È stata largamente dimostrata l’efficacia della terapia EMDR nel trattare disturbi con base traumatica tra cui PTSD e disturbi d’ansia, ma non è ancora del tutto chiaro il meccanismo neurobiologico che le soggiace, né il modo in cui gli stimoli alternati riescono a rendere meno intrusivo e persistente il ricordo responsabile della patologia e della relativa sintomatologia.
IN BREVE
EMDR, COS’È?
EMDR è l’acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing. Trattasi di una tecnica psicoterapeutica che utilizza i movimenti oculari come mezzo clinico. «In che senso?», potremmo domandarci, «come è possibile che muovendo gli occhi si risolva una problematica puramente psicologica?». Le ipotesi di funzionamento sono varie, tutte molto creative, alcune più criticabili di altre; ciò che non si può contestare è la validità della tecnica. Stando infatti agli studi di efficacia e alle testimonianze dei pazienti, l’EMDR è una terapia dal grande potenziale; Francine Shapiro, colei che la ideò, la utilizzò per prima per trattare i pazienti affetti da disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e ancora oggi gli psicoterapeuti sono soliti utilizzarla con successo per trattare il PTSD e tanti altri disturbi di natura psicologica.
Eye Movement…
Il nome della tecnica è curioso tanto quanto il suo meccanismo di azione. Eye Movement lascia intendere che durante la terapia qualcuno faccia qualcosa con i propri occhi. In effetti è il terapeuta che durante la seduta chiede al paziente di seguire con lo sguardo il movimento delle sue dita (oppure quello di una luce posta dinnanzi a lui). In realtà questo semplice esercizio comportamentale descrive solo in parte il trattamento; prima di esso vi è una fase di confronto verbale altrettanto importante durante la quale il terapeuta aiuta il paziente a rievocare il ricordo di un particolare evento disturbante del passato che continua a creare fastidio nel presente. Di solito ad esso sono collegate sensi di colpa, vergogna e cognizioni negative di ogni tipo («sono brutto», «sono sporco», «merito di soffrire»…); target della terapia sono il ricordo (o i ricordi) e le cognizioni associate.
…Desensitization and Reproccesing
Gli scopi della terapia sono la desensitization («desensibilizzazione») e il reprocessing (che in italiano potremmo tradurre con il terribile neologismo «riprocessamento», o meglio «rielaborazione»). Ciò che si va a desensibilizzare è il ricordo target identificato nel paragrafo precedente. La «desensibilizzazione sistematica» era quella tecnica pensata da Wolpe nel 1958 che mirava a ridurre passo dopo passo l’intensità della paura per uno stimolo fobico. Nel caso dell’EMDR il ragionamento è lo stesso: una volta identificato il ricordo, il terapeuta va a ridurne l’intensità emotiva negativa associata proprio come nel caso della paura per lo stimolo fobico. Tuttavia, se nel caso della terapia di Wolpe la desensibilizzazione avviene tramite esposizione graduale al target, nel caso dell’EMDR avviene grazie ai movimenti oculari, vedremo più avanti perché. A questo punto è il paziente che spontaneamente ricodifica il ricordo con la relativa carica emotiva (che dopo la terapia sarà di un’intensità minore grazie alla desensibilizzazione). Dunque al termine del trattamento il paziente si ritroverà con lo stesso ricordo dal punto di vista cognitivo, ma con un’emotività negativa associata decisamente meno intensa, di conseguenza anche le cognizioni associate tenderanno a cambiare valenza in positivo («in verità sono bello», «forse non sono così sporco», «perché dovrei meritare di soffrire?»…).
L’idea di base della tecnica
La terapia con EMDR in passato veniva utilizzata con grande efficacia per trattare i pazienti affetti da PTSD, solitamente veterani di guerra che avevano assistito in battaglia ad ogni tipo di violenza e sofferenza. Questi, dopo poche sedute, tornavano ad un funzionamento mentale «normale» e la sintomatologia svaniva nel nulla come se niente fosse mai successo. Quella che prima era una tecnica nata per caso (durante una passeggiata al parco), oggi è diventata una tra le più efficaci terapie manualizzate, non solo per la terapia del PTSD ma anche per la gestione di altri disturbi correlati. L’EMDR parte dal presupposto che:
- Per ogni trauma ricordato «cognitivamente» vi è una controparte emotiva tanto più intensa quanto peggiore è stato l’evento in oggetto;
- «Trauma» è un concetto relativo che indica ogni evento disturbante soggettivamente;
- Ogni evento disturbante viene fisiologicamente elaborato dal soggetto a meno che qualcosa lo impedisca;
- L’EMDR non fa altro che sbloccare il meccanismo fisiologico del punto precedente quando si inceppa.
Sulla base di queste premesse è stata costruita una tecnica terapeutica dalla grande efficacia che può essere messa in atto ogniqualvolta un evento traumatico si riattualizza nel presente con fastidiosi sintomi intrusivi. Se è vero che buona parte dei disturbi di personalità si radica nel concetto di «identità», e se è vero che l’identità è frutto della memoria di eventi positivi e negativi (traumi), allora l’EMDR dovrebbe essere efficace per trattare anche i disturbi di personalità dal momento che questi vengono plasmati dai traumi.
