Il sonno REM è il quinto stadio del sonno, ma le sue caratteristiche – desincronizzazione dell’attività cerebrale, movimenti oculari rapidi, paralisi e sogni narrativi – lo rendono tanto distinto dagli altri che si è soliti parlare più semplicemente di sonno NON REM e sonno REM. Questi due periodi del sonno si alternano nel corso della notte, e sono molto importanti per il riposo dell’organismo e per le modificazioni cerebrali associate allo sviluppo e all’apprendimento.
IN BREVE
Indice
UNA NORMALE NOTTE DI SONNO
Lungi dall’essere uno stato di incoscienza, il sonno è un comportamento durante il quale l’organismo è meno responsivo agli eventi ambientali, ma l’attività mentale persiste, anche se in maniera diversa rispetto alla veglia. Influenza tutte le funzioni corporee e mentali, e non sorprende che una dormita non riposante abbia ricadute negative sul nostro benessere. È opinione diffusa che per sentirsi riposati bisogni dormire almeno otto ore per notte, ma è una convinzione errata. Si tratta solo di una soglia variabile da persona a persona, pertanto alcuni avranno bisogno di meno di otto ore di sonno, altri anche più. Realisticamente ciò che contribuisce al reale riposo degli individui è il sonno profondo, la fase in cui l’attività cerebrale è più lenta e ridotta. Negli anziani e in alcune condizioni psichiatriche, come la depressione, il sonno profondo diminuisce gradualmente fino a diventare soltanto una piccola parte della notte di sonno e, in effetti, in questi casi viene riportato che il riposo non è stato sufficiente. Il sonno profondo è uno degli stadi del sonno NON REM (NREM). Lo scopo principale di questa denominazione è differenziare il sonno NON REM da quello REM. Vengono distinti in base a precisi parametri acquisiti nei laboratori del sonno: l’attività elettrica corticale esaminata con l’elettroencefalografo (EEG); i movimenti oculari registrati con l’elettro-oculografo (EOG); il tono muscolare indagato con l’elettromiografo (EMG).
L’addormentamento: gli stadi 1 e 2 del sonno NREM
Quando siamo a letto e sentiamo tutte le sensazioni fisiche connesse alla transizione dalla veglia al sonno, ci troviamo nello stadio 1 del periodo NREM. Non siamo ancora completamente addormentati, ma l’EEG, che registra l’attività elettrica ritmica dell’encefalo e ne restituisce un tracciato di onde, rivelerebbe che l’attività dei neuroni sta cominciando a rallentare e a sincronizzarsi tra i diversi circuiti neurali. Il modello di attività prevalente che vedremmo sul tracciato è quello theta, ovvero onde di 3,5-7,5 Hertz (Hz) con un’ampiezza di 75 microVolt (mV). In termini più semplici, parliamo di onde che oscillano 3,5-7,5 volte al secondo con una variazione massima di 75 mV. Per un esame completo, sono previste anche le registrazioni EOG e EMG: in questa fase i nostri occhi potrebbero compiere movimenti verso l’alto e il basso, mentre i muscoli si rilassano. Dopo circa 10 minuti dormiamo effettivamente: siamo nello stadio 2. Si tratta, comunque, di un sonno leggero e, se svegliati, alcuni di noi affermano di essere rimasti svegli tutto il tempo. Il tono muscolare continua a diminuire, e così gli occhi a ruotare lentamente, mentre il respiro diviene più regolare e lento e la temperatura del corpo scende. Nel tracciato EEG le onde theta sono ancora prevalenti, ma gli elementi più caratteristici sono i fusi e i complessi K. I complessi K appaiono come rapide deflessioni del tracciato verso l’alto e verso il basso – variazioni dell’ampiezza. Sono esclusivi dello stadio 2, ma potrebbero essere la forma precoce delle onde delta tipiche del sonno profondo. I fusi del sonno sono treni di onde di 7-15 Hz che durano 1-2 secondi. Compaiono nello stadio 2 e si verificano per tutto il periodo NREM, all’incirca ogni 2-5 volte al minuto. Come i complessi K, esprimono la progressiva inibizione dell’attività neuronale e la diminuzione della vigilanza.
