Il granchio del cocco è attualmente l’artropode terrestre più grande al mondo. Nonostante il nome ingannevole, si tratta di un paguro terrestre che presenta la peculiarità di non necessitare di alcun tipo di conchiglia. Questo enorme crostaceo ha stimolato l’interesse di tanti: ma cosa contraddistingue davvero questo animale?
IN BREVE
Indice
TASSONOMIA DEL GRANCHIO DEL COCCO
Il nome comune attribuito a questo crostaceo trae in inganno: sembra, infatti, che il granchio del cocco in realtà non sia un vero e proprio granchio. Andiamo alla scoperta del misterioso mondo di questo strano animale.
Sistematica degli artropodi
Gli artropodi costituiscono un phylum di animali particolarmente complesso e vario: si tratta di un grande gruppo di animali invertebrati protostomi celomati comprendente circa i 5/6 delle specie finora classificate. Il phylum Arthropoda comprende svariate classi, ordinate tradizionalmente in quattro subphyla: Chelicerata, Myriapoda, Crustacea e Hexapoda. Inoltre, questo phylum conta diverse forme fossili. Chelicerata comprende tutti quegli artropodi dotati di appendici specifiche, dette cheliceri, fra cui gli aracnidi e i picnogonidi. Myriapoda comprende millepiedi e centopiedi. Hexapoda comprende l’enorme classe degli insetti. Crustacea comprende per lo più animali marini ma conta anche esemplari di acqua dolce e terrestri. Si tratta di animali molto diversi fra loro ma accomunati da due caratteristiche essenziali: due paia di appendici preorali sul capo, detto cephalon, e la presenza di alcune appendici biramose. Crustacea conta svariate classi: Brachiopoda, Remipedia, Cephalocarida, Maxillopoda, Ostracoda e Malacrostacea. Proprio a quest’ultima classe appartengono gli infraordini di granchi e paguri: rispettivamente Brachyura e Anomura. I granchi sono animali prevalentemente acquatici dotati di un robusto carapace e di due chele particolarmente forti e resistenti. Possiedono l’addome ripiegato verticalmente che quindi risulta nascosto e sono per lo più organismi notturni. Possono essere carnivori, erbivori o saprofagi. Si tratta di animali molto antichi, i cui primi fossili risalgono al Giurassico Inferiore. Le dimensioni sono fortemente variabili: si passa da esemplari che possono stare comodamente sul palmo di una mano, a esemplari giganteschi, come nel caso della specie giapponese Macrocheira kaempferi, con una apertura delle zampe fino a 4 metri e un peso che in alcuni casi supera i 20 kg. L’infraordine Anomura si divide in diverse superfamiglie, tra cui Paguroidea. I paguri veri e propri più famosi e conosciuti sono quelli appartenenti alla classe Paguridae, in particolare al genere Pagurus. Si tratta di animali onnivori diffusi in tutti gli oceani. La caratteristica che li contraddistingue sta nel fatto che questi animali hanno un addome mollo e ricurvo per cui necessitano di occupare conchiglie vuote, appartenute un tempo a vecchi gasteropodi. Senza la sua conchiglia, un qualsiasi paguro risulta pericolosamente vulnerabile in presenza di un predatore. La parte terminale della coda di un paguro possiede appendici specializzate nell’ancoraggio del corpo alla conchiglia, che spesso può risultare ricoperta di altri invertebrati marini quali spugne o attinie per favorire il mimetismo dell’animale. Nonostante per la maggior parte delle specie conosciute si tratti di animali acquatici, nelle aree tropicali esistono alcune specie terrestri. Una in particolare spicca per le sue dimensioni e il suo carapace insolitamente resistente: Birgus latro.
Il granchio del cocco in realtà è un paguro
Il granchio del cocco, nonostante il nome ingannevole, sembra quindi essere un paguro. A differenza di tutte le altre specie di paguro finora conosciute e studiate, però, non necessita di alcun tipo di conchiglia. Con la crescita dell’animale, infatti, la struttura esterna dell’addome si arricchisce di chitina e carbonato di calcio, diventando assolutamente resistente. Spesso, inoltre, l’addome viene ripiegato sotto al cefalotorace come accade per i veri granchi, così da non essere evidente e rimanere nascosto. Visto l’esoscheletro rigido, la crescita implica mute periodiche: durante questi periodi, l’animale cerca un rifugio sicuro e vi si nasconde durante tutto il tempo necessario perché il suo nuovo carapace indurisca, che in genere equivale a 30 giorni. Queste caratteristiche spiegano come l’animale abbia acquisito un nome comune tanto scorretto tassonomicamente: nonostante le numerose somiglianze con le specie appartenenti a Brachyura, analisi genetiche mostrano come il granchio del cocco sia indiscutibilmente un paguro dal punto di vista filogenetico.
