante, infatti, abitava sui monti, e non nella vasta savana assieme alle altre specie sue simili. Prima che si fosse del tutto estinto in natura, il leone berbero occupava ampi territori del Nord-Africa tra cui Marocco, Algeria, Tunisia e Libia. Questa zona corrispondeva, quindi, anche alla sua nicchia di predazione. Tendenzialmente sembra che questo leone si cibasse principalmente di capre berbere, cervi berberi, asini selvatici, cinghiali, giraffe, cammelli, dromedari e diverse specie di antilopi, gazzelle e orici. Si pensa che addirittura l’elefante nordafricano, prima di giungere a estinzione, potesse essere fra le sue prede, anche perché probabilmente più piccolo di quello indiano e quindi facilmente attaccabile da un branco di leoni affamati. Si trattava, infatti, di una specie sociale che tendenzialmente viveva in gruppo. Eventualmente potevano cacciare anche l’ippopotamo. Circa la competizione di utilizzazione per la stessa nicchia di predazione, il leone berbero doveva scontrarsi con l’orso dell’atlante e il leopardo dell’atlante.
Ad ogni modo, questa splendida creatura rischia l’estinzione a causa dell’uomo e della spietata caccia sportiva dell’ultimo secolo. A questo punto possiamo solo sperare che i programmi di ripopolamento vadano a buon fine e che un giorno la specie potrà finalmente essere reintrodotta in natura.
Fonte
- Barbary lion, Science and History of the North African Lion University of Kent