Stadi 3 e 4: il riposo dei neuroni durante il sonno a onde lente
Altri 15 minuti e finalmente siamo nel mezzo di un sonno profondo, quello più riposante. Il principale evento è la comparsa delle onde delta, alla frequenza di 0,5-3,5 Hz e un’ampiezza di 150 mV. Noterete come, dall’addormentamento, la frequenza delle onde cerebrali sia diminuita, mentre la loro ampiezza è aumentata: in effetti, sono due grandezze inversamente proporzionali. L’attività delta è regolare, sincronizzata e lenta, come la frequenza suggerisce. La sua prevalenza nel tracciato EEG è del 20-50 % durante lo stadio 3, mentre supera il 50 % quando cadiamo nello stadio 4. Tra essi non esiste una differenza netta: entrambi fanno parte del periodo NREM e insieme definiscono il sonno a onde lente, una denominazione legata alle caratteristiche delle onde delta. Particolarmente rilevanti sono le oscillazioni lente inferiori a 1 Hz, caratterizzate da deflessioni verso l’alto e verso il basso di una singola onda con ampiezza elevata. La deflessione verso il basso indicherebbe che i neuroni sono totalmente inattivi e, letteralmente, in uno stato di riposo; la deflessione verso l’alto esprime l’attivazione transitoria e rapida del neurone. Durante il sonno a onde lente, specialmente nello stadio 4, lo stato di vigilanza è altamente ridotto. Possiamo essere svegliati solo dai rumori forti, e se ciò accade appariamo confusi e ubriachi; se ci chiedessero se stavamo sognando, risponderemmo di no, anche se qualcosa potrebbe tornarci in mente con uno sforzo di memoria (pensieri, immagini, emozioni ecc.). A livello fisiologico il battito cardiaco rallenta e il resto è naturale prosecuzione di quanto già anticipato: respiro più lento e regolare, temperatura più bassa e rilassamento muscolare. Lo stadio 4, nel quale trascorriamo circa 30-45 minuti, chiude questo primo ciclo NREM.
Fase REM del sonno: movimenti oculari rapidi e sogni
Sono passati circa 60-90 minuti da quando ci siamo addormentati, quando i macchinari per lo studio del sonno iniziano a rilevare alcune modificazioni fisiologiche della durata di 20-30 minuti. In primis, l’EEG rivela che la progressione discendente verso lo stadio 4 è seguita dalla rapida risalita verso lo stadio 1. In effetti, nel tracciato è presente soprattutto l‘attività theta, il che suggerisce che è in corso la desincronizzazione dell’attività neuronale. Tuttavia, le registrazioni evidenziano che non si tratta dello stadio 1: l’EMG rivela la quai totale assenza di attività muscolare, come in una paralisi, mentre dall’EOG risultano movimenti oculari rapidi in avanti e indietro. Proprio questi ultimi danno il nome alla fase REM (Rapid Eye Movements), il quinto stadio del sonno e la seconda fase dopo quella NREM. Mentre nella prima metà della notte è dominante il sonno a onde lente, nell’altra la fase REM diventa più presente e duratura. Questo implica, naturalmente, che nel corso del riposo si verifichino più cicli NREM/REM, in media quattro o cinque per otto ore di sonno. Durante il periodo dei movimenti oculari rapidi il cervello è molto attivo; potremmo non essere sensibili ai rumori esterni, ma alcuni stimoli salienti sono in grado di risvegliarci (per esempio, il suono del nostro nome). In aggiunta, contrariamente a quanto avviene durante la fase NREM, il risveglio forzato non ci impedisce di essere sin da subito perfettamente vigili. Molto probabilmente ricorderemmo che stavamo sognando qualcosa. Diversamente da quanto si pensi, non solo durante il sonno REM sogniamo, tuttavia è assolutamente vero che in questa fase i sogni assumono una forma più narrativa. Le erezioni parziali del pene e del clitoride, tipiche del REM, lascerebbero pensare che essi siano a sfondo sessuale; in realtà, questo non è necessariamente vero, anche se in alcuni casi i sogni esitano nell’orgasmo – wet dreams.
