Vi è mai capitato di piangere senza motivo o di averne il bisogno inspiegabile? In verità c’è sempre un movente nascosto che porta alle lacrime. Questo articolo cercherà di spiegare tramite descrizioni ed esempi ciò che spinge le persone a piangere, e in conclusione proporrà alcune soluzioni al problema, nel caso in cui ci fosse.
IN BREVE
COSA SIGNIFICA «PIANGERE SENZA MOTIVO»?
Il fatto che qualcuno senta la voglia di piangere senza motivo, lascia intendere che alla base ci sia una causa che spinge il soggetto a voler mettere in atto l’azione. Vogliamo mangiare quando ne abbiamo la necessità o il desiderio, allo stesso modo vogliamo piangere quando il nostro corpo sente il bisogno di farlo. Può sembrare che non ci sia un motivo che spieghi le lacrime, ma si tratta appunto solo di un’impressione. La verità è che per qualsiasi comportamento vi è sempre un movente, anche se nascosto o inconsapevole. Ognuno è felice o triste a causa di qualcosa, le lacrime non sono altro che una traduzione comportamentale di un’emozione alla base, che sia questa infelicità o gioia. Si piange a causa della tristezza, per la nostalgia, per la commozione, ma il punto è che si piange sempre per qualcosa.
Quando l’automobile ha un guasto
Ipotizziamo che la nostra automobile da un momento all’altro decida di non partire più. Chiamiamo il meccanico e gli spieghiamo che improvvisamente il veicolo ha smesso di funzionare «senza motivo». Il meccanico, dopo aver dato un’occhiata sotto il cofano, ammicca e ci risponde che il motorino di avviamento è danneggiato, ed è questa la ragione per cui l’auto non si accende più. Ciò che all’apparenza non aveva motivo, dopo una rapida spiegazione comincia ad assumere significato. Comprendere le cause dei comportamenti è il primo passo per imparare a decifrare i comportamenti stessi, per imparare a gestirli e a ridimensionarli nel caso in cui siano disfunzionali. Il meccanico è in grado di aggiustare l’auto perché ne conosce il funzionamento; sa dove e come intervenire. Per questo motivo nei prossimi paragrafi cercheremo di spiegare alcune delle cause per le quali a volte capita di piangere all’improvviso senza motivo (apparentemente).
Cosa c’è sotto?
Partiamo dal presupposto che la nostra mente si costruisce e viene plasmata dagli apprendimenti quotidiani ai quali ognuno va incontro giorno dopo giorno fin dalla nascita. Molti di questi vanno a strutturare il modo con cui ciascuno legge ed interpreta la realtà. Come si suol dire: «sorridi alla vita e la vita ti sorriderà». Sembra una frase incredibilmente banale, ma se la si vede nell’ottica della psicoterapia cognitivo-comportamentale, guadagna una certa validità. Secondo i cognitivisti, le esperienze di vita ed il modo con il quale ci si interfaccia ad esse, creano nei soggetti credenze ed aspettative sulla base di ciò che in passato è successo dopo la messa in atto di un certo comportamento. A lungo andare queste credenze, specialmente se negative, rischiano di potenziarsi sempre di più e di andare a distorcere il modo con il quale si legge la realtà. Cerchiamo di spiegare tutto con un esempio: il bambino che è sempre stato svalutato, da adulto tenderà a credere che le persone con cui si interfaccia lo svaluteranno prima ancora che egli compia un’azione. Fatte queste premesse, si può davvero pensare che affrontare la vita col sorriso porti a risultati migliori; al contrario, aspettarsi a priori fallimenti e delusioni, rischia solo di confermare l’aspettativa.
Questa cosa è particolarmente evidente nei pazienti con disturbo borderline di personalità, che spesso si trovano a dover combattere da un lato con molteplici credenze irrazionali (irrational beliefs), dall’altro con le emozioni negative che queste causano, senza che riescano a prenderne consapevolezza. Difatti dalle credenze che si hanno sul mondo derivano aspettative ed emozioni, ça va sans dire che, nel caso di credenze negative («verrò giudicato e deriso»), anche le emozioni saranno negative e potranno portare addirittura a crisi di pianto senza motivo apparente. Nessuno ritiene che il proprio atteggiamento nei confronti del mondo sia sbagliato fino a quando non comprende che proprio quello è il motivo della propria infelicità. Allo stesso modo, nessuno sa che l’auto non funziona a causa del motorino di avviamento fino a quando non comprende che esso è un componente indispensabile per la corretta accensione del veicolo. Comprendere la causa aiuta a trovare la soluzione, così come conoscere a fondo una zona della città aiuta a trovare scorciatoie e percorsi alternativi.