In realtà nel caso della personalità parliamo di microtraumi più che di traumi veri e propri. Mentre questi ultimi sono eventi palesemente disturbanti che si verificano una tantum durante la vita del soggetto (violenze, incidenti…), gli altri sono eventi persistenti, prolungati e ripetuti nel tempo (continui litigi, giudizi negativi, discussioni, brutte figure…) che sul momento hanno un piccolo effetto in acuto, ma sul lungo termine rischiano di andare a strutturare una personalità piuttosto problematica. Se l’EMDR lavora sul trauma, a rigor di logica potrebbe essere utilizzato per qualsiasi tipo di disturbo psicologico trauma-based. Tuttavia, ça va sans dire che per trattare i microtraumi l’impegno del terapeuta (e anche del paziente) dovrebbe essere estremo perché sarebbe come andare a ripescare tanti fili d’oro in un enorme pagliaio.
EMDR, TESTIMONIANZE ED IPOTESI DI FUNZIONAMENTO
Spesso i bambini dopo il trattamento EMDR riferiscono di non provare più sofferenza «come per magia». La tecnica stessa per come è strutturata ricorda la seduta di ipnosi tipica di qualche vecchia pellicola sugli illusionisti: il potente mentalista fa oscillare il suo raffinato orologio da taschino di fronte al paziente, questo inizia a seguirlo con lo sguardo e dopo pochi attimi entra in una profonda trance come se gli avessero fatto una pera. L’EMDR in realtà non ha nulla a che fare con l’ipnosi. Durante l’ipnoterapia (ben diversa da quella che si vede nei film) il paziente entra effettivamente in uno stato di trance che gli fa perdere completamente contatto con il mondo; durante l’EMDR la coscienza non si offusca, al contrario viene chiesto al soggetto di essere ben attento, da un lato al ricordo rievocato, dall’altro al movimento delle mani affinché lo si riesca a seguire correttamente con lo sguardo.
Gli elementi fondamentali
Il protocollo EMDR segue una precisa struttura in più fasi (non descritte nello specifico in questo articolo) che si ripropongono di seduta in seduta fino a quando il risultato terapeutico non è evidente. Grossolanamente si procede nel seguente modo:
- Identificazione del ricordo target e delle cognizioni associate;
- Valutazione dell’intensità negativa di queste ultime;
- Rievocazione del ricordo e contemporaneamente esecuzione del compito comportamentale (movimenti oculari o stimolazioni alternative);
- Valutazione dell’intensità emotiva negativa associata al ricordo e della valenza delle cognizioni per verificare che sia stata una variazione (in positivo).
Nel punto 3 abbiamo parlato di «movimenti oculari o stimolazioni alternative», questo perché nonostante gli occhi diano il nome alla tecnica, non sono fondamentali per il successo della tecnica stessa. Vi sono pazienti che non sopportano il movimento della mano perché ricorda loro gli schiaffi del genitore, altri invece semplicemente non riescono a prestargli attenzione per via di svariate disabilità fisiche o attentive. Con questi soggetti è possibile utilizzare stimolazioni alternative che non richiedono la fissazione visiva di uno stimolo, ma che portano comunque ad un buon esito della terapia (tamburellamenti bilaterali sulle gambe del paziente o suoni alternati). Dunque il movimento oculare non è fondamentale. Alcune ipotesi sul funzionamento della tecnica ritenevano che gli occhi fossero la chiave dell’EMDR perché andavano a generare a livello neurale delle correnti in grado di interferire con i ricordi negativi. Credibile visto che ogni movimento implica una corrente nel sistema nervoso, ma purtroppo poco probabile data l’efficacia del trattamento nonostante l’assenza di movimenti oculari. Che la risposta sia nella biochimica cerebrale più che nell’elettrofisiologia?
Cosa sono «biologicamente» i ricordi?
In realtà ora come ora non c’è una risposta univoca alla domanda del titolo. Ad ogni modo si può supporre che un ricordo abbia diversi correlati neurali, questo perché la memoria di un solo evento è frutto della combinazione di più informazioni sensoriali e percettive, ciascuna immagazzinata in una diversa area del cervello. La neurobiologia molecolare ci insegna che ogniqualvolta viviamo un particolare evento, lo codifichiamo e lo consolidiamo in corteccia dopo una fase instabilità. Quando lo rievochiamo, lo riportiamo ad uno stato di pre-consolidamento durante il quale è possibile effettuare delle modifiche prima che questo si consolidi nuovamente (si parla di riconsolidamento della memoria). Dal punto di vista molecolare, ciò che si osserva in questa fase è proprio un «distacco» del ricordo dalla sua struttura proteica: se la sintesi delle proteine viene inibita con mezzi chimici, il ricordo si perde perché non riesce più a riformare il ponte che lo ancora alla sua sede (Kida et al., 2002).
