Avete mai sentito parlare del Philadelphia Experiment?
Conoscete il gioco del telefono senza fili, quello in cui bisogna bisbigliarsi a catena una parola nell’orecchio?
Non è male, come concetto funziona, proprio perché si ottengono effetti quasi clamorosi: possiamo assistere a distorsioni inspiegabili, del tipo l’ingresso è “cane”, mentre si arriva ad ottenere “buco nero supermassivo” come output.
La scelta di questo esempio, ovvero un gioco per bambini, non è casuale; frequentissima infatti, nel corso della storia, è la sua versione per adulti!
Sono da sempre stato molto affascinato da questo tipo di meccanismo: osservare un fatto evolversi, mutare, prendere forma e ingigantirsi – fino a diventare un mostro fuori controllo.
Piccoli errori di percezione, introduzioni di opinioni soggettive, cattivi ricordi dell’accaduto, introduzione e perdita dei dettagli nel corso del passaparola… e perché no, anche manipolazione volontaria, sono tutti elementi chiave, all’interno di questo processo.
Il caso più eclatante degli ultimi anni, l’esempio emblema di tutto ciò, è sicuramente il celeberrimo “Philadelphia Experiment”.
Vorrei partire a raccontarlo prima dal fatto scatenante, per poi arrivare al mito e – infine – alla sua spiegazione.
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