Narcisismo patologico ed ostilità
Credenze ed aspettative sembrano dunque avere un grande impatto sull’umore generale. Un altro esempio è quello del narcisismo patologico: in questo caso, il paziente dalle alte aspettative che non ottiene dalla realtà ciò che credeva di poter ottenere, ci rimane male, così male da dover essere costretto a mettere in atto una serie di comportamenti compensatori che modulino il malessere generato dalla delusione. Si pensi alla favola di Esopo La volpe e l’uva, dove la volpe utilizza una manipolazione cognitiva per riuscire a digerire il proprio fallimento («tanto l’uva era acerba»). Tuttavia, non sempre delusione e credenze sono facilmente gestibili, a volte si preferisce semplicemente reprimere l’emozione, o fare finta di nulla, cosa che porta l’emozione stessa a rimanere latente e a manifestarsi successivamente sotto forma di pianto o di rabbia. Difatti, rabbia ed ostilità spesso non sono altro che manifestazioni «secondarie» di una vera emozione «primaria» alla base: tristezza, paura, delusione…
Piangere senza motivo è un sintomo
Rabbia, ostilità e piangere spesso senza motivo sono tutti sintomi di un malessere generale di base. Il desiderio di piangere, per certi aspetti, ricorda quella che Freud definiva «angoscia segnale», ovvero l’allarme che scattava nel paziente nevrotico quando stava per entrare in contatto con un potenziale pericolo. Questa, se molto intensa, poteva sfociare in un attacco di ansia acuta che poteva manifestarsi anche con crisi di pianto. Dopotutto ricordiamo che le lacrime contengono encefaline, molecole appartenenti alla famiglia delle endorfine, altrimenti dette «molecole della felicità».
Le lacrime hanno una funzione fisiologica di riduzione della sofferenza, perciò se chiedono di essere liberate, evidentemente qualcosa all’interno dell’organismo non sta funzionando come dovrebbe. Attenzione, si intende anche al livello strettamente fisico, d’altronde esse, tra le altre funzioni, hanno anche lo scopo di ripulire l’occhio da eventuali corpi estranei, ma in questo caso non parliamo di lacrime associate ad un’emozione negativa. William Frey nel suo libro Crying: The mystery of tears (1985) affermò che generalmente le persone si sentono meglio dopo aver pianto a causa dell’eliminazione, anche tramite le lacrime, di ormoni associati allo stress. Tutto ciò potrebbe far pensare al pianto come ad una valvola di sfogo quando il livello di stress accumulato è troppo elevato.
Brutte figure e depressione
Un ulteriore esempio di «inconsapevolezza della causa» è dato dagli eventi traumatici. Spesso si pensa ai traumi in termini di violenze sessuali o lutti, ma «trauma» è tutto ciò che crea un grande disagio nell’individuo, così grande da impedirgli di elaborare correttamente l’evento che quindi viene «messo da parte», senza tuttavia essere affrontato e risolto. Parliamo anche di brutte figure e fallimenti, ovvero tutto ciò che potenzialmente può portare ad una iper-attivazione emozionale. Come ci insegnano le teorie psicoanalitiche, il ricordo disturbante di questi eventi viene rimosso, accantonato, ma nessuno gli vieta, sul lungo periodo, di ripresentarsi all’attenzione del soggetto sotto forma di attacchi di panico o di crisi di pianto, senza che il soggetto tuttavia riesca ad attribuirgli la causa del suo malessere. Dopotutto parliamo di un evento accaduto molti anni fa, come potrebbe essere quello la causa di un problema così attuale? Immaginiamo la mente come una rete: ad ogni punto di incontro tra due fili corrisponde un ricordo. Tutti gli «incroci» della rete sono in connessione tra loro; è sufficiente stimolarne uno, anche molto lontano, per provocare una reazione a catena che attivi di conseguenza anche tutti gli altri. Per questa ragione, un evento attuale che riporti alla mente con qualche sua caratteristica l’evento traumatico del passato, lo riattiva con tutta la carica emotiva associata.
Traumi, delusioni e credenze negative nei confronti del mondo possono anche portare a patologie molto gravi come la depressione. Eppure il disturbo depressivo e quello bipolare non per forza devono essere in correlazione diretta con un particolare evento. Può capitare che si presentino di punto in bianco in un individuo particolarmente predisposto, come fosse un raffreddore, perciò è sempre consigliabile contattare uno specialista quando si parla di deflessione cronica dell’umore. Meglio non sottovalutare il desiderio di piangere senza motivo apparente, perché in realtà vi è sempre una causa alla base che lo spiega.