QUESTIONE DI CHIMICA: LE SOSTANZE DEL SONNO E DELLA VEGLIA
Mentre i livelli di vigilanza e attività mentale variano, favorendo ora il sonno, ora la veglia, si verificano cambiamenti neurochimici mediati dai neurotrasmettitori: alcuni di essi sono rilasciati dai neuroni del sistema cerebrale del sonno, altri dai neuroni del sistema della vigilanza. Un primo neurotrasmettitore rilasciato dai neuroni del sistema della vigilanza è l’istamina. Questo nome vi ha fatto pensare ai celebri antistaminici, utilizzati nel trattamento delle allergie e noti per la fastidiosa sonnolenza che inducono? Il collegamento è corretto e, per di più, fa venir voglia di pensare che se ciò che è anti-istamina favorisce il sonno, allora l’istamina aumenta la vigilanza. È proprio così, anche se non bisogna cadere nella tentazione di credere che sia tutto merito dell’istamina. Un ruolo importante spetta pure all’acetilcolina e a due monoamine, serotonina e noradrenalina. I neuroni monoaminergici scaricano molto quando siamo svegli e vigili, mentre si spengono gradualmente nel corso del sonno, fino a toccare il minimo nel periodo REM. Infine, l’orexina. Questo neurotrasmettitore è secreto da soli 7000 neuroni, ma raggiunge quasi ogni area dell’encefalo e si suppone che stimoli il sistema della vigilanza, facilitando la veglia ed evitando l’addormentamento (per esempio, quando qualcosa interferisce con il sonno o ci motiva a restare svegli, nonostante la stanchezza). In questo senso, l’orexina modula l’alternanza fra il sistema della vigilanza e quello del sonno, i quali si inibiscono a vicenda, di modo che quando è acceso uno, l’altro è spento, come in un circuito flip-flop. Occupiamoci ora degli eventi neurobiologici che accompagnano la fase REM.
La fase REM è regolata da neuroni REM-ON E REM-OFF
Di giorno i neuroni che secernono l’orexina, la serotonina e la noradrenalina non solo stimolano il sistema della vigilanza, ma tengono il sonno REM in stato OFF; le cellule serotonergiche e noradrenergiche, pertanto, sono chiamate REM-OFF. Dopo l’addormentamento la concentrazione di questi neurotrasmettitori nell’encefalo si riduce significativamente, ed è favorita l’attivazione dei neuroni REM-ON che rilasciano acetilcolina, un neurotrasmettitore rilasciato in grandi quantità durante la veglia e durante il sonno REM. Come avrete intuito, i neuroni REM-ON aumentano la pressione verso il sonno REM, al contrario di quelli REM-OFF; entrambi i sistemi sono parte di un secondo circuito flip–flop e, quindi, si inbiscono a vicenda: lo stato ON esclude lo stato OFF e viceversa. Alcuni neuroni colinergici, in particolare, cominciano a scaricare ad alta velocità 80 secondi prima di ogni periodo REM, suggerendo che ne costituiscano il principale innesco. Inoltre, la loro attività ha delle ricadute, più o meno dirette, sulle componenti del sonno REM, ovvero la desincronizzazione osservata all’EEG, l’attività genitale e i movimenti oculari rapidi; questi ultimi sarebbero indotti dal rilascio di acetilcolina in una regione mesencefalica chiamata tetto. Resta da chiarire un ultimo aspetto, ovvero la paralisi muscolare che ci impedisce di mettere in atto i sogni. Ciò è dovuto all’inattivazione dei neuroni motori del midollo spinale, i quali, per mezzo di alcune speciali cellule definite interneuroni, ricevono impulsi inibitori dai neuroni REM-ON.
I SEGRETI DEL SOGNO NEL SONNO REM
Che il sonno non sia uno stato di incoscienza è svelato tanto dalle registrazioni effettuate con l’EEG, quanto dalle tecniche di imaging funzionale che, soprattutto in periodo REM, rivelano incrementi del flusso ematico cerebrale nelle regioni, per esempio, della visione, del linguaggio e del movimento. Con tutta probabilità, tali variazioni hanno a che fare con il contenuto dei sogni. Si verificano in ogni fase del riposo, come nel sonno ad onde lente in cui possiamo ricordare frammenti di un pensiero o avere degli incubi. I sogni del periodo REM, invece, assumono la valenza di una storia con delle immagini realistiche. Non percepiamo immagini visive dall’esterno ma abbiamo delle allucinazioni; di fatti, l’attività ematica è trascurabile nella corteccia visiva primaria, che riceve le informazioni ambientali, mentre è elevata in quella associativa per l’elaborazione e il riconoscimento delle scene. In generale, i contenuti onirici accendono le aree cerebrali che sarebbero attivate dagli stessi eventi nel mondo reale; ad esempio, i movimenti sognati producono l’attivazione delle aree motorie corticali, senza il movimento vero (ricorderete che i motoneuroni spinali sono spenti durante il REM). Insomma, tutto questo dovrebbe convincerci che non siamo incoscienti mentre dormiamo. Peraltro, l’argomento susciterà in voi curiosità e dubbi sulle reali funzioni del sogno, da sempre l’elemento più misterioso e affascinante del sonno.
