Il letargo è una fase di inattività comune a molte specie animali. Si ritrova sia tra gli ectotermi che tra gli endotermi, ma con alcune differenze. Infatti esistono diverse tipologie di letargo, con differenze che riguardano la temperatura corporea, il metabolismo, la lunghezza del periodo di inattività, e la tipologia di organismi. In questo articolo parliamo di tutto questo, e chiariamo anche quali sono i benefici che hanno portato alla comparsa e alla diffusione di questa strategia nel mondo animale.
IN BREVE
Indice
LETARGO E DIFFERENZE TRA ENDOTERMI ED ECTOTERMI
Moltissime specie nel corso della vita vanno incontro a periodi di quiescenza: una forma temporanea di riduzione delle attività motorie e metaboliche, che spesso è guidata da fattori ambientali o fa parte di cicli regolari. La funzione è spesso quella di risparmiare energie in periodi difficili. Ma come vedremo in questo articolo possono esserci molti altri fattori oltre al risparmio delle energie. Ci sono molte forme diverse di quiescenza, che si differenziano per la lunghezza del periodo e per la stagionalità. Un’altra distinzione importante quando si parla di letargo è quella tra endotermi ed ectotermi: infatti, mentre i primi (mammiferi e uccelli) sono in grado di regolare la propria temperatura corporea, gli ectotermi non possono farlo, e dipendono più strettamente dalle condizioni ambientali. L’esempio classico è rappresentato dalle tartarughe d’acqua dolce comunemente commercializzate: durante l’inverno necessitano di un riscaldatore che mantenga una temperatura idonea, in caso contrario le tartarughe tendono ad andare in letargo. Quando vanno in letargo le tartarughe terrestri allo stesso modo necessitano di un riparo con temperature miti e stabili. Quando ci si riferisce a rettili, anfibi o pesci quindi, è più corretto parlare di quiescenza piuttosto che di letargo. Per gli endotermi mantenere una temperatura corporea costante richiede energie, molte energie: quando le condizioni ambientali diventano sfavorevoli, mantenere una temperatura corporea costante diventa troppo dispendioso, e se una specie non può migrare, una delle soluzioni è quella di andare in letargo. Ma come vedremo, ci sono anche altri vantaggi.
Letargo, ibernazione e torpore
Il significato di letargo è quindi un periodo di quiescenza che può durare anche alcuni mesi durante cui l’animale resta immobile, spesso in una tana, e durante il quale le attività metaboliche vengono ridotte al minimo. La sopravvivenza spesso è affidata alle riserve di grasso accumulate nelle fasi antecedenti. In genere il sinonimo di letargo è ibernazione. Ma la principale differenza tra letargo e ibernazione è che il secondo riguarda il periodo invernale: infatti esistono anche la brumazione (in autunno) e l’estivazione (in estate). In genere durante il letargo la temperatura corporea scende quasi fino a quella ambientale, anche se in molte specie si mantiene ben al di sopra, anche grazie ad alcune strategie, come appunto l’utilizzo di tane. Le varie specie si differenziano per la lunghezza del letargo, che dipende direttamente dalle dimensioni corporee, che determinano la riserva di energia che un animale può accumulare. Questo spiega le differenze nel letargo tra un orso e un ghiro. Il torpore è un’altra forma di quiescenza che si ritrova in molte specie: in questo caso la riduzione delle attività dura alcune ore (in genere meno di 24 ore). Si tratta di una forma di risparmio delle energie a breve termine, adottata quotidianamente. Il torpore riguarda anche gli invertebrati: insetti e ragni infatti sono ectotermi, ed entrano in uno stato di torpore durante la notte. Altri insetti, come alcune specie di vespe si riuniscono in luoghi protetti dove superano l’inverno, ma in questo caso non si parla di ibernazione. Per altre specie, come ragni e insetti, invece si parla di diapausa: questa coincide con un periodo di sospensione dello sviluppo legato a condizioni ambientali sfavorevoli. Quando le condizioni si ristabiliscono, lo sviluppo riprende.
Letargo e ibernazione: due strategie diverse o due estremi di una stessa strategia?