CERCHIAMO DI RISOLVERE IL PROBLEMA
Aaron Beck riteneva che dagli irrational beliefs originassero emozioni particolarmente negative, per questo suggeriva ai pazienti di tenere traccia delle proprie attività quotidiane, e degli stati d’animo ad esse associati, attraverso un’agenda che potesse servire da mezzo per comprendere le cause delle proprie condizioni emotive. Riportando momento dopo momento avvenimenti e relative credenze, aspettative ed emozioni, era facile comprendere l’origine temporale e causale dei sentimenti con valenza negativa. Durante la terapia se ne poteva poi discutere.
Le lacrime come prima terapia
Abbiamo appurato che le lacrime hanno effetti benefici sull’organismo, dunque la prima terapia è ovviamente piangere, senza alcun tipo di limitazione. Per motivi strani, il pianto ha assunto valenza sociale sempre più negativa, come fosse una cosa sbagliata. Spesso ci si sente in difetto e in imbarazzo nel sentire il bisogno di piangere, specialmente se si è uomini, ma abbiamo appurato che si tratta invece di un meccanismo assolutamente fisiologico, tanto quanto mangiare o bere. Mangiare e bere ci fanno stare meglio, così come piangere, ma le lacrime spesso non vengono viste altrettanto di buon occhio, specialmente dai genitori nei confronti dei figli. Non sono infrequenti frasi del tipo «smettila di piangere», ma se il bambino piange, evidentemente qualcosa non va. Si chieda il genitore cosa non sta funzionando piuttosto che limitare l’espressione del figlio che sta già soffrendo abbastanza. Il rischio è che il piccolo cresca con un blocco espressivo come quello descritto nelle prime righe di questo paragrafo. Non piangere quando se ne sente il bisogno non è segno di buona educazione, fa solo male, così come non mangiare quando lo stomaco brontola crea solo ulteriore disagio.
La cura adatta
Se il problema è di pertinenza strettamente medico-biologica, come nel caso del disturbo depressivo maggiore e/o bipolare, i farmaci o tecniche innovative come la light therapy possono essere di grande aiuto, specialmente se affiancate da un buon percorso psicoterapeutico riabilitativo. In caso di moventi più radicati e psicogeni, si può ricorrere alla psicoterapia come principale soluzione. Anch’essa, come il pianto, di questi tempi è tristemente sottovalutata, come fosse riservata ad una popolazione «sbagliata», ma la verità è che, se si andasse fin da piccoli in terapia preventiva, probabilmente si arriverebbe in età adulta con meno problemi.
Ogni epoca ha le proprie psicoterapie: nascono con l’uomo e si evolvono con esso. In passato Janet avrebbe proposto un protocollo di «modificazione dei ricordi» come risoluzione delle cosiddette «idee fisse subconsce»; oggi si parlerebbe invece di EMDR e TMS, moderne tecniche basate sulla plasticità sinaptica e sul riconoscolidamento della memoria. Siamo nell’era della tecnologia, perciò non pensiamo che le tecniche terapeutiche attuali siano ancora mistiche e pseudoscientifiche come in passato. Le terapie attuali, specialmente le più aggiornate, utilizzano la relazione e gli strumenti innovativi a disposizione per intervenire sulle variabili chimiche e biologiche che causano i comportamenti disfunzionali, come fossero farmaci. Detto ciò, non si veda la psicoterapia come una tecnica infondata e riservata solo alle persone in difficoltà. Trattasi invece di metodi strutturati e scientificamente validati, adatti a tutti, anche alle persone sagge che semplicemente vogliono prevenire i problemi futuri.
La psicoterapia non è unica
Per quanto le psicoterapie si assomiglino, non tutte sono uguali. Alcune sono più interpretative, altre sono più pratiche e «concrete», al punto da utilizzare tecniche o strumenti «terzi», come nel caso dell’EMDR e della TMS citate nel paragrafo precedente. Per questo motivo a volte si sente dire che «la psicoterapia non funziona», perché ognuna è diversa dalle altre, ed ogni persona necessità di una piuttosto che di un’altra in funzione di come è fatta. «Non funziona» andare dal dentista per un problema neurologico; allo stesso modo probabilmente «non funziona» andare da un terapeuta tendenzialmente «astratto» nelle sue tecniche, se il paziente richiede invece un trattamento concreto e materiale, e viceversa. Tuttavia, a prescindere dalle tecniche utilizzate, lo scopo di tutte le psicoterapie è quello di alleviare la sofferenza. Il clinico è quella persona che, come il meccanico, aiuta il paziente a decostruire le proprie esperienze, al fine di identificare la causa delle problematiche. Una volta identificata, interviene, in un modo o nell’altro, per risolvere il problema. Impegno del paziente è quello di non dare per scontato che la terapia sia inefficace quando pensa lo sia; impegno del terapeuta è quello di adattare il proprio stile clinico al modo di essere del paziente, in modo tale da massimizzare l’efficacia del trattamento.