BIRGUS LATRO: COSA LO CONTRADDISTINGUE?
Il granchio del cocco non è solamente l’artropode terrestre più grande al mondo, è anche il crostaceo con la stretta più potente e sicuramente non possiede troppi rivali nel mondo animale. Possiede caratteristiche anatomo-fisiologiche che lo rendono unico nel suo genere e che spiegano come mai questo paguro sia spesso identificato come granchio.
Anatomia del granchio del cocco: strutture e fisiologia
In media questi artropodi misurano 4 kg di peso, 400 mm di lunghezza delle zampe e 1 m di apertura delle stesse. La specie è affetta da dismorfismo sessuale, con i maschi visibilmente più grandi delle femmine. In rarissimi casi sono stati ritrovati esemplari limite che pesavano quasi 17 kg, il cui corpo raggiungeva il metro di lunghezza. Si tratta di casi limite poiché si pensa che, data la struttura corporea anatomica degli artropodi, dovrebbe essere impossibile ritrovare esemplari terrestri più grandi. Artropodi ancor più grandi di questi rari giganteschi esemplari di granchio del cocco, però, esistono: si tratta dei granchi giganti del Giappone della specie Macrocheira kaempferi. Questi artropodi, che al contrario di Birgus latro sono marini e possono essere considerati veri e proprio granchi, raggiungono una apertura delle zampe di circa 4 m con una dimensione corporea di circa 40 cm e un peso di 20 kg. Inoltre, se il granchio del cocco ha una vita media compresa fra i 30 e i 60 anni, Macrocheira kaempferi può vivere fino a 100 anni. Come un qualsiasi crostaceo decapode il granchio del cocco ha un corpo diviso in cefalotorace e addome e possiede 5 arti per lato del corpo. Il primo paio possiede forti chele, le stesse che hanno reso famosi gli esemplari di questa specie: un granchio del cocco può sollevare oggetti fino a 29 kg e possiede una stretta micidiale, circa 10 volte maggiore di quella di una mano umana. È stato stimato che un esemplare di 4 kg può arrivare a stringere con una forza pari a circa 3000 N, considerando che la stretta umana è di circa 300 N e quella di una aragosta di circa 250 N. Tutte le altre zampe sono prive di chele e, in particolare per quanto riguarda il secondo e terzo paio, sono dotate di unghie robuste che permettono all’animale di arrampicarsi sui tronchi degli alberi. Il quarto paio, trattandosi di un paguro, dovrebbe servire per l’ancoraggio del corpo alla conchiglia: nel caso del granchio del cocco si tratta semplicemente di un altro paio di zampe ambulacrali utili al movimento o alla presa di oggetti. L’ultimo paio di zampe è pressoché atrofico ma fondamentale poiché viene usato dall’animale per pulire e mantenere umidi gli organi respiratori, che appaiono come branchie modificate. A meno che non siano utilizzate restano nascoste ripiegate all’interno della cavità respiratoria. Le ‘’branchie’’ di questi animali, infatti, non sono più capaci di rendere l’animale abile a vivere sott’acqua ma si sono specializzate a formare un polmone branchiostegale: questo organo è dimostrazione tangibile di come questi animali si siano evoluti a partire da paguri acquatici, per cui la loro respirazione si basa su una struttura che sta a metà fra un polmone e delle vere e proprie branchie. Nonostante il tessuto sia morfologicamente, strutturalmente e ontogenicamente di origine branchiale, sembra si sia fisiologicamente modificato per assorbire ossigeno dall’aria anziché dall’acqua. Data la necessità di mantenere questi organi costantemente umidi, il granchio del cocco tiene bagnato l’ultimo paio di arti e periodicamente strofina il polmone per inumidirlo. Birgus latro non è assolutamente incapace di ottenere ossigeno dall’acqua, ma sicuramente non riuscirebbe a ottenerne in quantità sufficienti per riuscire a sopravvivere. Altra caratteristica che differenzia questi animali dagli esemplari acquatici sono gli organi addetti alla captazione degli odori. Le antenne presenti sul capo del granchio del cocco sono similabili a quelle degli insetti per cui sono chiamate sensilli: questo fatto costituisce un chiaro evento di convergenza evolutiva. Peli sensoriali disposti sulle chele e sul resto degli arti, inoltre, rendono anche il senso del tatto particolarmente sviluppato. Studi etologici dimostrano che gli occhi, più che alla ricerca e alla selezione del cibo, sono utilizzati per identificare possibili predatori.