Come visto finora, la principale differenza tra letargo (o ibernazione) e torpore, riguarda il periodo: il torpore dura in genere alcune ore, mentre l’ibernazione dura da alcuni giorni ad alcuni mesi. Ma le differenze non finiscono qui. Infatti, paragonando il tasso metabolico minimo, si può osservare che le specie che si ibernano subiscono riduzioni maggiori rispetto alle specie che usano il torpore. In particolare, il tasso metabolico minimo degli ibernanti è il 6% del tasso metabolico di base, mentre negli eterotermi quotidiani è il 35%. Inoltre, in generale gli ibernanti sono più grandi degli eterotermi quotidiani (specie che usano il torpore). In particolare, uno studio ha rilevato come la massa corporea media degli ibernanti sia 5 volte maggiore di quella delle specie che usano il torpore quotidiano. Avere piccole dimensioni limita la quantità di grasso accumulabile (oltre che la percentuale di grasso corporeo), e obbliga le specie a mantenersi attivi per alimentarsi, impedendo un periodo di inattività troppo lungo. La necessità di continuare ad alimentarsi obbliga le specie che non si ibernano a vivere a latitudini inferiori, dove le condizioni ambientali non sono particolarmente rigide in inverno. Le specie che vanno in letargo vivono in media a latitudini di 35°, mentre le specie che usano il torpore quotidiano a latitudini di circa 25°. Anche la temperatura corporea minima è una differenza: gli ibernanti hanno una temperatura corporea più bassa in media di 13° C rispetto agli eterotermi quotidiani. Queste differenze confermano che torpore e letargo sono due strategie distinte. Un’ultima differenza riguarda la struttura temporale del torpore e dell’ibernazione: gli eterotermi quotidiani utilizzano il sistema circadiano per controllare i tempi del torpore al fine di rimanere coinvolti nel ciclo luce-buio. Al contrario, gli ibernanti hanno disaccoppiato il loro controllo temporale del letargo dal sistema circadiano per consentire periodi prolungati di ipometabolismo, affidandosi alle riserve di energia.
I VANTAGGI DI UNA “PAUSA”
Come abbiamo visto il letargo consente alle specie di sopravvivere anche quando le condizioni ambientali si fanno troppo difficili, come nel caso di scarsità di cibo o temperature estremamente basse. Ma non è il solo vantaggio: infatti molti piccoli mammiferi usano il letargo per evitare la predazione. È il caso ad esempio del ghiro commestibile (Glis glis), che entra in letargo durante l’estate, nonostante condizioni ambientali favorevoli, per evitare la predazione dei gufi. Recenti prove infatti indicano che le specie che adottano il letargo come strategia, tendono a sopravvivere di più rispetto a specie delle stesse dimensioni che però non vanno in letargo.
Quale era il vantaggio originale del letargo?
Ad oggi ci sono 11 ordini di mammiferi che usano il letargo. È difficile pensare che il letargo o il torpore siano comparsi ben 11 volte indipendentemente nei mammiferi. Il letargo, essendo presente in specie molto diverse tra loro, è un caso quindi di evoluzione convergente. Per questo un’unica origine dell’eterotermia, con successivi aggiustamenti adattativi a seconda della biologia di ciascuna specie, sembra la visione più parsimoniosa. Ma quali erano i vantaggi iniziali? Un piccolo mammifero ha una probabilità cinque volte maggiore di morire durante ogni mese della stagione attiva rispetto al letargo. Ci sono diverse ragioni: come detto, evitare la predazione è la prima di queste. Andando in letargo un animale resta immobile, abbassa la temperatura corporea e rallenta il metabolismo, con una minore produzione di odori e segnali di qualsiasi tipo. Non solo, come detto spesso i mammiferi si nascondono in tane che li mantengono isolati dalle condizioni ambientali, ma anche protetti da altre specie. Una specie che non va in letargo rischia di essere predata tutto l’anno, e rischia anche di morire a causa delle condizioni ambientali difficili. L’evitamento della predazione potrebbe quindi essere stata la forza trainante dietro alla diffusione del letargo tra le specie. Questo spiega perché alcune specie vanno in letargo anche quando le condizioni ambientali restano favorevoli. L’effetto del letargo sulla sopravvivenza è leggermente più forte sulle specie più piccole (che hanno infatti maggiori probabilità di venire predate). Tuttavia, la sopravvivenza è maggiore anche nelle specie più grandi che vanno in letargo. In termini di anni, i dati di alcuni modelli mostrano che a parità di peso corporeo, i mammiferi che usano questo periodo di quiescenza vivono il 50% in più rispetto ad altre specie che restano attive.
Prendersela comoda: il letargo e un ciclo vitale lento
I mammiferi che vanno in letargo hanno tassi di riproduzione inferiori rispetto a quanto previsto dalla loro massa corporea, e tendono a maturare sessualmente più tardi. Infatti, mentre un mammifero sempre attivo può maturare dopo alcuni mesi, i mammiferi che si ibernano maturano sessualmente anche dopo un anno di età. Un altro effetto riguarda il tempo di generazione: i mammiferi che vanno in letargo hanno tempi di generazione più lunghi rispetto a quelli che restano attivi. Il tempo di generazione è rilevante perché è correlato all’invecchiamento e all’insorgenza della senescenza cellulare. Anche questi dati spiegano il perché le specie che vanno in letargo vivono più a lungo: oltre ad evitare la predazione e condizioni ambientali sfavorevoli, invecchiano più lentamente. Il fatto che molte specie usino il letargo anche quando c’è abbondanza di cibo e non solo in inverno, supporta una visione generale del letargo come meccanismo fisiologico che consente ai mammiferi di rimanere dormienti e aumentare la sopravvivenza quando le condizioni non sono ottimali per la riproduzione.
