I bioreattori sono strumenti indispensabili nelle produzione industriale di numerosissimi prodotti, dal campo farmaceutico/cosmetico, passando per l’industria alimentare e la formulazione di integratori. Diamo un rapido sguardo generale a cosa sono e come funzionano questi bioreattori.
IN BREVE
Ormai è da diversi decenni che il mondo delle biotecnologie si serve dei bioreattori per la produzione di molecole che utilizzate in svariati campi. Trovano impiego dall’industria farmaceutica a quella cosmetica ma anche nell’industria alimentare e non solo. Ma cosa sono effettivamente questi bioreattori (o fermentatori)?
Un bioreattore può essere definito come l’ambiente in cui coltivare delle cellule (cellula eucariote o cellula procariota che sia) e controllarne tutti i parametri. Il termine fermentatore può essere inteso come “ambiente consono alla fermentazione”, ovvero come processo di produzione di un prodotto X. Ciò significa che i bioreattori non sono solamente dei serbatoi in cui accumulare il nostro prodotto, ma anche sistemi in cui regolare diverse condizioni come:
- i livelli di ossigeno e eventuali altri gas
- contenuto di nutrienti e altre molecole necessarie
- temperatura
- presenza di contaminazioni
- agitazione del mezzo di coltura
- smaltimento delle sostanze di rifiuto
- recupero del prodotto
Solitamente, prima di arrivare ai bioreattori di grande volume, si parte da un piccolo modello da banco, per comprendere quali siano le condizioni ottimali per le cellule. Dopo aver trovato i parametri ideali si procede con lo scale-up, processo che vede gradualmente l’aumento del volume del bioreattore.
Tipologie di bioreattori
A seconda del tipo di cellula e del tipo di prodotto che si vuole ottenere, si possono utilizzare differenti tipi di bioreattore. Inoltre, a seconda delle necessità, è possibile applicare piccole variazioni “soggettive” all’impianto per ottimizzare il sistema. I bioreattori più utilizzati sono:
- “stirred tank”
- colonna di bolle
- Air lift
- a letto impaccato
- a letto fluidificato
La scelta specifica di un bioreattore rispetto ad un altro dipende non solo dalle caratteristiche biologiche delle cellule in coltura, ma anche da “che cosa vogliamo produrre” e dalla quantità di biomassa che si necessita. Ovviamente queste scelte dipendono dall’economia dell’intero sistema, cercando di selezionare le opzioni che consentono di ridurre quanto più possibile i costi mantenendo una resa alta.
I bioreattori “stirred tank” o “mescolati meccanicamente”, sono il tipo più comune di bioreattore usato per processi asettici ed è il più omogeneo e versatile. Questo modello inoltre è apprezzato per la capacità di ossigenare efficacemente e omogeneamente il mezzo di coltura all’interno ed è quindi utilizzato per le cellule che necessitano più ossigeno. Gli svantaggi sono ovviamente l’alto costo, dovuto al complesso sistema di mescolamento e all’energia che richiede. Lo stesso sistema di mescolamento, pone un limite per quanto riguarda le cellule da utilizzare: le più “meccanicamente sensibili” potrebbero essere distrutte. Oltre alle turbine con asse centrale rispetto al bioreattore, possiamo trovare lateralmente dei deflettori che generano turbolenza. Questo fenomeno disturba le linee di flusso del liquido e produce una buona miscelazione.
Molto più semplici ed economici sono invece i bioreattori a colonna di bolle. Nei bioreattori a colonna di bolle la miscelazione è affidata al flusso di gas che entra dalla base, quindi mancando il meccanismo di mescolamento è molto meno costoso e semplice.
I bioreattori “air lift” hanno un disegno più complesso rispetto ai reattori a colonna di bolle, in quanto è presente un diaframma che serve per migliorare la circolazione di liquido. Inoltre, grazie al diaframma, si riduce la possibile formazione di schiuma all’interno del dispositivo. Sono una via di mezzo tra i due bioreattori visti in precedenza:
- mediamente semplici e costosi
- miglior circolazione di gas rispetto a quelli a colonna di bolle ma minore rispetto agli “stirred tank”
- medio costo energetico
I bioreattori a letto impaccato
I bioreattori a letto impaccato sono dei dispositivi in cui all’interno è presente una fase solida ed un eluente. La fase solida può essere costituita da particelle, su cui immobilizzate possiamo trovare le nostre cellule o degli enzimi. Il volume del reattore quindi può essere completamente riempito con supporti e liquido, il quale cola giù attraverso la colonna incontrando una corrente d’aria che va verso l’alto. La strategia è di inserire il prodotto di partenza nel liquido contenuto nel bireattore, per poi essere trasformato dalla componente biologica (enzima o cellula) adesa alla fase solida.