Riproduzione
Il granchio del cocco non necessita di un vero e proprio ambiente acquatico neppure per l’accoppiamento: questo avviene sulla terraferma principalmente in luglio e agosto, in un range temporale che va da maggio a settembre. Il rituale di corteggiamento è particolarmente affascinante, simile a una lotta al termine della quale il maschio capovolge la femmina sul dorso per potercisi accoppiare. Non molto tempo dopo, la femmina deporrà le uova, che terrà con se per diversi mesi, attaccate alla parte inferiore del suo addome. La schiusa avviene tra ottobre e novembre e prevede che le larve, chiamate zoee, siano rilasciate nell’oceano. Dopo quasi un mese, le zoee migrano verso i fondali costieri, si cercano delle conchiglie e si comportano come veri e propri paguri visti i loro addomi ancora molto molli. Dopo circa un altro mese, il loro addome comincia a chitinizzarsi e calcificarsi, il loro apparato respiratorio a specializzarsi e le loro abitudini a cambiare: lasceranno per sempre l’oceano, perdendo man mano la capacità di respirare sott’acqua e la necessità di portare una conchiglia. Un granchio del cocco, in media, sviluppa completamente il suo apparato riproduttivo in 4-8 anni.
Dieta e distribuzione
Birgus latro si ciba principalmente di vegetali: frutta, compresi fichi e noci di cocco, foglie e detrito misto. Possono mangiare anche insetti, altri crostacei, uova e piccoli di tartaruga o carcasse di animali morti. Per cui si possono considerare animali per lo più vegetariani ma che possono apparire anche carnivori e saprofagi. Spesso, il cibo reperito viene portato nella tana prima di essere consumato. Per quanto riguarda il frutto che diede il nome a questo animale, il granchio del cocco si arrampica con incredibile facilità sui tronchi di questi alberi. Oltre che per nutrirsi, lo fa anche per sfuggire dai predatori o dal caldo torrido delle zone tropicali in cui vive. Inizialmente si pensava che il granchio del cocco portasse a terra le noci coscientemente, per poi aprirle: in realtà studi etologici più recenti dimostrano che più probabilmente l’animale cerca di aprire le noci sull’albero e facendo ciò ne causa la caduta. Questi animali, infatti, non sembrano abbastanza intelligenti per studiare consapevolmente un’azione simile. La tecnica di apertura delle noci di cocco di questo granchio è ben sviluppata: prima cercano i tre pori germinativi, una volta trovati questi il granchio comincia a strappar via strisce di materiale fibroso dal guscio esterno della noce di cocco, e infine, dopo aver reso i pori più larghi e visibili, fa leva con le chele contro uno di questi per spaccare la noce.
Birgus latro popola grandi aree di terraferma fra l’Oceano Indiano e il Pacifico occidentale. La popolazione più numerosa è stata ritrovata sull’Isola di Natale, nell’Oceano Indiano. Altre estese popolazioni si trovano nelle Isole Cook, alle Seychelles, alle Isole Gloriosie e alle isole Andamane del golfo del Bengala. Ci sono alcune differenze di colore tra gli animali situati su isole diverse, che spaziano dal viola chiaro al marrone, passando per il porpora intenso e il blu-azzurro.
Alcune aree potenzialmente idonee alla sopravvivenza della specie, come il Borneo, l’Indonesia o la Nuova Guinea, attualmente non ospitano alcun esemplare. Si pensa che la scomparsa della specie sia da attribuire alla caccia praticata dalle popolazioni locali, che se ne sono cibate fino a causarne l’estinzione.
Fonte
- Biological studies on the coconut crab Birgus latro in the Mariana Islands
University of Guam