Desiderio inaccettabile o sequenza casuale di scene?
Il normale ritmo ultradiano del sonno (alternanza fra cicli NREM e REM) prevede che nella seconda parte della notte la profondità del riposo diminuisca e lasci più tempo di durata al sonno REM. Probabilmente è questa la ragione che rende i sogni fatti al mattino più chiari e facili da ricordare. In realtà, però, trascorriamo circa il 25 % del tempo passato a dormire in fase REM, un periodo in cui i sogni sono vividi; significherà che per una persona che dorme otto ore, due ore della notte saranno occupate da sogni narrativi. Sarebbe ragionevole credere che i risvegli notturni potrebbero aiutarci a ricordare meglio ciò che stavamo sognando; d’altra parte, ciò non esaurisce la questione del perché dimentichiamo alcuni sogni. Il problema di rispondere non esisterebbe se accettassimo la visione di chi, come Aristotele, vede nell’attività onirica un ripensamento sui fatti quotidiani, o di coloro che concepiscono la stessa come una sequenza casuale di elementi. La dimenticanza, o oblio, ha invece una funzione difensiva secondo altri paradigmi, come la psicanalisi. Secondo gli psicanalisti, l’analisi del contenuto dei sogni rivela, usando le parole di Platone, un “flusso tremendo di desideri, feroce e sregolato”, tenuto fuori dalla coscienza. Freud lo chiamava contenuto latente, riferendosi agli elementi inconsci rimossi che il sogno rivela, ma allo stesso tempo “maschera” attraverso un contenuto manifesto emotivamente accettabile e da interpretare. Questo genere di sogni sarebbe tipico del periodo REM. Essi sono lunghi, con una dimensione temporale reale e molto intensi dal punto di vista emotivo: le emozioni più frequenti, nell’ordine, sono l’ansia, la sorpresa, la gioia, la tristezza e la vergogna. Non necessariamente sono in relazione con gli eventi del quotidiano; alcuni di essi si ripetono nel tempo e solo raramente sono bizzarri.
IL SONNO PER UN ORGANISMO IN SALUTE: COSA ACCADE SE NON DORMIAMO?
Dormire non è importante soltanto per il riposo che concede a noi (e ai neuroni), ma anche per la regolare attività di tutte le funzioni corporee e cognitive. Soprattutto l’attività mentale risente della mancanza di sonno, con effetti che vanno dalla difficoltà a concentrarsi a, col prolungarsi dell’astinenza, allucinazioni e percezioni alterate. Si stima che non sia possibile restare continuamente svegli per più di 10-11 giorni, poiché il sonno avrà la meglio su ogni volontà di non dormire (o difficoltà a farlo). Interessantemente, il record di privazione di sonno (264 ore!) è stato stabilito nel 1963 da un americano allora diciassettenne, Randy Gardner. Cosa succederebbe se riuscissimo a battere questo record? Alcuni suggerimenti provengono da studi su animali di laboratorio privati a lungo di sonno; dopo esser diventati deboli, trasandati e molto magri, sono morti. Alcune considerazioni possono esser fatte anche rispetto agli umani. Le persone affette dall’insonnia familiare fatale, un disturbo ereditario molto raro, perdono progressivamente molte componenti del loro sonno: dapprima i complessi K e i fusi, poi il sonno a onde lente. La condizione è letale, ma come nel caso degli animali forzati a restare svegli, non ci sono elementi che possano far pensare ad un legame diretto fra l’insonnia e il decesso. Uno dei sintomi della malattia è il deficit di memoria; in effetti il sonno è molto importante per il funzionamento mnestico, soprattutto per il consolidamento degli apprendimenti. Mentre il sonno a onde lente contribuisce al consolidamento delle memorie esplicite, il periodo REM facilita le memorie implicite.