Ricordiamo che gli stessi propugnatori della tecnica EMDR ritengono che ognuno di noi sia potenzialmente in grado di elaborare fisiologicamente i propri eventi di vita, traumatici e non. Tutto ciò avverrebbe perlopiù durante la notte e sfrutterebbe i meccanismi di consolidamento e riconsolidamento appena descritti. Durante il sonno NREM (Non Rapid Eye Movement) vi sarebbe un delicato dialogo tra corteccia e aree sub-corticali che porterebbe al deposito dei ricordi da una sede temporanea ad una definitiva (o quasi); durante il sonno REM (Rapid Eye Movement), la cui fisiologia ricorda per certi aspetti quella dell’EMDR, vi sarebbe un ripescaggio dei ricordi consolidati ed una correzione di quelli disfunzionali grazie al riconsolidamento.
Un’ipotesi azzardata (ma non così tanto)
Le evidenze suggeriscono che l’efficacia della terapia EMDR non sia dovuta tanto ai movimenti oculari, quanto piuttosto all’attenzione impiegata dal paziente per portare a termine il compito comportamentale proposto dal terapeuta durante la rievocazione del ricordo (Crestani et al., 2015). Sembra che la tecnica diventi efficace nel momento in cui la rievocazione del ricordo target viene effettuata contemporaneamente allo svolgimento un compito cognitivo, qualunque esso sia, che distragga il soggetto dalla carica emotiva. Stando a quanto appena detto, è possibile ipotizzare che il meccanismo della tecnica EMDR si basi sul processo di riconsolidamento mnestico e che funzioni in maniera analoga al sonno REM (Stickgold, 2002). Dopo ogni rievocazione vi è una finestra temporale entro la quale il ricordo diviene labile e può essere modificato prima di essere nuovamente consolidato. Per questo motivo, se in concomitanza della rievocazione viene chiesto al soggetto di svolgere un compito cognitivo, la sua attenzione viene in parte distolta dalla carica emotiva del ricordo che quindi viene riconsolidato con un’intensità emozionale minore. In pratica l’attenzione che generalmente viene data in toto all’evento, durante la seduta EMDR viene suddivisa tra la carica emotiva e il compito comportamentale. In questo modo si finisce per dare meno credito all’emozione negativa associata al ricordo, e quando questo viene riposizionato al suo posto, lo si riconsolida con un’emotività diminuita.
EMDR: effetti collaterali e controindicazioni
L’EMDR è pericoloso? Dalla descrizione che ne abbiamo fatto sembra essere la terapia contro ogni male psicologico, in verità come tutti i trattamenti clinici, anche l’EMDR ha pro e contro. Vista la semplicità del metodo, viene subito da pensare che chiunque possa applicarlo in autonomia, a sé stesso o agli altri. Tuttavia, per imparare ad utilizzare la terapia con EMDR in Italia vi sono corsi appositi, supervisionati e molto lunghi senza i quali il terapeuta non può ritenersi davvero preparato. In primis per imparare a riconoscere i ricordi target è necessaria una discreta esperienza, non tutte le memorie devono essere oggetto di modifica, se così fosse si potrebbero andare a creare conflitti interni e problemi etici. Inoltre il protocollo stesso è ben più complesso di quanto sembri. Vi è una metodologia stretta da rispettare e non tutti i pazienti sono adatti al trattamento. Per giunta non è da escludere che alla seduta seguano alcuni effetti collaterali come crolli emotivi o abreazioni, un supporto umano in questi casi potrebbe essere di grande aiuto. Il rischio è che il paziente si ritrovi da solo con il proprio picco di disperazione senza sapere che in realtà si tratta di un evento catartico assolutamente normale. Può anche capitare che i crolli emotivi si susseguano l’uno dopo l’altro tra le sedute, ci si può ritrovare a piangere senza motivo, e sul lungo termine in assenza di supporto e spiegazioni si rischia di peggiorare ulteriormente la situazione. Non basta muovere gli occhi per ottenere un effetto; a differenza di quanto credono i bambini, non si tratta di magia.
Fonte
- Kida, S., Josselyn, S. A., de Ortiz, S. P., Kogan, J. H., Chevere, I., Masushige, S., & Silva, A. J. (2002). CREB required for the stability of new and reactivated fear memories.
Nature Neuroscience - Stickgold, R. (2002). EMDR: A putative neurobiological mechanism of action.
Journal of Clinical Psychology - Crestani, A. P., Boos, F. Z., Haubrich, J., Sierra, R. O., Santana, F., Molina, J. M. D., … & Quillfeldt, J. A. (2015). Memory reconsolidation may be disrupted by a distractor stimulus presented during reactivation.
Scientific Reports - EMDR: desensibilizzazione e rielaborazione attraverso movimenti oculari. Mc-Graw-Hill Libri Italia..
Shapiro, F., Fernandez, I., & Goldwurm, G. F. (2000)