Sentirsi inefficaci nel mondo: un esempio clinico
Dunque la psicoterapia può essere utile per comprendere ciò che sta alla base delle problematiche, a cui spesso viene data poca importanza. Un caso esemplare è quello dei tipici loop presenti nei pazienti con disturbo borderline di personalità (BPD). Essi infatti sono tristemente famosi per la messa in atto di comportamenti autolesivi senza un motivo apparente (tagli, bruciature, ma non solo). Altrettanto i frequenti sono i comportamenti parasuicidari, i suicidi ed i «semplici» pensieri suicidari ricorrenti. Anziché limitarsi a definire queste persone «disturbate», ci si domandi il perché della messa in atto di questi comportamenti. Tutti questi atteggiamenti rientrano nella categoria dei cosiddetti emotion-driven behaviors, difatti, è stato ampiamente dimostrato dal punto di vista neuroanatomico-funzionale e psicofisiologico, che i pazienti con BPD presentano una notevole difficoltà nella gestione delle emozioni. Semplificando, «non hanno imparato» come gestire le proprie emozioni negative, di conseguenza ricorrono all’utilizzo di tecniche disfunzionali che li aiutino a stare meglio. I comportamenti autolesivi provocano infatti dipendenza per via del rilascio di oppioidi in grado di dare sollievo rispetto al dolore psicologico (si pensi ai vissuti di rifiuto); distraendo il paziente dalla sofferenza, lo calmano e riducono l’attivazione dell’amigdala. D’altra parte i pensieri suicidari ricorrenti offrono una via di fuga dalla triste realtà, un’alternativa, un’ultima spiaggia.
Dunque, in funzione del benessere, i pensieri suicidari possono generare altri pensieri suicidari, e i comportamenti autolesivi possono generare altri comportamenti autolesivi, cosa che crea a lungo andare un loop di autolesività che presto o tardi rischia di sfociare nella concretizzazione di un atto suicidario. Se il problema è l’inefficacia percepita di questi pazienti nella gestione delle proprie emozioni intense, allora può essere utile insegnare loro delle strategie adattive che vadano a risolvere i problemi e che quindi facciano sentire il paziente più «potente» nel mondo. Ricordiamo che questi pazienti nella loro infanzia hanno spesso avuto a che fare con muri di gomma giudicanti ed invalidanti, perciò è normale che nel presente si sentano inefficaci, perché in passato non veniva dato importanza a nulla di quello che dicevano, e le regole di comportamento venivano semplicemente imposte dall’alto. Loro non avevano alcun impatto sul mondo, era il mondo che impattava con forza contro di loro. Lo skills training è proprio uno degli scopi della Dialectical Behavior Therapy, un’efficace tecnica psicoterapeutica evidence-based mirata proprio alla risoluzione dei problemi nel BPD. È normale che un paziente con queste problematiche non tragga beneficio da una semplice chiacchierata, ma non per questo motivo non c’è per lui alcuna soluzione. Una volta compreso il problema alla base, è possibile trovarne una.
È strano piangere durante un film?
Sia ben chiaro che la voglia di piangere senza motivo non per forza dipende da problematiche o da eventi avversi. Anche la gioia può portare alle lacrime, ma generalmente la felicità non spinge a domandarsi il motivo del pianto, soprattutto perché spesso il movente è palese. La situazione è diversa quando si sente il desiderio di piangere per la commozione o per la felicità ma non si riesce, come se qualcosa lo impedisse. Immaginatevi in salotto con i vostri amici a vedere un film emozionante: nel momento in cui vorreste piangere per una scena, soffocate tutto. C’è in effetti qualcosa che impedisce alla persona di manifestare un comportamento naturale e spontaneo. Che sia questa il timore del giudizio o altro, è sempre meglio affrontare la questione con un esperto, dal momento che probabilmente essa è collegata anche ad un’altra lunga serie di problemi. Per riassumere, piangere è fisiologico ed ha sempre una causa. Poco importa che si tratti di traumi non elaborati, delusione delle aspettative, credenze irrazionali, messa in atto di comportamenti indesiderati, forzati o contro-attitudinali, o nelle situazioni più gravi, depressione e disturbi della personalità, l’importante è comprendere il movente del comportamento per poter intervenire tempestivamente.
Fonte
- Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). Raffaello Cortina Editore.
American Psychiatric Association (2014). - Nelson, R. E. (1977). Irrational beliefs in depression.
APA PsycNet - Crying: The mystery of tears. Harper San Francisco.
Frey W. H. & Langseth M. (1985). - Ben-Nun, L. (2020). Tears in human life.
ResearchGate