I benefici del sonno REM sulla memoria procedurale
La presenza elevata di sonno REM nei neonati ha spinto i ricercatori a pensare che questo stadio faciliti le modificazioni neuronali associate allo sviluppo cerebrale, più intenso in età infantile. Il fatto che la durata dei periodi REM diminuisca crescendo, e sia minore nei piccoli delle specie che nascono con un cervello relativamente maturo, aggiungerebbe valore a questa ipotesi. Diventare adulti, ovviamente, non significa perdere il sonno REM; al contrario, continuerebbe a promuovere le modificazioni sinaptiche connesse all’apprendimento. Anche la fase NREM è importante in questo senso, visto che i fusi del sonno, che compaiono a partire dallo stadio 2, promuovono il consolidamento delle memorie. Mentre il sonno a onde lente ha un simile effetto sulle memorie dichiarative, o esplicite, quello REM aiuta a consolidare le memorie procedurali, o implicite. Nel primo caso parliamo dei ricordi che siamo in grado di esprimere (eventi passati personali o pubblici, mappe di orientamento spaziale ecc.); nell’altro, invece, ci riferiamo a ciò che abbiamo appreso, senza volerlo intenzionalmente, grazie all’esperienza (guidare, riconoscere volti ecc.). Molti studi hanno manipolato il sonno delle persone per osservare gli effetti sull’apprendimento, ad esempio impedendo loro di dormire per una notte, o deprivandole selettivamente di uno specifico stadio (risvegliandole, cioè, quando la registrazione EEG segnalava che il soggetto stava entrando nella fase di interesse), o ancora, verificando le conseguenze dei pisolini diurni sulla memoria. Ovviamente, ciò vuol dire che la manipolazione del sonno è eseguita dopo un compito di apprendimento, il quale viene ripetuto dopo il riposo per verificare se la prestazione è cambiata. Nel complesso, se agli individui è permesso di entrare normalmente in fase REM, eseguono meglio i compiti procedurali (discriminazione visiva, apprendimento dell’esecuzione di disegni ecc.).
IL SONNO REM NEI DISTURBI NEUROPSICHIATRICI
In media il periodo REM occupa il 25 % delle nostre dormite, ma esistono condizioni in cui c’è troppo sonno REM? La risposta è senz’altro affermativa, e non necessariamente si tratta di un fattore allarmante. Come avete appena letto, gli studi che hanno indagato la relazione tra sonno e apprendimento – ma non solo – si sono serviti di alcune manipolazioni, tra cui la deprivazione del sonno REM, per confermare le loro ipotesi di partenza. Se coloro che hanno partecipato agli esperimenti fossero stati sottoposti ad EEG durante il sonno del giorno seguente, il tracciato avrebbe rivelato un importante incremento del periodo REM. Questo effetto rimbalzo, o fenomeno del rebound, è normale dopo che sia stato applicato il protocollo della deprivazione, ed è più intenso all’aumentare dei giorni di privazione; suggerisce, inoltre, che il sonno REM sia più importante degli altri stadi del sonno, al pari del sonno a onde lente. A questo proposito, torniamo al ragazzo del record di ore trascorse da sveglio; dopo aver terminato la sfida, dormì per circa 15 ore la prima notte, 10 la seconda e poco meno di 9 la terza. In pratica, riacquisì una parte delle ore di sonno perse durante i giorni precedenti, ma con proporzioni diverse relativamente alle fasi NREM e REM: recuperò il 7 % degli stadi 1 e 2, il 68 % di sonno a onde lente e il 53 % di REM. Accanto a queste situazioni di incremento fisiologico, esistono pure disturbi in cui si assiste al patologico aumento della pressione REM, o addirittura caratterizzati dall’intrusione di questa fase del sonno durante la veglia. Altre volte il problema non è la durata, ma l’assenza dell’atonia muscolare osservata durante il sonno REM; se non fossimo paralizzati, metteremmo in atto i nostri sogni?