E’ un modello semplice da utilizzare e non eccessivamente costoso che permette anche un facile recupero della componente biologica. Ovviamente in questo caso il mezzo del bioreattore non sarà molto omogeneo e non si esclude la possibilità che si formino delle vie di flusso preferenziali. Un utilizzo particolare di questo tipo di bioreattore (grazie a modifiche ad hoc) è quello della purificazione e bonifica dei reflui.
Una variazione del bioreattore a letto impaccato è quella del bioreattore a letto fluidificato. In questo caso le particelle di fase solida (più piccole) sono mantenute in sospensione dal flusso dell’eluente e del gas a partire dalla base. Solitamente sono utilizzati per cellule animali che richiedono la crescita in superficie e un buon apporto di ossigeno, senza che meccanismi di mescolamento danneggino la loro membrana.
Fotobioreattori
I fotobioreattori costituiscono una categoria di bioreattori specializzata. Sono costruiti in modo da consentire il passaggio della luce, indispensabile per le cellule contenute all’interno (in modo che possano effettuare la fotosintesi clorofilliana). Questo modello di bioreattore può essere composto da:
- un sistema di tubi
- un sistema di pannelli
In questo modo si cerca di aumentare il più possibile la superficie di esposizione alla luce e consentire l’assorbimento di quest’ultima a tutte le cellule. Il sistema di mescolamento di solito è pneumatico ed è previsto un efficacie sistema di raffreddamento per evitare che la temperatura diventi eccessivamente alta. Entrambe queste componenti però aumentano i costi dell’apparato e della sua manutenzione. Infine è presente anche una serie di camere extra per la rimozione di gas e eventuali rifiuti ed altre per contenere i componenti necessari alle cellule. Uno dei problemi che si possono verificare con questo tipo di bioreattore sono la lenta crescita della biomassa e l’eventuale formazione di ammassi di cellule che ostruirebbero il passaggio. Per evitare quest’ultimo problema però, è solito usare una matrice solida gelatinosa, sostenendo e fissando le cellule.
Contrariamente a quello che si può pensare, la produzione massima di questi bioreattori avviene la notte, in quanto il metabolismo delle cellule fotosintetiche cambi notevolmente. In più, in alcuni casi, si può aggiungere una fonte di carbonio per aumentare la produzione del prodotto desiderato (in quanto già le cellule autotrofe lo produrrebbero da sé).
Un esempio di organismo utilizzato in questo tipo di sistema è Physcomitrella patens , un muschio che funziona come una cellula vegetale vera e propria (chiamato per questo “green yeast“). Alcuni vantaggi nell’utilizzare questo microorganismo sono la sua resistenza agli stress (come il crescere in sospensione nel bioreattore) e la sua buona stabilità genomica. Quest’ultima caratteristica gli permette di essere geneticamente modificato e sopratutto mantenere nel tempo quella stessa mutazione (utile solitamente per sintetizzare il prodotto di interesse).
Altro organismo largamente utilizzato è la nota Spirulina, scientificamente Arthrospira platensis. Questa alga unicellulare ha un macchinario metabolico tale da poter produrre numerose sostanza di cui abbiamo bisogno:
- tutti gli amminoacidi essenziali (il peso secco della Spirulina è composto al 60% di proteine)
- sali minerali
- carotenoidi (10 volte più rispetto alle carote)
- vitamine del gruppo B
- omega 3
Grazie a tutte queste caratteristiche nutrizionali, già dal 1974, la Spirulina era stata nominata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come “cibo del XXI secolo“. E’ infatti evidente il suo possibile impiego come integratore alimentare, tant’è che già da anni spopolano prodotti a base di quest’alga unicellulare o di suoi estratti.