Scegliere bene tra rischi e benefici
Una domanda può sorgere spontanea: come fanno questi animali a difendersi dagli agenti patogeni quando vanno in letargo e subiscono queste riduzioni del metabolismo? Il letargo è associato infatti a una forte immunosoppressione, per questo alcune specie si svegliano periodicamente, riattivando il sistema immunitario, evitando infezioni (virali o fungine) potenzialmente letali. D’altra parte però l’immunosoppressione durante l’ibernazione o il torpore è benefica in quanto consente di risparmiare energia, protegge dai processi infiammatori e in genere presenta pochi rischi, poiché la maggior parte dei microbi prolifera lentamente a basse temperature. Anche il torpore ha dei costi: è associato all’aumento dello stress ossidativo e alla sovraregolazione delle difese antiossidanti. Nonostante questo, quando gli animali si risvegliano da questi periodi di inattività, soprattutto nel caso del letargo, subiscono gravi danni cellulari, come quelli relativi all’accorciamento dei telomeri. Oltre a quelli citati, ci sono ulteriori benefici relativi al letargo e al torpore. Il torpore facilita la migrazione in alcuni uccelli, è parte integrante delle strategie riproduttive che coinvolgono la conservazione dello sperma in alcuni pipistrelli e altri mammiferi, e può servire come meccanismo di conservazione dell’acqua in alcuni ambienti. La scoperta che anche animali di grandi dimensioni mantengono una temperatura corporea elevata durante il letargo fornisce ulteriore supporto all’idea che il letargo sia associato a effetti fisiologicamente avversi. Per questo la regolazione del letargo di alcune specie è il risultato evoluto di un compromesso tra i suoi costi e benefici. Gli orsi ad esempio evitano alcune delle conseguenze negative del letargo mantenendo temperature > 28°C. Lo stesso non possono fare i mammiferi più piccoli che si ibernano, che a causa della quantità limitata di grasso a disposizione, devono mantenere un letargo profondo, con tutti i rischi associati. I costi del torpore e del letargo spiegano anche il perché alcune specie, laddove le condizioni ambientali lo consentano, evitino questi periodi di inattività.
LETARGO, DIABETE E SALUTE UMANA: IL CASO DELL’ORSO BRUNO
Prima di andare in letargo un orso bruno (Ursus arctos) arriva a consumare anche 20.000 calorie al giorno, ingrassando di circa 4 kg ogni giorno. Successivamente va in letargo e resta immobile per lungo tempo. Se tutto questo accadesse ad un uomo i risultati sulla salute sarebbero disastrosi. Eppure gli orsi hanno trovato un modo per evitare le conseguenze negative legate all’assunzione di tutte queste calorie, attraverso la regolazione della resistenza all’insulina. L’insulina è un ormone che segnala alle cellule la disponibilità di glucosio nel sangue, favorendone l’assorbimento. Quando il glucosio nel sangue è troppo, le cellule diventano resistenti all’insulina. In pratica gli orsi riescono ad accendere la loro insulina-resistenza quando necessario. In particolare, quando vanno in letargo diventano insulino resistenti, e poco prima di svegliarsi in primavera tornano ad essere sensibili all’insulina. La domanda è come ci riescono? Analizzando il siero degli orsi durante il letargo e quando sono attivi, e coltivandone gli adipociti, gli scienziati hanno cercato di comprendere quali meccanismi permettessero agli orsi di regolare il loro metabolismo. Hanno scoperto che il segreto è in alcune proteine del siero, in particolare sono 8 le proteine che permettono agli orsi di regolare l’insulina durante il letargo, 3 delle quali hanno anche funzioni immunitarie. Alcune di queste agiscono sulle proteine GLUT1 e GLUT4, che assorbono il glucosio. Altre comportano la riduzione dei livelli delle proteine IGF-1, mentre alcune facilitano la lipolisi (il consumo di acidi grassi) durante il letargo. Vista la grande somiglianza a livello di genoma tra umani e orsi, la scoperta di queste 8 proteine permette di esplorare gli effetti di queste proteine su alcune patologie umane, come il diabete di tipo 2.
Fonte
- Saxton, M. W., Perry, B. W., Hutzenbiler, B. D. E., Trojahn, S., Gee, A., Brown, A. P., … & Kelley, J. L. (2022). Serum plays an important role in reprogramming the seasonal transcriptional profile of brown bear adipocytes.
iScience - Turbill, C., Bieber, C., & Ruf, T. (2011). Hibernation is associated with increased survival and the evolution of slow life histories among mammals.
Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences - Ruf, T., & Geiser, F. (2015). Daily torpor and hibernation in birds and mammals.
Biological Reviews