Sonno REM e depressione: gli antidepressivi portano a un sonno senza fase REM
Più dell’80 % delle persone depresse ha un disturbo del sonno, in particolare l’insonnia e, più raramente, l’ipersonnia. Tuttavia, tra coloro che non presentano simili condizioni, è alta la probabilità che le ore passate a dormire non risultino riposanti al mattino, verosimilmente a causa di alterazioni dell’architettura del sonno che possono essere svelate solo dall’EEG. Una di esse è la diminuzione del sonno a onde lente, la fase in cui riposiamo maggiormente; l’altra è l’aumento anomalo della durata del Cyclic Alternating Pattern durante il sonno NREM, uno stato transitorio di desincronizzazione che interrompe l’attività a onde lente e rende il sonno disturbato. Il marcatore più evidente della depressione – indipendentemente dai disturbi del sonno -, però, è l’aumentata pressione REM. Vuol dire che i pazienti impiegano meno tempo del normale ad entrare nella prima fase REM, che queste durano molto e che i movimenti oculari rapidi sono più frequenti. Interessantemente, l’elevata pressione REM si riscontra anche nelle persone sane con una storia di depressione in famiglia, il che è vero pure per i neonati delle mamme affette da depressione. Sarebbe, quindi, un fattore di rischio per l’insorgenza della depressione e per le recidive dopo la guarigione. Dopo la remissione del disturbo, infatti, è frequente che resti il sonno REM alto, nonostante il trattamento con antidepressivi porti alla sua diminuzione o completa soppressione. Tanti antidepressivi funzionano perché aumentano le concentrazioni di serotonina – molto ridotte nei depressi -, che ha un effetto positivo sull’umore; ricorderete, inoltre, che ha un effetto inibitorio sul sonno REM, essendo rilasciata dai neuroni REM-OFF. Secondo una delle ipotesi, la carenza di serotonina è responsabile dell’umore depresso e dell’aumentata pressione REM; conseguentemente, potenziarne il rilascio con gli antidepressivi migliorerebbe l’umore e ridurrebbe il sonno REM.
La narcolessia è associata a intrusioni giornaliere e improvvise di sonno
Circa una persona su duemila avverte un bisogno fortissimo di dormire in situazioni quotidiane, specie quelle noiose, contro il quale non ha nessun potere di resistenza. Le emozioni intense e lo sforzo fisico, inoltre, la fanno cadere a terra, dove resta paralizzata e cosciente. Questi due sintomi sono chiamati, rispettivamente, attacco di sonno e cataplessia, e sono tra i segni tipici della narcolessia; la cataplessia, in particolare, è associata al sonno REM per via dell’atonia muscolare che compare improvvisamente. Altre manifestazioni, comunque, sono connesse agli aspetti del sonno REM. Una di esse è la paralisi del sonno, la quale è, di nuovo, una transitoria perdita del tono muscolare, che si verifica però appena prima dell’addormentamento o subito dopo il risveglio. È inquietante che in questi momenti possano verificarsi sogni, spesso terrificanti, da intendersi come allucinazioni ipnagogiche (prima del sonno) o ipnopompiche (dopo il riposo). La cataplessia, tra questi sintomi, è molto problematica viste le situazioni in cui compare (lo stress durante una riunione di lavoro, litigi, rapporti sessuali, scoppi di ilarità ecc.). Mentre gli attacchi di sonno sono contrastati efficacemente con gli stimolanti come il metilfenidato, i fenomeni REM sono trattati proprio con gli antidepressivi, per via degli effetti che il maggiore rilascio di serotonina (ma anche noradrenalina) ha sul sonno REM. Quindi, questi farmaci non sopprimono solo la normale fase REM, ma anche gli anomali sintomi narcolettici. In merito alle cause di questo disturbo neurologico, ci sono evidenze preliminari che suggeriscono un possibile danno ai neuroni orexinergici, potenzialmente causato da mutazioni genetiche.
Disturbo del sonno REM: agire i sogni
Più volte, nei precedenti paragrafi, abbiamo accennato all’ipotesi secondo cui la paralisi muscolare del sonno REM ci impedisce – fortunatamente – di mettere in atto i sogni che facciamo di notte. Può sembrare una suggestione, ma il disturbo comportamentale del sonno REM e i suoi sintomi sembrano confermare questa idea. Mentre dormiamo, soprattutto mentre sogniamo, i sistemi motori del nostro cervello sono chiaramente attivi; è grazie all’inibizione dei neuroni motori inferiori, localizzati nel midollo spinale, che si verifica l’atonia muscolare. È interessante notare che ciò che le persone affette dal disturbo del sonno REM fanno corrisponde al contenuto della loro attività onirica. Questa è la principale conseguenza negativa del disturbo, poiché i pazienti finiscono a fare male a sé stessi e al partner se i loro sogni sono violenti o movimentati; non di rado sono riportati episodi di incidenti nella stanza da letto, con danneggiamenti dei mobili o con ferite del corpo. Il disturbo ha almeno una componente genetica e può comparire insieme ad altre condizioni, quali il morbo di Parkinson, o esordire in seguito a lesioni del tronco cerebrale, dove molti fenomeni del sonno REM sono controllati. La principale cura consiste nella somministrazione delle benzodiazepine, che hanno un effetto sedativo e rilassante.
Fonte
- Fisiologia del comportamento
N. L. Carlson (2014) - Principi di Neuroscienze
E. Kandel (2014)